Cosa farà Bloomberg con Bloomberg?
La candidatura del miliardario americano alle primarie dei Democratici sarà un grosso problema per l'enorme agenzia di stampa che possiede
La candidatura dell’imprenditore Michael Bloomberg alle primarie dei Democratici statunitensi ha messo in grosse difficoltà la sua agenzia di stampa internazionale, una delle più grandi e autorevoli del mondo. Tradizionalmente, per scelta aziendale Bloomberg News non dà notizie su Michael Bloomberg, se non quelle più importanti e soltanto dopo che sono state date dagli altri media; l’agenzia fa la stessa cosa con i suoi concorrenti diretti, cioè le altre agenzie di stampa specializzate in notizie economiche, come Reuters e CNBC. Le nuove regole annunciate dal direttore di Bloomberg News John Micklethwait per raccontare la candidatura di Bloomberg sono a loro modo simili e per questo hanno attirato diverse critiche, anche se l’agenzia si trova oggettivamente in una situazione delicata.
Bloomberg ha 77 anni, è stato per oltre dieci anni sindaco di New York ed è la 14esima persona più ricca del mondo, con un patrimonio di oltre 50 miliardi di dollari. La sua società si chiama Bloomberg LP, conglomerato mediatico che fa la maggior parte dei suoi soldi con i Bloomberg Terminal, un famoso e imprescindibile software per investitori, analisti, broker e operatori del settore finanziario, che al prezzo di un abbonamento di circa 20mila dollari all’anno fornisce tutte le ultime notizie del settore. Si stima che gli abbonati ai terminal siano circa 325mila.
Ma Bloomberg LP è una multinazionale che comprende radio, tv, riviste e siti di news, che peraltro sono funzionali alla completezza delle informazioni fornite dai terminal. Nell’organizzazione lavorano in tutto 2.700 giornalisti, che producono circa 5mila articoli al giorno da 120 paesi diversi, pubblicati su oltre 400 testate diverse. «Nessun precedente candidato presidente ha posseduto una testata giornalistica di queste dimensioni», ha scritto Micklethwait nell’editoriale con cui ha spiegato la nuova linea di Bloomberg News.
D’ora in avanti, ha scritto Micklethwait, tutti gli editoriali saranno firmati, e il loro contenuto non sarà mai discusso in precedenza con Michael Bloomberg. L’editorial board, cioè i giornalisti e commentatori che decidono la linea della testata e la spiegano negli editoriali di redazione, sarà sospeso e in parte si unirà al comitato elettorale di Bloomberg. Storicamente, l’editorial board di Bloomberg News ha sempre rispecchiato fedelmente le posizioni del proprietario della testata. Gli altri opinionisti del giornale continueranno a scrivere i loro commenti, così come gli opinionisti esterni alla redazione, che però non scriveranno delle elezioni.
Come faceva già in precedenza, Bloomberg News non farà un lavoro investigativo su Bloomberg: si limiterà a riportare eventualmente le notizie più rilevanti sul suo conto pubblicate sugli altri giornali. È una linea editoriale che va avanti da anni: Bloomberg News non a caso non è stata la prima testata a dare la notizia della candidatura di Bloomberg, così come non era stata la prima quando si candidò a sindaco di New York quasi vent’anni fa.
Bloomberg News estenderà questo trattamento anche agli altri candidati alle primarie Democratiche, come già fa per le altre agenzie di stampa economiche: non indagherà quindi su Joe Biden, Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Pete Buttigieg e gli altri candidati Democratici, per evitare che eventuali scoop possano essere visti come tentativi di danneggiarli e favorire l’editore/candidato. Anche in questo caso, quindi, Bloomberg News darà le notizie sul loro conto riportate dagli altri giornali. Per ora l’agenzia continuerà invece a fare un lavoro investigativo sul presidente Donald Trump: ma lo interromperà se Bloomberg dovesse vincere le primarie (ipotesi al momento remotissima). In tutti i pezzi in cui si parlerà di elezioni, poi, Bloomberg News metterà in chiaro che uno dei candidati Democratici possiede la testata.
