Persino Bloomberg critica il Black Friday

La testata – notoriamente pro-business – spiega che le ragioni per farne a meno non sono soltanto ambientali ma anche economiche

Un centro commerciale di New York. (Kena Betancur/Getty Images)
Un centro commerciale di New York. (Kena Betancur/Getty Images)

Il Black Friday, da usanza tipicamente americana legata al giorno del Ringraziamento, è ormai da anni largamente diffuso anche in Europa: siti di e-commerce e negozi fisici di tutti i paesi fanno sconti più o meno marcati, adeguandosi a quella che è diventata un’esigenza dei clienti. Il sito Bloomberg, che appartiene al miliardario americano Michael Bloomberg ed è uno dei principali organi di informazione economica del mondo, associato tradizionalmente a lettori ricchi e con interessi nella finanza, ha pubblicato un articolo dell’editorialista Andrea Felsted che critica il Black Friday per un motivo inaspettato, rispetto quelli che si sentono di solito: perché fa male all’economia.

Il Black Friday è un fenomeno molto criticato e pieno di contraddizioni. Una delle accuse più frequenti è che sia la ricorrenza consumistica per eccellenza, per questo malvista in tempi in cui la necessità di consumare meno per ridurre l’impatto umano sulla Terra è sempre più sentita. In diversi paesi, poi, è accompagnato dalle critiche alle condizioni lavorative dei magazzinieri dei siti di e-commerce, specialmente di Amazon, i cui ritmi si intensificano in occasione del Black Friday e delle festività. Quest’anno, per esempio, ci sono state agitazioni sindacali e scioperi in Piemonte, tra i fattorini che si sono lamentati per i maggiori carichi di lavoro.

Se queste critiche vanno avanti da anni e sono molto condivise, specialmente negli ambienti di sinistra, quella di Bloomberg è più insolita. L’articolo spiega che le iniziative che spingono verso un boicottaggio generico del sistema consumistico sono ovviamente una minaccia sul lungo periodo per i negozianti e per le aziende, ma che quelli diretti specificamente al Black Friday sono un altro discorso: «per i negozi europei, introdurre la pazza tradizione americana è stato un atto masochistico. Se le proteste dovessero persuadere i negozi a smetterla con questa attività che distrugge i margini di guadagno, ne guadagnerebbero sia il pianeta sia la profittabilità».

Il Black Friday arrivò in Europa come risposta delle altre aziende e dei negozi agli sconti post-festa del Ringraziamento di Amazon, prima nel Regno Unito e poi in Francia, Germania e Italia. I movimenti di protesta contro il Black Friday nacquero più o meno da subito, ma hanno guadagnato maggiore popolarità di recente e soprattutto quest’anno: in Francia, per esempio, è stata organizzata una protesta in vari centri commerciali che anticipa il grande sciopero generale previsto per dicembre. Addirittura la ministra dell’Ambiente francese Elisabeth Borne ha parlato della contraddizione tra la richiesta di minori emissioni e l’accettazione di questa usanza, e c’è una proposta di legge per vietare del tutto gli sconti del Black Friday nel paese. Le iniziative di protesta in certi casi sono arrivate dalle stesse catene di negozi, che hanno deciso di chiudere venerdì 29 novembre o di offrire ai clienti servizi che incentivino il riuso dei beni, specialmente dei vestiti.

Bloomberg ricorda poi che non c’è consenso accademico sul fatto se gli acquisti online siano più sostenibili di quelli nei negozi fisici: ci sono studi che sembrano suggerirlo, ma le recenti pieghe prese dall’e-commerce, come la facilità di restituire i prodotti, le consegne super veloci e i programmi di abbonamento che incentivano gli acquisti ricorrenti, complicano i calcoli e rendono più dubbia questa tesi.

Ma anche al di là delle questioni ambientali, dice Bloomberg, smetterla col Black Friday potrebbe avere effetti positivi. La società di consulenza e analisi di mercato Deloitte stima che lo sconto medio nel Regno Unito sia del 27 per cento: promozioni così accentuate possono portare ai negozi o ai siti di e-commerce dei vantaggi per quanto riguarda la fidelizzazione dei clienti, ma non è detto che complessivamente il bilancio sia positivo. «A meno che non offrano prodotti che sarebbero stati scontati a gennaio, o fatti appositamente per essere venduti a poco al Black Friday, questo livello di sconti significa sacrificare i margini di guadagno» spiega Bloomberg.

Ci sono non a caso negozi che avevano cominciato a fare il Black Friday, ma che poi hanno smesso. E quest’anno, gli effetti degli sconti saranno ancora più visibili perché cade dopo il giorno di paga di molte categorie (il 27 del mese). Per i negozi, dice Bloomberg, non è facile tornare ai prezzi pieni, visto che dalla prossima settimana comincia il periodo delle festività, in cui la concorrenza diventa estremamente agguerrita. Contando poi che gli sconti per il Black Friday sempre più spesso cominciano giorni prima della festa del Ringraziamento, significa praticamente un mese con i margini di guadagno ridotti, a cui segue peraltro il momento dei saldi invernali. «I consumatori più consapevoli ormai sono in ritardo per impedire che il Black Friday abbia luogo nel 2019. Ma se riescono a far ragionare i negozianti in futuro, non sarà solo l’ambiente a guadagnarci».

Bloomberg non è comunque l’unica testata specializzata in economia ad aver messo in dubbio la convenienza del Black Friday per chi vende. Il sito Quartz nei giorni scorsi ha pubblicato un po’ di considerazioni e consigli di Peter Fader, docente di marketing alla Wharton School della University of Pennsylvania. Fader ha spiegato come il Black Friday attragga principalmente clienti poco affezionati, esattamente quelli che le aziende e i negozi dovrebbero coccolare di meno perché sono meno redditizi. Tutti gli investimenti in termini di margini di guadagno sacrificati e di straordinari pagati ai dipendenti sono quindi destinati a clienti occasionali, che secondo Fader solo in minima parte diventano poi abituali.

Per questo, Fader consiglia tre strategie per i negozi e i siti di e-commerce: saltare completamente il Black Friday, ed eventualmente fare come il marchio di abbigliamento sportivo americano REI, che dal 2014 chiude il proprio sito e i propri negozi, pagando comunque la giornata di lavoro ai dipendenti e invitandoli a passare la giornata all’aria aperta; la seconda è fare sconti molto oculati e conservativi, senza rischiare troppo; la terza, infine, è dedicare i veri sconti, quelli davvero convenienti, soltanto ai clienti abituali.