Arriverà un piano della Commissione Europea per eliminare le emissioni di gas serra
Il cosiddetto "New Green Deal" sarà presentato fra dieci giorni: una bozza sta già facendo discutere
La nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ha fatto sapere che l’11 dicembre presenterà ufficialmente il “New Green Deal”, cioè il nuovo piano per ridurre drasticamente – e a lungo termine eliminare – le emissioni nette prodotte dai paesi dell’Unione Europea, cioè i gas serra.
Sarà la prima importante proposta di legge avanzata dalla nuova Commissione di von der Leyen, entrata in carica l’1 dicembre. In questi giorni, peraltro, von der Leyen parteciperà al nuovo incontro sul cambiamento climatico organizzato dall’ONU a Madrid, dove potrebbe fornire qualche dettaglio sulla proposta che farà la settimana prossima.
Una bozza della proposta è trapelata alcuni giorni fa ed è stata pubblicata da Euractiv, ma diversi analisti sono ancora molto cauti nel dare un giudizio definitivo, principalmente per due motivi. Il primo è che la bozza non contiene ancora obiettivi concreti: ci sono vari spazi bianchi, puntini di sospensione, e dati fra parentesi. L’ambiziosità della misura dipenderà soprattutto dalle stime del documento definitivo: farà una grossa differenza, ad esempio, se da qui al 2030 la Commissione Europea intenderà ridurre del 50 o del 70 per cento i gas serra registrati nel 1990.
La seconda ragione è che stabilire obiettivi del genere – e trovare i soldi per finanziarli – rimane molto complicato, dato che bisogna mettere d’accordo 28 paesi con esigenze e sensibilità molto diverse, oltre che le tre famiglie politiche che formano la maggioranza che controlla l’attuale legislatura europea (Popolari, Socialisti e Liberali). A giugno i capi di stato e di governo riuniti nel Consiglio Europeo non erano riusciti ad appoggiare esplicitamente quello che a meno di sorprese sarà il grande obiettivo del “New Green Deal” di von der Leyen, cioè portare a zero le emissioni nette dei paesi dell’UE entro il 2050, proprio a causa dell’aperta ostilità di un gruppo di paesi dell’Est.
Un terzo elemento che dovrebbe indurre alla cautela è la complessa procedura con cui piani del genere vengono approvati dall’Unione Europea: una volta proposto dalla Commissione, il “New Green Deal” dovrà passare per l’esame del Parlamento Europeo – che su temi del genere di solito tende a fare proposte più ambiziose – e soprattutto del Consiglio dell’UE, l’organo dove siedono i rappresentanti dei governi dei singoli stati, dove i paesi dell’Est potrebbero opporsi alle misure più forti (e perciò sgradite). In tutto questo passeranno probabilmente diversi mesi, se non addirittura anni, dall’annuncio di von der Leyen all’effettiva applicazione del piano.
Nonostante questo, abbiamo già un’idea di cosa dovrebbe finire dentro alla proposta della Commissione von der Leyen.
Cosa ci sarà dentro al “New Green Deal”
Una delle poche sezioni complete della bozza riguarda l’obiettivo di portare a zero le emissioni nette di gas serra dell’Unione Europea nel 2050: una misura di cui si parla da tempo, e che era già stata ipotizzata nei mesi scorsi. Nella bozza viene anche specificato che la Commissione intende rendere legalmente vincolante l’obiettivo entro il marzo del 2020. Nei prossimi mesi, e una volta che si capirà quali e quante proposte saranno comprese nel “New Green Deal”, avremo un’idea più precisa di come la Commissione intenda realizzare l’obiettivo. Nel frattempo, Bloomberg cita una stima secondo cui per arrivare a produrre zero emissioni nette l’Unione Europea dovrà investire fra i 175 e i 290 miliardi di euro all’anno dal 2030 al 2050.
Nella bozza si propone anche di aumentare il taglio delle emissioni di gas serra nei prossimi dieci anni, passando da un obiettivo fissato al 40 per cento ad «almeno» il 50 per cento rispetto ai livelli del 1990.
Sebbene nel testo non venga citata esplicitamente, von der Leyen ha già annunciato che nel “New Green Deal” ci sarà anche una “tassa di frontiera” per beni importati dall’estero e prodotti da aziende che emettono sostanze inquinanti. Al momento un sistema simile esiste già per le aziende europee – che devono pagare 25 euro per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa oltre un certo limite – ma non per quelle straniere, che quindi possono permettersi di introdurre nel mercato europeo beni a prezzi decisamente concorrenziali. Francia e Germania chiedono da tempo una tassa di frontiera sulle emissioni inquinanti, ma il problema sarà realizzarne una senza danneggiare i principi del libero mercato stabiliti dall’Organizzazione mondiale del commercio né fare arrabbiare gli Stati Uniti, molto interessati al mantenimento dello status quo (soprattutto con l’amministrazione Trump). «Non credo che nessuno sappia esattamente come portare a termine questa cosa», ha detto di recente a Politico la commissaria europea uscente al Commercio, Cecilia Malmström.
