Una canzone di Beck
Con la esse o senza la esse
Cercavo una cosa e credo di essermi imbattuto nel primo articolo di musica che mi fu mai pubblicato (grazie, credo, all’uso di espressioni come “viscere dell’inferno”), vent’anni fa: era sui Red Hot Chili Peppers.
Invece, stasera sono brevemente ad Amsterdam, e mi è venuta curiosità di andare a vedere se avevo citato canzoni olandesi in Playlist: sì, tre. una dei Nits, una di Pete Philly and Perquisite, entrambe piuttosto notturne, e poi quella sdolcinatezza radiofonica indimenticabile dei Ten Sharp.
E ok, sapete cosa? Posso sbagliare ma non mi pare che l’Olanda abbia prodotto altro di più grosso di Eddie Van Halen (nato a Nimega e andato via a sette anni) e Tiësto. Ho molti amici olandesi, comunque.
Everybody’s gotta learn sometimes
È una canzone che ha più di una storia. Uscì nel 1980 e si intitolava in modo più grammaticalmente scolastico Everybody’s got to learn sometime: era una gradevole e un po’ svenevole ballata pop, con un arrangiamento sintetico adeguato ai tempi (molto simile all’allora ineludibile canzone del Tempo delle mele, per capirsi) e un testo insignificante, e diede allo sconosciuto duo dei Korgis un discreto successo internazionale, con molta programmazione radiofonica. Il successo della canzone, che aveva dentro una bellezza riconosciuta dai molti che ne fecero poi cover, fu completamente sproporzionato al resto dei tentativi dei Korgis, i cui membri hanno poi vivacchiato solo intorno a quella.
Poi nel 2004 arrivò Beck, “poliedrico” musicista californiano (credo questo esatto momento sia la prima volta che scrivo “poliedrico” in tutta la mia vita*), che ne fece una versione un po’ più asciutta e tenebrosa, splendida, per quello strano e bel film che si chiamava Eternal sunshine of the spotless mind, e che ho tuttora imbarazzo a indicare col suo titolo italiano. Nel titolo sul disco c’era una esse in fondo che però mi pare lui non pronunci. Il testo rimane poca cosa di versi appiccicati insieme in modo elementare per come suonano (l’autore invece lo spiega qui), ma nessuno ci fa caso: quel modo in cui il refrain si apre come un malinconico sorriso improvviso, non essendo nemmeno un refrain ma una semplice ripetizione di quella frase (ripetizione questa sì coerente con le parole, quasi una punizione da scrivere alla lavagna) nobilita tutto.
And everybody’s gotta learn sometime
Everybody’s gotta learn sometime
Everybody’s gotta learn sometime
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*(Macché, è la seconda: l’avevo già scritto di Frank Zappa nel 2002, che vergogna).