Bisogna obbligare chi va in bici a usare il casco?
Ci sono ottimi motivi per pensarlo, ma c'è anche chi è contrario per ragioni a cui effettivamente si pensa poco
Ogni tanto, ormai da anni, capita che parlando di biciclette e sicurezza stradale qualcuno tiri fuori la questione del casco obbligatorio. Di recente se ne è parlato negli Stati Uniti, dove l’agenzia federale sulla sicurezza dei trasporti ha suggerito di imporre l’obbligo, e in Italia, dove ha fatto lo stesso il CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, con un disegno di legge per una riforma del codice della strada.
La tesi di chi vorrebbe imporre l’uso di un casco, e conseguenti sanzioni per chi non lo indossa, è semplice: in alcuni casi può salvare la vita. Ed è un dato di fatto che gli incidenti che coinvolgono ciclisti siano un grave problema: in particolare in Italia, dove in media muore un ciclista ogni 32 ore, per più di 16mila incidenti ogni anno. Ma ci sono anche molte persone, compresa la gran parte di quelle che si occupano di ciclismo e mobilità ciclistica, che sostengono che l’obbligo del casco per chi va in bici sarebbe controproducente.
Prima di parlare delle ragioni di entrambe le parti, va però precisata una cosa: chi si oppone all’obbligo del casco per i ciclisti è contrario all’obbligo, non al casco. I ciclisti professionisti – che lo fanno di lavoro e sanno guidare una bicicletta meglio di chiunque altro – lo indossano sempre, anche in allenamento. E il suo uso è certamente consigliatissimo a chiunque: a chi, come i ciclisti professionisti, pratica il ciclismo con bici da corsa, su strada, come sport; ma anche per chi usa altre biciclette in altri contesti. Nessuno mette in discussione che in certi incidenti, avere in testa un casco – che però deve essere di un certo tipo, indossato e allacciato in un certo modo – possa salvare la vita.
Quelli che vogliono l’obbligo
Dei dibattiti sull’obbligo del casco per chi va in bici si è occupato nel dettaglio Bike Nation – How Cycling Can Save the World, un libro del 2017 di Peter Walker. In un estratto pubblicato sul Guardian Walker presenta la posizione di chi è a favore dell’obbligo parlando di John Black, un medico e consulente governativo britannico esperto di primo soccorso. Black parla di «semplice buonsenso», e chiede a chi legge di immaginare di dover cadere sbattendo la testa sull’asfalto o su un marciapiede, e di pensare se vorremmo o meno un casco tra la nostra testa e il suolo.
È difficile dare numeri chiari, perché bisogna prendere in considerazione dinamiche degli incidenti, velocità dei mezzi coinvolti, tipi di caduta e tipi di caschi, ma come ha scritto di recente il New York Times ci sono studi che hanno dimostrato che i caschi «riducono di circa il 60 per cento la possibilità di un grave trauma alla testa e che – prendendo in considerazione incidenti mortali tra il 2010 e il 2017 in cui si sa con certezza se il ciclista avesse o meno il casco – il 79 per cento dei ciclisti morti non indossava il casco». Gli studi di questo tipo sono molti, alcuni con percentuali addirittura più alte.
La posizione di chi vuole introdurre l’obbligo è quindi intuitiva, ma anche basata su qualche dato generale: quando c’è un incidente e si ha un casco ci sono meno possibilità di farsi male, o addirittura di morire se l’incidente è molto grave. Va da sé, quindi, che secondo questa tesi tutti i ciclisti dovrebbero indossare un casco per legge.
In genere si tende a pensare che chi non metta il casco lo faccia per pigrizia, volontà di evitare una spesa in più, scarsa voglia di un oggetto da qualcuno percepito come antiestetico o, più semplicemente, per un generico sprezzo del pericolo. L’idea di chi vuole l’obbligo del casco è che la logica e facile soluzione per ovviare a questi ostacoli sia l’imposizione per legge del casco.
Quelli che non vogliono l’obbligo
Ma in realtà la questione è molto più complicata, e lo è perché ci sono cose che vanno contro quel «buonsenso» di cui parlava Black, pur essendo a loro modo molto sensate.
Il fatto è che, anziché pensare a una singola testa che sbatte contro l’asfalto, bisogna pensare più in grande alla cosiddetta eterogenesi dei fini, cioè alle conseguenze non del tutto previste che un’azione potrebbe avere. In poche parole: imporre a tutti il casco avrebbe la conseguenza che un certo numero di persone rinuncerebbero del tutto a usare la bicicletta: questo, a sua volta, renderebbe meno pressante la necessità di rendere più sicure le strade per i ciclisti, e quindi comporterebbe sempre meno ciclisti su strade sempre meno sicure.
Alla lunga, l’imposizione del casco farebbe con ogni probabilità diminuire il numero dei ciclisti. Invece, l’obiettivo principale di ogni iniziativa pensata per i ciclisti dovrebbe essere di aumentarne il numero, in base al principio – più volte dimostrato – che in inglese è noto come safety in numbers, secondo il quale, molto semplicemente, più ciclisti ci sono e più aumenta la loro sicurezza. FIAB, la Federazione italiana ambiente e bicicletta, lo ha mostrato con numerosi dati che spiegano appunto che «c’è una correlazione tra ciclabilità e riduzione dell’incidentalità, che a sua volta porta a un ulteriore aumento dei ciclisti».
