Quelli che fanno il vino in Scandinavia
Una volta era una regione inadatta alla viticoltura, ma negli ultimi anni le cose stanno cambiando, grazie al riscaldamento globale
Quando si parla di cambiamenti climatici e di riscaldamento globale si pensa immediatamente a risvolti negativi per l’ambiente e per l’economia dei vari paesi, eppure c’è anche chi sta traendo vantaggio dal fenomeno. Nei paesi scandinavi, infatti, il riscaldamento globale sta permettendo la nascita di un settore agricolo fino ad oggi quasi del tutto inesistente, a causa del clima di norma rigido per gran parte dell’anno: la viticoltura.
Della possibilità che nell’Europa settentrionale si sviluppi una vera economia vitivinicola si parla da diversi anni, anche se la maggior parte delle volte come di una ipotesi ancora lontana. Come hanno raccontato di recente il Wall Street Journal e il New York Times, però, è molto più concreta di quanto possa sembrare. È quello che pensa, per esempio, Bjorn Bergum, che nel 2014 insieme a sua moglie ha piantato le sue prime viti a Slinde, in Norvegia, su un terreno scosceso che si affaccia sul fiordo più grande del paese e che si trova al 61º parallelo Nord: cioè, per intenderci, alla stessa latitudine del sud della Groenlandia e di Anchorage, in Alaska. Si potrebbe pensare che in un posto dove la principale attrazione turistica è il ghiacciaio Nigardsbreen non ci sia il terreno adatto per coltivare l’uva, eppure lo scorso anno a Slinde si è raggiunta una temperatura massima di 37 °C. «Non c’è dubbio, il cambiamento climatico è stato un bene per noi», ha detto Bergum.
Quello di Bergum è uno dei tanti esempi di imprenditori vinicoli che stanno contando sul riscaldamento globale per iniziare a produrre vini anche in posti storicamente inadatti. Per ora si tratta di piccole coltivazioni, se paragonate a quelle dell’Europa centrale e meridionale, ma i numeri sono in forte ascesa. Il New York Times scrive che in Danimarca, ad esempio, ad oggi ci sono 90 società che producono vino – quando 15 anni fa erano solo 2 –, in Svezia 40 e in Norvegia una dozzina. «Nei prossimi decenni produrremo sempre più vino in Scandinavia, mentre i paesi che hanno tradizionalmente dominato il mercato ne produrranno di meno», ha detto Sven Moesgaard, che in Danimarca ogni anno produce 20mila bottiglie nella sua azienda Skaersogaard.
Secondo le previsioni dei climatologi, tra 50 anni in Scandinavia le temperature potrebbero salire fino a 6 °C, diventando simili a quelle del nord della Francia. Nonostante la tendenza degli ultimi anni, con inverni sempre più miti e estati più calde, faccia ben sperare chi sta investendo in questo settore, si tratta ancora di una scommessa: «Siamo ancora una goccia nel mare», ha detto a proposito Hans Münter, a capo dell’associazione enologica danese. «Al momento non produciamo abbastanza vino per dire se questo sia un buon business o solo un business».
In queste regioni viene prodotto soprattutto vino da uva Solaris, Rondo e Vidal, varietà più resistenti al freddo ma anche meno pregiate di altre uve coltivabili nelle regioni calde. Il riscaldamento globale, però, ultimamente ha permesso ai viticoltori scandinavi di sperimentare anche la coltivazione di uve tipiche dei paesi caldi, come Chardonnay e Merlot. Questa tendenza riguarda tutto il Nord Europa, e non solo la Scandinavia, come ha sottolineato Hans R. Schultz, che studia come il clima influisca sulla viticoltura. Al Wall Street Journal ha detto che in Germania i territori più a Nord, che solitamente perdevano interi raccolti a causa delle gelate, dal 1987 in poi hanno avuto annate sempre migliori delle precedenti, con temperature medie tra aprile e ottobre che si attestano ormai intorno ai 18 °C, come nelle Adelaide Hills, la regione dell’Australia più nota per la produzione di vino.
Gli investimenti dei produttori scandinavi vanno di pari passo con le difficoltà dei produttori di paesi come Francia, Italia e Spagna, che devono avere a che fare con temperature molto più alte del solito, che mettono a rischio i raccolti. Per ovviare a questo, in Francia alcuni viticoltori stanno provando a innestare viti provenienti da paesi più caldi, come la Tunisia, sperando che risultino più resistenti, mentre in Italia e Spagna alcuni stanno investendo in terreni in altura, che al momento risultano troppo freddi per produrre vino, ma che tra qualche decina d’anni potrebbero diventare perfetti con l’innalzamento delle temperature.
Il mercato del vino scandinavo per ora è comunque limitato alle nazioni in cui viene prodotto, ed è molto lontano dalle cifre di vendita raggiunte da mercati storicamente più affermati: per fare un paragone, la produzione di vino in Francia vale 28 miliardi di euro all’anno, mentre in Svezia, Norvegia e Danimarca vale complessivamente 14 milioni di euro. Il problema, come sottolinea il New York Times, è che produrre vino in Scandinavia è molto più impegnativo che nelle regioni dell’Europa meridionale, che ricevono ingenti sussidi dall’Unione Europea. Per questo motivo i vini scandinavi sono in media molto più costosi di vini di uguale livello prodotti altrove, e secondo gli esperti del settore il prezzo elevato non sarebbe giustificato da una qualità altrettanto elevata.
I produttori scandinavi sperano che con loro possa succedere quello che è accaduto in passato nel Regno Unito, dove nelle South Downs, le colline calcaree nel sud del paese, viene prodotto un vino spumante che qualcuno ha paragonato al più noto Champagne francese. Proprio per questo motivo alcuni produttori francesi, come Taittinger e Vranken-Pommery, negli ultimi anni hanno acquistato diversi terreni britannici con la speranza che nei prossimi anni, se il riscaldamento globale arrecherà danni ai vitigni della regione della Champagne, in Francia, avranno la possibilità di continuare a produrre vino nel Regno Unito.
Moesgaard si augura che lo stesso possa accadere anche in Danimarca, e che i grandi produttori europei comincino a investire nei paesi scandinavi a causa dei cambiamenti climatici: «Produrremo vino dove prima non era possibile farlo. Nessuno può dire di essere felice dei cambiamenti climatici, ma noi dobbiamo cogliere i vantaggi che conseguono da questa opportunità».