Un altro punto importante del piano riguarda la parziale trasformazione della Banca europea per gli investimenti (BEI) – un’istituzione finanziaria dell’UE che presta soldi a tassi vantaggiosi per finanziare progetti di interesse europeo – in un finanziatore di progetti per diffondere lo sviluppo sostenibile: von der Leyen l’ha definita idealmente «la Banca europea del clima». Reuters ha scritto che più realisticamente von der Leyen ha già indicato che intende riservare la metà dei prestiti della BEI allo sviluppo sostenibile, ma entro la fine del 2025.
Gli investimenti necessari per convertire progressivamente le catene di produzione e lo stile di vita in giro per l’Unione dovrebbero arrivare da vari canali, fra cui i tradizionali Fondi strutturali e altri fondi appositi: nel primo anno di mandato, per esempio, la bozza indica che la Commissione vuole “mobilitare” – cioè in parte finanziare e in parte incentivare – un fondo da 3 miliardi di euro per rendere più sostenibili gli edifici che ospitano le scuole. Nel documento in cui von der Leyen indicava le priorità politiche della sua commissione, pubblicato a settembre, citava anche un Piano europeo per gli investimenti sostenibili che dovrebbe mobilitare mille miliardi di euro nei prossimi dieci anni, ma di questo piano nella bozza trapelata non c’è traccia.
Infine, fra i punti principali del “New Green Deal” dovrebbe comparire anche un Fondo per la corretta transizione, citato nella bozza ma senza ulteriori dettagli. In sostanza si parla di un meccanismo per aiutare i paesi che ancora oggi dipendono largamente dai combustibili fossili a modificare il proprio modello di sviluppo: detto in altre parole, un fondo per finanziare la riconversione di migliaia di aziende e impianti di produzione di energia nell’Europa dell’Est, ancora molto arretrata da questo punto di vista. Reuters scrive che la dimensione del fondo non è ancora stata quantificata, ma sarà probabilmente nell’ordine delle decine di miliardi di euro.
Cosa se n’è detto
Per il momento non molto, dato che la maggior parte degli osservatori aspetterà di mettere le mani sul testo definitivo per esprimersi. Qualche settimana fa il rispettato e ascoltato centro studi Bruegel aveva pubblicato una rapida analisi per suggerire quali dovrebbero essere i punti principali del “New Green Deal”, e il loro elenco si sovrappone in buona parte con quello della Commissione.
La nota ong Greenpeace, invece, è stata molto critica sulla bozza e le misure circolate nelle ultime settimane, che ha definito «incerte e inefficaci». Nella loro analisi della bozza, fanno notare inoltre che si parla pochissimo di emissioni dovute ai trasporti, un settore che produce il 12 per cento di tutta l’anidride carbonica emessa in Europa e l’unico che non ha tagliato le proprie emissioni di gas serra dal 1990 a oggi.
Poi ci sono state le reazioni politiche. I Verdi, che dopo molte tribolazioni hanno deciso di non unirsi alla maggioranza parlamentare, spingono per un taglio delle emissioni del 65 per cento entro il 2030, sostenendo sulla base di alcuni studi che per rispettare gli Accordi di Parigi sul clima – cioè mantenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi centigradi – aumentare il taglio al 50 o al 55 per cento non sia sufficiente.
Nemmeno la maggioranza parlamentare, al momento, sembra d’accordo sui punti principali del piano. Qualche giorno fa al Parlamento Europeo il Partito Popolare – che detiene il maggior numero di seggi, ed è tradizionalmente il gruppo più sensibile alle istanze degli ambienti produttivi – si è dissociato dalla risoluzione che definiva il riscaldamento globale una «emergenza climatica», preferendo usare il termine «urgenza». La risoluzione è passata grazie a una estemporanea maggioranza formata da Socialisti, Verdi, Sinistra radicale e buona parte dei Liberali, che però difficilmente si troverà d’accordo sugli aspetti più controversi del “New Green Deal”.
La maggioranza della Commissione von der Leyen già divisa sull’emergenza climatica.
Ppe, S&D e Renew non riescono a concordare una risoluzione comune.
Ci sarà testo S&D, Renew e Gue.
Ppe vuole urgenza climatica, non emergenza.
— David Carretta (@davcarretta) November 27, 2019