A Jeff Bridges va bene così
Tutti se lo ricordano per “Il Grande Lebowski” e lui sta al gioco nonostante abbia fatto molto altro, ancora oggi che compie 70 anni
Jeff Bridges è il Drugo del Grande Lebowski, e probabilmente non c’è verso che si scrolli di dosso questa associazione. Dice sempre che per lui non è un problema, e non importa che nel resto della sua carriera abbia recitato con alcuni dei più grandi registi della storia del cinema e che abbia vinto un Oscar, ricevendo altre sei nomination (nessuna di queste per il Grande Lebowski). Proprio come il Drugo, Jeff Bridges è noto per essere un tipo rilassato e bonario, che si fa voler bene anche quando non è su uno schermo e che sta al gioco quando chi lo vede gli cita le battute del celebre film dei fratelli Coen del 1998.
Aveva cominciato la carriera negli anni Settanta come attore belloccio e scapigliato, poi – un po’ per sfortuna e un po’ per il tipo che era – non ebbe nessuno dei ruoli memorabili di quegli anni, che toccarono a suoi coetanei che per questo diventarono più famosi. Ma si è tolto molte soddisfazioni negli ultimi anni, quando ha sfruttato quell’aria da anziano signore che ne ha viste tante e che ormai se ne sbatte più o meno di tutto, anche se con una sua gentilezza. E oggi compie 70 anni.
Bridges nacque il 4 dicembre 1949 a Los Angeles, figlio di un attore caratterista che avrebbe poi trovato la fama una decina di anni più tardi come protagonista della serie Avventure in fondo al mare, e di un’attrice meno nota che però gli fece da prima insegnante. I genitori lo misero davanti alle telecamere quando praticamente era ancora in fasce, insieme al fratello maggiore Beau, col quale apparve nelle serie del padre. Cominciata molto presto, la sua carriera proseguì altrettanto rapidamente, e dopo alcuni ruoli televisivi ebbe nel 1971, a soli 22 anni, una delle parti principali in L’ultimo spettacolo, un celebre film in bianco e nero pieno di nostalgia e amarezza di Peter Bogdanovich. Interpretò uno dei due giovani protagonisti della storia, che ruota intorno all’ultima proiezione di un piccolo cinema texano, e si guadagnò la nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista.
Non vinse, ma si fece notare e negli anni successivi recitò con un regista famosissimo come John Huston e con un altro che lo sarebbe diventato nel breve futuro: Michael Cimino, che lo diresse insieme a Clint Eastwood in Una calibro 20 per lo specialista, nel quale interpretò un giovane ladruncolo scapigliato e che gli valse di nuovo la nomination all’Oscar.
Erano gli anni in cui stava emergendo una grande generazione di attori, come Robert De Niro, Al Pacino, Jack Nicholson e Dustin Hoffman. Ma come scrisse anni fa Manola Darghis sul New York Times, se questa era tutta gente da grandi parti ingombranti e ricche di pathos, Bridges era più un tipo da ruoli intimisti, sfaccettati e un po’ dimessi. Fu forse per questo che non fu mai scelto come protagonista di uno dei grandi film di quegli anni, e le cose non migliorarono negli anni Ottanta dei blockbuster di azione. Bridges ebbe anche un po’ di sfortuna, recitando in film che rimasero sempre un po’ all’ombra di altri contemporanei, come King Kong del 1976 (una specie di derivazione di Lo Squalo) e Tron, il famoso film di fantascienza che uscì lo stesso anno di ET – L’extraterrestre e Blade Runner.
Dopo aver recitato con Huston a fine carriera e Cimino all’esordio, continuò in un certo senso l’abitudine a lavorare con grandi registi in film che non furono mai i loro migliori: Starman di John Carpenter, Il mattino dopo di Sidney Lumet, Tucker, un uomo e il suo sogno di Francis Ford Coppola. All’inizio dei Novanta riuscì però a infilare un paio di film che rilanciarono la sua carriera e nei quali fece rivedere quel talento che lo aveva distinto nei primi anni: La leggenda del re pescatore di Terry Gilliam e Fearless – Senza paura di Peter Weir.
Il momento che definì per sempre la sua carriera arrivò però nel 1998, quando i fratelli Coen, reduci dal gran successo di Fargo, lo scelsero per un ruolo che sembrava scritto apposta per lui. Ispirato a un produttore che i Coen avevano conosciuto anni prima, il Drugo di Bridges, un trentenne fricchettone e cronicamente pigro che finisce in un intricatissimo pasticcio, è oggi uno dei personaggi più famosi della storia del cinema. Allora però il film andò piuttosto male, e guadagnò lo status di film di culto soltanto negli anni successivi grazie alla versione in home video.
Anche se l’immagine di Bridges con indosso un cardigan sdrucito e un White Russian in mano non era ancora entrata nell’immaginario collettivo, Bridges tornò ad avere una certa importanza a Hollywood, e nel 2000 fece un’altra parte da candidatura all’Oscar in The Contender. Seguirono un po’ di film di medio e buon successo come K-PAX – Da un altro mondo, Seabiscuit e Tideland, nei quali Bridges cominciò a fare il co-protagonista anziano, bonario e un po’ eccentrico, ruolo intorno al quale costruì le fortune più recenti della sua carriera coronate nel 2009 con l’Oscar come migliore attore per Crazy Heart, nel quale interpretò un cantante country alcolizzato che si innamora di una giovane giornalista.
Bridges ha avuto tempo anche per fare il cattivo nel primo Iron Man e per recitare nel seguito di Tron, ma i suoi migliori ruoli recenti sono stati nel western dei fratelli Coen Il Grinta e nel “western contemporaneo” Hell or High Water, per i quali è stato nuovamente candidato all’Oscar. In tutto questo ha inciso anche due dischi country, ha pubblicato dei libri con le sue fotografie scattate sui set, ha usato la sua voce profonda per narrare film e documentari, è rimasto sposato con Susan Geston, che conobbe negli anni Settanta quando faceva la cameriera, e studia e pratica il buddismo e la meditazione trascendentale. E continua a non infastidirsi quando i suoi fan gli citano le battute del Drugo.