Nel nordest della Siria c’è ancora una situazione complicata
Gli Stati Uniti si sono riavvicinati ai curdi siriani per combattere l'ISIS, e ora ci si chiede: la tregua con la Turchia durerà?
Nelle ultime due settimane gli Stati Uniti hanno ricominciato a compiere operazioni militari contro lo Stato Islamico (o ISIS) nel nord e nell’est della Siria, nonostante i precedenti annunci di ritiro delle truppe statunitensi pronunciati dal presidente Donald Trump. Le operazioni sono ricominciate con la collaborazione dei curdi siriani, che per anni avevano combattuto l’ISIS insieme agli Stati Uniti, almeno fino a che erano stati scaricati – “traditi“, secondo alcuni – proprio dall’amministrazione Trump, che con la decisione del ritiro aveva favorito l’inizio dell’offensiva turca nel nordest della Siria, territorio controllato dai curdi. La Turchia accusava infatti i miliziani curdi delle Unità di Protezione Popolare (più conosciute con la sigla YPG) di essere terroristi.
Il nuovo avvicinamento tra Stati Uniti e curdi siriani potrebbe avere conseguenze anche per la complicata situazione nel nordest della Siria, che sembrava avere trovato una soluzione nell’ultimo mese con il ritiro dei curdi siriani dai territori al confine con la Turchia.
Lo scorso 22 ottobre i curdi siriani avevano accettato l’accordo firmato in precedenza tra la Russia e la Turchia che di fatto prevedeva una tregua nei combattimenti tra i turchi e i loro alleati da una parte, e i curdi dall’altra. In cambio della tregua, i curdi avrebbero però dovuto abbandonare una striscia di territorio larga una trentina di chilometri a sud del confine turco-siriano: il ritiro curdo da questi territori era stato fin dall’inizio l’obiettivo dell’operazione militare nel nordest della Siria decisa dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
Nelle ultime settimane molti dei curdi che abitavano queste zone se ne sono andati, ma da qualche giorno, ha scritto Haaretz, il ritiro è sembrato fermarsi. Ora i russi e i turchi temono che il riavvicinamento tra curdi siriani e Stati Uniti possa far saltare l’accordo di ottobre e convincere i curdi a cambiare idea. Ci sono inoltre due rischi relativi a un’eventuale ripresa dell’offensiva militare turca: il primo è quello di uno scontro diretto tra forze turche e forze statunitensi nel nord della Siria, cioè tra militari di due paesi alleati ed entrambi membri della NATO; il secondo riguarda il più ampio piano diplomatico per mettere fine alla guerra in Siria attraverso la scrittura di una nuova Costituzione. Il processo, già molto difficile da portare a termine a causa delle diverse parti coinvolte, ognuna con i propri obiettivi, potrebbe subire un ulteriore colpo nel caso di nuove violenze.
La situazione è ulteriormente complicata dalla confusione provocata da Trump, che negli ultimi mesi aveva annunciato due volte il ritiro completo dei soldati statunitensi dalla Siria per poi rimangiarsi quanto detto, soprattutto a causa delle forti pressioni esercitate da membri del suo governo e del suo partito, e dai generali che si occupano di guerra in Siria e di lotta al terrorismo. Dopo l’ultimo annuncio del presidente, molti dei circa mille soldati americani in Siria erano usciti dal paese, ma allo stesso tempo centinaia di militari erano entrati, provenienti dall’Iraq e dal Kuwait, con l’ordine di proteggere i pozzi petroliferi della Siria orientale dagli attacchi dell’ISIS e da eventuali offensive militari del regime siriano e di quello russo, suo alleato.
Il generale statunitense Kenneth McKenzie ha descritto di recente le relazioni tra statunitensi e curdi come «piuttosto buone». Non ha detto però quanto tempo i militari americani rimarranno ancora in Siria, provocando nuova incertezza su quello che potrà succedere in futuro in questo pezzo di paese.