Lo sciopero delle calciatrici in Spagna
Chiedono l'aumento del salario minimo, calcolato anche in base alla crescita del campionato, per sopperire all'assenza di tutele lavorative
Nel fine settimana appena passato, l’intera nona giornata del campionato spagnolo femminile di calcio di prima divisione è stata rinviata a causa di uno sciopero a cui ha aderito circa il novanta per cento delle giocatrici. Lo sciopero era stato votato lo scorso ottobre, motivato dalla richiesta di migliori condizioni contrattuali: in particolare l’introduzione di un salario minimo annuale di 20.000 euro che sostituisca quello attuale da 16.000 euro concordato in passato con club e federazione. La decisione di non giocare nel fine settimana è arrivata in seguito all’esito negativo delle contrattazioni fra le parti.
Vista l’assenza di uno status professionistico per il calcio femminile spagnolo – come accade in Italia – le calciatrici vogliono sopperire alla mancanza di tutele lavorative con un aumento del salario minimo calcolato anche in base alla crescita degli introiti del campionato nazionale, che l’anno scorso ha raggiunto il record di 60.739 spettatori per una partita (Atletico Madrid-Barcellona). Secondo Ainhoa Tirapu, portiere del Bilbao, è una richiesta ragionevole che aiuterebbe soprattutto le giocatrici a tempo pieno che vengono però pagate “come se lavorassero solamente per dodici ore a settimana”.
Il movimento del calcio femminile spagnolo è uno dei più attivi e in crescita di tutta Europa. Per molti aspetti è simile a quello italiano: è stato a lungo trascurato, ma è stato anche ristrutturato in anticipo e ora è in grande fermento. Non è ancora al livello di quello tedesco e francese, ma intanto l’anno scorso il Barcellona è stata la prima squadra spagnola a giocare una finale di Champions League, mentre in questa stagione ha debuttato in campionato il Real Madrid, fino a poco tempo fa sprovvisto di una squadra femminile.
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