La nascita di Paese Sera, 70 anni fa

Fu per quasi mezzo secolo il quotidiano più popolare del Partito Comunista Italiano, che pubblicava fumetti e oroscopi ed era attento alla cronaca nera e a quella rosa

(ANSA)
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Settant’anni fa, il 6 dicembre del 1949, uscì il primo numero di Paese Sera: un quotidiano di proprietà del Partito Comunista Italiano nato per fare concorrenza ai giornali romani liberali e conservatori, come il Messaggero e il Tempo. A differenza dell’Unità, quotidiano ufficiale del PCI, Paese Sera fu un giornale vivace e indipendente, spesso in conflitto con il partito, attento alla cronaca rosa e a quella nera (i cui episodi erano spesso descritti come una questione sociale e non solo di ordine pubblico). Sulle sue pagine ha ospitato scrittori come Gianni Rodari, Norberto Bobbio e Umberto Eco, oltre a essere stato il primo a pubblicare i fumetti di Sturmtruppen di Bonvi e tra i primi in Italia a pubblicare le strisce dei Peanuts.

Paese Sera nacque come edizione pomeridiana del quotidiano Il Paese, un giornale romano vicino al Partito Comunista chiuso dal regime fascista nel 1925 e poi riaperto nel 1948, durante la campagna elettorale per le prime elezioni dell’Italia repubblicana.  Negli anni Cinquanta aveva ben sei edizioni giornaliere (nessun altro quotidiano ne aveva di più): una la mattina, con la testata Il Paese e poi altre cinque, con l’ultima che arrivava in edicola alle 21. Era praticamente la versione cartacea di un moderno telegiornale, con le notizie che venivano aggiornate di edizione in edizione e rubriche fisse previste in specifiche uscite del giornale.

Il suo stile era più informale e popolare rispetto all’altro importante quotidiano del partito, l’Unità, dove dirigenti e grandi intellettuali di partito davano la linea a tutti gli iscritti: oltre a fumetti e molti articoli di cronaca nera, aveva persino una rubrica con l’oroscopo. Per questa ragione, il quotidiano fu spesso in contrasto con gli organi centrali del partito. Nel 1956, per esempio, il primo direttore Tomaso Smith si dimise in polemica con la decisione del PCI di appoggiare l’invasione sovietica dell’Ungheria e la richiesta di censurare gli articoli spediti in Italia dai corrispondenti del quotidiano (il suo successore si dimise a sua volta per contrasti con il partito).

Nel 1963, poi, Il Paese cessò le pubblicazioni e Paese sera lo soppiantò anche nell’edizione del mattino. Nel corso del decennio e poi negli anni Settanta il quotidiano raggiunse la sua massima espansione, crescendo a Roma e in altre città, aprendo redazioni locali a Milano, Bologna e Firenze. Ma la concorrenza di nuovi giornali come La Repubblica e il crescente disinteresse del PCI nel sostenerlo ne determinarono la fine. Nel 1980, quando vendeva ancora 100 mila copie, l’editore legato al Partito Comunista cedette la proprietà del giornale e, tre anni dopo, il nuovo editore annunciò il licenziamento di tutti i giornalisti.

La chiusura di un quotidiano nazionale dalla storia così illustre fece scalpore: giornalisti e tipografi furono ricevuti dal presidente della Repubblica Sandro Pertini e il quotidiano riuscì a rinascere grazie a una sottoscrizione dei lettori e alla creazione di una cooperativa formata dai suoi lavoratori. In qualche modo il giornale riuscì a sopravvivere per un altro decennio, ma non fu mai in grado di riprendersi del tutto e nel 1994 le pubblicazioni furono definitivamente abbandonate. Negli anni Duemila ci sono stati diversi tentativi di resuscitare la testata da parte di diversi editori (l’ultimo tentativo, iniziato nell’ottobre del 2018, ha ospitato le vignette di Vauro Senesi e alcuni articoli della scrittrice Michela Murgia). Questi tentativi, però, sono tutti falliti.