A Cuba poteva mancare tutto, ma non il gelato
Fidel Castro ne era golosissimo e dopo l'embargo statunitense decise di farselo da solo, tra nuove mucche tropicali e una gelateria simile a un'astronave
Il leader rivoluzionario cubano Fidel Castro era notoriamente appassionato di sigari, di baseball, dei suoi interminabili discorsi e di gelato: una volta, raccontò lo scrittore e suo caro amico Gabriel García Màrquez, riuscì a divorare 18 palline dopo un già generoso pranzo della domenica. Questa sua fissazione gastronomica non è solo un aneddoto divertente ma ha letteralmente plasmato la storia economica e le abitudini sociali di Cuba, in una lunga storia che tiene insieme sperimentazioni zootecniche, architetti modernisti, ragazze che diventano guerrigliere e capsule di veleno in un frappè.
Nel 1959 Fidel Castro e i suoi presero il potere deponendo il dittatore Fulgencio Batista e si asserragliarono nell’Hotel Habana Libre, che diventò il quartier generale dei rivoluzionari mentre Castro si riforniva quotidianamente al suo bar per i frappè, come racconta il sito Atlas Obscura. I rapporti con i vicini Stati Uniti precipitarono rapidamente: nell’ottobre del 1960 furono vietate quasi tutte le esportazioni a Cuba tranne quelle mediche e alimentari e iniziò un embargo economico che dura tuttora, ammorbidito dalla presidenza Obama e nuovamente rafforzato da quella di Trump.
Nel 1962 l’embargo entrò completamente in vigore, bloccando anche le esportazioni di cibo e farmaci. Poche ore prima dell’entrata in vigore dei nuovi divieti, l’allora presidente John F. Kennedy si era fatto spedire dall’isola 1.200 beni di consumo tra cui i celebri sigari. Qualcosa di simile fece anche Castro un po’ di tempo dopo, quando convinse l’ambasciatore canadese a inviargli 28 container di gelato Howard Johnson, la più grande catena americana di gelato del tempo, che veniva mangiato abitualmente anche da Castro. Nel 1963 la sua debolezza per il gelato fu sfruttata dalla CIA per cercare di assassinarlo e, come raccontò nel 2007 a Reuters l’ex capo della sicurezza di stato americana Fabian Escalante, fu la volta in cui ci andò più vicina. L’idea era far scivolare una pillola di veleno contrabbandata da un gangster mafioso nel consueto frappè ordinato da Castro all’Havana Libre; la pillola però si incastrò nel frigo e quando il cameriere cercò di prenderla si spezzò riversando a terra il veleno.
Ignaro di tutto questo, Castro cercava intanto una soluzione al non poter più importare gelato, latte, burro e formaggio dagli Stati Uniti: decise che se lo sarebbe fabbricato da solo e che avrebbe reso Cuba indipendente nel rifornimento e nella produzione di prodotti caseari. Era una vera impresa: significava costruire da zero l’industria casearia di un Paese dove le uniche vacche erano gli zebù, molto resistenti ma inadatte alla produzione di latte. Il grandioso proposito di Castro aveva però dalla sua i finanziamenti dell’Unione Sovietica, che gli consentirono di importare dal Canada le produttive vacche frisone, di comprare da Svezia e Paesi Bassi i macchinari per fare il gelato, di istruire i tecnici all’estero (sempre perlopiù in Canada) e di costruire, con lo slogan Helado por el pueblo (gelato al popolo), Coppelia: la cosiddetta Cattedrale del gelato.
Era, ed è tuttora, un grande stabilimento e bar con giardino, dove il gelato veniva prodotto, venduto e servito fino a mille persone contemporaneamente. Castro aveva affidato il progetto a Celia Sánchez, sua fidata consigliera che aveva conosciuto quand’era, come lui, una ragazza di buona famiglia: la figlia di un medico benestante di una provincia orientale del Paese che si era poi avvicinata alle idee rivoluzionarie di Castro. Si racconta che una volta, mentre lui si nascondeva con i rivoluzionari nella giungla, lei gli fece arrivare una torta gelato su un mulo per il suo compleanno. Già nel 1952 Sánchez aveva partecipato a un tentato colpo di stato contro Batista, si era unita alla guerriglia ed era diventata la prima donna della rivoluzione cubana a imbracciare un’arma.
Sánchez si rivolse all’architetto cubano Mario Girona che progettò Coppelia con un gusto modernista: la gelateria sembra un’utopistica astronave con una copertura a raggiera bianca e blu ed è ancora considerata un capolavoro dell’architettura del tempo. Il luogo scelto fu la frenetica Avenida 23 nel Vedado, quartiere verdeggiante e residenziale pieno di musei e gallerie d’arte; il nome, Coppelia, è un omaggio al balletto preferito di Sánchez e il logo sono le gambe di una ballerina. Divenne subito un centro di richiamo per i cubani della città, disposti ad attendere anche un’ora e mezza in fila per scegliere tra i 24 gusti disponibili, che divennero una cinquantina nei tempi d’oro: dai semplici cioccolato e vaniglia ai più esotici ananas, cocco con mandorle, guava (un frutto tropicale molto diffuso a Cuba). Poco dopo l’inaugurazione Castro disse che «prima della rivoluzione i cubani amavano il gelato di Howard Johnson» e che «questo è il nostro modo di mostrare che possiamo fare qualsiasi cosa meglio degli americani». Il gelato di Coppelia conservato nel ghiaccio finiva sulle tavole degli alti funzionari cubani, era spedito a feste gastronomiche in tutto il mondo e ad amici della Rivoluzione, come il leader vietnamita Ho Chi Minh.