Micklethwait ha ammesso che il compito che spetta a Bloomberg News può sembrare molto complicato, ma ha proposto che non si perda tempo a pensare a tutte le possibili difficoltà ma le si valuti man mano che si presentano, prendendo decisioni caso per caso.
Più volte, dopo l’esperienza da sindaco di New York, Bloomberg era arrivato vicino a candidarsi alla presidenza. Megan Murphy, ex capo della redazione di Washington di Bloomberg News, ha detto al Financial Times che già nel 2016 era circolato un documento simile a quello diffuso da Micklethwait: «Misi in chiaro che se fosse stato ufficializzato mi sarei licenziata subito». In passato, Bloomberg aveva detto che avrebbe potuto vendere la sua società se si fosse candidato, oppure che l’avrebbe affidata a qualcun altro con un blind trust. L’anno scorso aveva addirittura ipotizzato che, in caso di una sua candidatura, Bloomberg News avrebbe potuto smettere di seguire la politica, cosa che impoverirebbe enormemente il suo servizio di informazione finanziaria. Non è andata così, e non ci sono indicazioni che possa succedere.
Bloomberg News ha comunque assegnato un giornalista alla copertura della campagna elettorale di Bloomberg, per raccontare come procede, cosa propone e come va nei sondaggi. La testata aveva fatto lo stesso in occasione della candidatura a sindaco di Bloomberg: Henry Goldman, a cui era toccato l’incarico, aveva detto alla American Journalism Review che era stato un «compito difficile».
Kathy Kiely, docente di giornalismo all’università del Missouri, ha raccontato a Politico che nel 2016 si licenziò da giornalista politica di Bloomberg News perché non poteva davvero occuparsi della ambizioni politiche di Bloomberg. «Ha assunto reporter bravissimi, ha grandi redattori, e poi li tiene in manette. (…) Decidi cosa vuoi fare, l’editore o il candidato», ha detto Kiely.
Come hanno commentato in molti, comunque, per quanto possano essere efficaci le regole delineate da Micklethwait, la campagna per le presidenziali statunitensi è una storia troppo centrale e influente perché, con tutti i limiti decisi per quanto riguarda la copertura delle primarie Democratiche, il servizio offerto da Bloomberg News non ne esca danneggiato, perlomeno finché Bloomberg sarà candidato.
Seppur con modalità diverse, il problema di Bloomberg News ricorda quello che si presentò al Washington Post nel 2013, quando fu comprato dal CEO di Amazon Jeff Bezos. Il direttore Marty Baron ha detto di non parlare mai di questioni editoriali con Bezos, che peraltro disse da subito di non voler interferire con le questioni quotidiane del giornale. Il Washington Post solitamente scrive che Bezos è il suo proprietario, quando si occupa di Amazon, ma è capitato che non lo facesse; inoltre negli anni ha ricevuto in diverse occasioni le critiche di chi ritiene che sia troppo morbido con la società di e-commerce e il suo fondatore. Non è secondario, comunque, che Bezos non si sia mai candidato alle elezioni.
In Italia, una situazione simile a quella di Bloomberg News si verifica praticamente da venticinque anni: fin da quando Silvio Berlusconi si candidò alle elezioni politiche del 1994 ci furono grandi allarmi sul ruolo che avrebbero avuto i suoi molti media, dalle televisioni di Mediaset (con annessi telegiornali) alle riviste, dal quotidiano Il Giornale alle case editrici. Il trattamento che riservarono – e riservano – a Berlusconi non fu lo stesso: ci furono direttori più indipendenti, come Enrico Mentana al TG5, e altri che invece rivendicarono la loro vicinanza a Berlusconi, come Emilio Fede al TG4. Ma in generale i media di Fininvest ebbero notoriamente un ruolo fondamentale nel successo politico di Berlusconi.