Il fatto che qualche ciclista smetterebbe di usare la bicicletta se lo si obbligasse a usare un casco, rendendo così meno potenti le istanze dei ciclisti, non è però l’unico punto su cui fa leva chi si oppone all’obbligo del casco. C’è anche un problema di sicurezza percepita, sia da parte dei ciclisti che degli altri utenti della strada (in particolare degli automobilisti).
Un esperimento spesso citato quando si parla di biciclette, caschi e automobili fu fatto nel 2006 da Ian Walker, che insegna statistica e psicologia del traffico all’università di Bath, nel Regno Unito. Mentre andava in bicicletta, Walker misurò quanto vicino gli passarono, per superarlo, circa 2.500 automobilisti. Nel 50 per cento dei casi pedalava con il casco, nell’altro 50 per cento senza. I risultati mostrarono che mentre aveva il casco gli automobilisti lo superavano standogli più vicino, in media di 8,5 centimetri.
Non c’è un solo ed unico motivo per spiegare questo fenomeno, in seguito confermato da un altro studio di Walker: forse gli automobilisti pensano che chi indossi un casco sia automaticamente più al sicuro, e quindi prendono meno precauzioni nel superarlo. O forse, nell’interpretazione di Walker, gli automobilisti pensano che un ciclista con il casco sia più “serio”, e che quindi ci siano meno possibilità che perda il controllo del mezzo mentre viene superato. A prescindere dai motivi, tutto lascia comunque credere che in effetti un automobilista possa vedere in un casco qualcosa che, almeno in parte, lo deresponsabilizza.
Ma succede qualcosa di simile anche a chi è in bici. Secondo diversi studi, per il semplice fatto di avere un casco, un ciclista potrebbe sentirsi almeno in parte autorizzato a fare cose che altrimenti non farebbe. È una sorta di comportamento che fa parte di quella che è nota come teoria della compensazione del rischio, in base alla quale – molto brevemente – più ci si sente sicuri e più si prendono rischi. Anche in questo caso sono stati fatti esperimenti (uno anche da Walker), ma forse ancora più che nel caso precedente basta pensare alla propria esperienza per rendersene conto.
Insomma, avere un casco riduce di certo i danni in caso di caduta, ma è anche possibile che il fatto stesso di avere un casco aumenti almeno un po’ la possibilità di cadere.
Chi si oppone all’obbligo dei caschi per i ciclisti spiega anche che, a ben vedere, solo una parte minoritaria di tutti gli incidenti che coinvolgono ciclisti comportano gravi danni alla testa. Spesso, quando un ciclista cade per conto suo, magari in città, c’è tempo e modo per cadere senza sbatterla. E in molti casi di incidenti tra auto e ciclisti, il problema è l’impatto tra l’auto e il corpo, non solo l’eventuale botta alla testa. Il casco aiuta spesso, ma in molti casi di incidente i ciclisti muoiono anche se lo indossavano.
C’è addirittura chi – per provocazione – dice che guardando i dati di incidenti e infortuni nel traffico, anche moltissimi automobilisti e moltissimi pedoni riportano danni, talvolta letali, alla testa. E che quindi, a ben vedere, sarebbe utile imporre l’uso del casco anche a chi guida o cammina per una città, oltre che a chi ci pedala. C’è persino chi – sempre per provocazione, ma comunque partendo da alcuni dati – ha fatto notare che, visti i tanti incidenti domestici, in particolare in doccia, imponendo l’obbligo di un casco a chi fa la doccia si potrebbero salvare forse ancora più vite di quante se ne salvino imponendo l’obbligo del casco a chi va in bicicletta.
Quindi
Nonostante se ne parli ciclicamente – almeno una volta a legislatura, di recente per proposte fatte dalla Lega – per ora in Italia chi va in bicicletta non è obbligato a usare un casco, nemmeno se minorenne. Esistono paesi – o parti di paesi – che impongono o hanno imposto il casco a chiunque andasse in bici: i casi più noti e studiati sono l’Australia, la Nuova Zelanda e la Svezia. Ma la maggior parte dei paesi sono contrari all’obbligo: e tra loro ci sono anche la Danimarca e i Paesi Bassi, due tra i paesi più ciclabili. E due paesi in cui chi va in bici di solito non usa il casco, cosa che potrebbe avvalorare la tesi della safety in numbers. Si va in bici di più e si muore di meno, facendolo.
Esistono studi e dati su come sono cambiate le cose nei paesi che hanno introdotto l’obbligo del casco, e in genere si parla di meno ciclisti e un po’ meno incidenti. Ma ogni analisi è complicata dal fatto che l’introduzione dell’obbligo del casco non è quasi mai un’iniziativa indipendente da altre, ma è inserita in una generale revisione dei codici stradali e delle leggi, cosa che rende difficile isolare cause ed effetti.
La stragrande maggioranza di chi si occupa di mobilità sostenibile – e quindi di biciclette – è contraria all’obbligo del casco, perché sostiene che sia una proposta facile a un problema complesso, con un’eccessiva enfasi sulla sicurezza passiva del ciclista, trascurando tutto ciò che gli sta attorno. Facendo inoltre passare l’idea che prendere una bicicletta e usarla su una strada debba essere un’attività rischiosa, quasi estrema, quando in realtà non dovrebbe affatto essere così. Ma, ancora una volta, visto che a volte in effetti rischiosa lo è, chiunque indossi o voglia indossare un casco deve farlo.