Nel frattempo il sogno di autonomia casearia di Castro andava meno bene. Un terzo delle vacche importate dal Canada morì in poche settimane, scrive il giornalista Mark Kurlansky in Milk! A 10,000-Year Food Fracas, e aggiunge che «così Castro disse che avrebbero inventato una nuova razza di mucca cubana, la frisona tropicale». Nel 1972 nacque Ubre Blanca, l’esemplare più produttivo: Castro la esibiva con vanto ai giornalisti e ai funzionari stranieri e la faceva controllare a vista e vivere in una stalla con aria condizionata. In un giorno del 1982 Ubre Blanca riuscì a produrre 110 litri di latte, stracciando il record detenuto da una mucca americana, Arleen. Quando morì venne ricordata sul giornale di stato Granma, ottenne una cerimonia con gli onori militari, un elogio dal poeta Ricardo Pau-Llosa e una statua di marmo; nel 2002, scrive Vice, gli scienziati cercarono di clonarla servendosi di campioni di DNA prelevati quand’era in vita. Fallito il tentativo con la frisona tropicale, nel 1987 Castro ordinò agli scienziati di creare nuove mucche grandi come cani per la produzione domestica: ogni famiglia avrebbe avuto la sua mini-mucca che avrebbe sfamato con l’erba del giardino dietro casa; ma le mini-mucche non si videro mai.
Le cose peggiorarono a inizio anni Novanta, quando Cuba perse il rifornimento di latte in polvere dalla Germania dell’Est in seguito alla Riunificazione, insieme al burro e ai pingui finanziamenti dall’Unione Sovietica che si stava sgretolando. Dovendo scegliere dove indirizzare la scarsa produzione domestica, se per il burro o per il latte, Castro scelse il latte per garantire la produzione di gelato, uno dei pochi beni da sempre accessibili al popolo. Coppelia andò in declino e spesso rimase senza latte o con materie prime di scarsa qualità, finendo per restringere i gusti a soli tre. Altre gelaterie dell’Avana se la passavano peggio e alcune iniziarono a fare il gelato con l’acqua anziché con il latte, come raccontò il giornalista Hamish Anderson in un reportage per la rivista gastronomica Saveur, nel 2016.
Ora Coppelia è un luogo frequentato da cubani e turisti, che lo conoscono anche per le scene che vi vennero girate nel film Fragola e cioccolato del 1994, sulla vita degli omosessuali a Cuba; la qualità del gelato non è all’altezza del suo passato e le persone fanno la fila per ore per scoprire che il loro gusto è già finito. Tutti ordinano la Ensalada, cinque palline servite in una coppa di plastica, ovale e gialla, e sempre tutti, racconta Anderson, ne ordinano tre insieme, spazzolando 15 palline in un quarto d’ora. La bontà non è chiaramente la chiave del rito del gelato a Cuba: passare ore in coda ha fatto nascere storie d’amore e spaccato amicizie in una cornice che spesso è l’unico posto dove i cubani possono permettersi di mangiare o bere qualcosa fuori casa: «a Cuba il gelato è un evento sociale: le persone, che ancora vivono di beni razionati, godono collettivamente della rara esperienza di poter ordinare quanto vogliono di qualcosa, circondate dai loro connazionali, tutti insieme», spiega Anderson.
Nel 2010, il nuovo presidente Raúl Castro, fratello di Fidel, fece delle aperture economiche consentendo la nascita di ristoranti, bar e gelaterie private e in pochi anni molte famiglie che producevano il gelato in casa si misero a venderlo. Le gelaterie sono diventate una piccola moda: contrariamente a Coppelia, scriveva il Telegraph lo scorso luglio, hanno l’aria condizionata, poca coda e gusti artigianali come mango, mojito, papaya. Si distinguono da Coppelia anche per il costo: là una pallina costa 5 centesimi, mentre una pallina dall’elaborato Helad’oro arriva a un dollaro e per un cono da tre palline ce ne vogliono 3,5, quando lo stipendio medio di un cubano è di 30 dollari al mese.
Il nuovo gelato artigianale cubano è un lusso destinato ai pochi ricchi o ai turisti, è più prelibato ma manca del senso che ha avuto prendersi un gelato a Cuba finora: «ho mangiato il miglior gelato dell’Avana – ricorda sempre Anderson – in una gelateria dell’Habana Vieja, El Naranjal: era un piccolo panino farcito di gelato alla vaniglia. Ho fatto un minuto di coda e ho pagato l’equivalente di 60 centesimi, alla portata di qualsiasi cubano che ho incontrato poi sulla strada. Ma una volta fuori, mentre oltrepassavo le gelaterie straripanti di persone, ho capito perché la bontà del mio panino era solo un aspetto della cosa: lo finii da solo e poi tornai nella mia stanza».