ArcelorMittal dice che spegnerà gli altoforni dell’ILVA

Significa che la produzione dovrà rimanere ferma per mesi e forse anni, e riprenderla costerà centinaia di milioni di euro: i sindacati dicono che la società «ha gettato la maschera»

(ANSA/WWW.ILVATARANTO.COM)
(ANSA/WWW.ILVATARANTO.COM)

ArcelorMittal, la società multinazionale indiana che minaccia di abbandonare l’acciaieria ex ILVA di Taranto, ha annunciato la sua intenzione di spegnere gli altoforni dell’impianto, un’azione che porterebbe alla sospensione per mesi e forse anni della produzione e danni per molti milioni di euro. La decisione ha colto di sorpresa politici e sindacati, che si sono opposti in maniera quasi unanime. Un ricorso d’urgenza è stato depositato oggi al tribunale di Milano per bloccare le intenzioni della multinazionale e obbligarla a tenere accesi gli altoforni. Per oggi sono previsti nuovi incontri tra il governo e i manager della multinazionale.

La decisione di spegnere la cosiddetta “area a caldo” dell’impianto di Taranto è stata comunicata ieri dall’amministratrice delegata Lucia Morselli nel corso di un incontro con i sindacati. Morselli ha detto che il 13 dicembre sarà spento l’altoforno numero due, seguirà l’altoforno 4 il 30 dicembre e infine l’altoforno 1 il 15 gennaio. Nel frattempo saranno spenti anche vari altri impianti essenziali per la produzione. Per Rocco Palombella, segretario generale della UILM, con questo annuncio ArcelorMittal ha «gettato la maschera», rivelando la sua intenzione di abbandonare l’impianto e lasciarlo in una condizione che lo renda impossibile da utilizzare per un possibile concorrente.

L’annuncio della multinazionale è stato particolarmente sorprendente perché il giorno prima il presidente della Puglia, Michele Emiliano, in seguito a un incontro con Morselli aveva annunciato che ArcelorMittal avrebbe atteso diversi mesi prima di iniziare le procedure di spegnimento.

Se effettivamente l’azienda riuscirà a spegnere gli altoforni, i danni all’impianto di Taranto saranno particolarmente gravi. Gli altoforni sono strutture molto complesse, alte decine di metri, all’interno delle quali partendo dal minerale di ferro e bruciando carbone si produce la ghisa. Devono sempre restare accesi: spegnerli significa romperli, almeno in parte. Per riattivarli è necessario effettuare una complessa procedura di ricostruzione che può impiegare più di un anno di tempo e costare decine se non centinaia di milioni di euro. Alcuni addetti hanno inoltre spiegato ai giornali che lo spegnimento di un altoforno è un’operazione così delicata che di solito se ne pianifica una soltanto e con un anno di anticipo. ArcelorMittal parla invece di spegnerne tre in poche settimane: «Forse sono dei maghi», ha detto uno di loro al Corriere della Sera.

Al momento, l’unico modo di evitare lo spegnimento degli altoforni sembra un intervento della magistratura. L’ex ILVA è ancora di proprietà dello stato, mentre ArcelorMittal è soltanto un affittuario che si è impegnato all’acquisto nei prossimi anni. Oggi, i commissari statali di ILVA hanno presentato un ricorso al tribunale di Milano in cui sostengono che lo spegnimento degli altoforni creerebbe un gravissimo danno all’impianto e che quindi ArcelorMittal deve immediatamente bloccare il suo piano.

Dieci giorni fa era stata proprio ArcelorMittal a rivolgersi al tribunale di Milano, comunicando formalmente la sua intenzione di sciogliere il contratto che la legava all’impianto. Fino a pochi giorni fa tutti i principali attori della vicenda erano convinti che la multinazionale avrebbe atteso una decisione del tribunale sulla legittimità della sua richiesta di interruzione del contratto prima di intraprendere azioni concrete. L’annuncio di ieri, invece, ha colto tutti di sorpresa.

Tra le ragioni che ArcelorMittal ha fornito per giustificare la sua decisione c’è l’ingiunzione da parte dei giudici di Taranto di procedere alla messa in sicurezza di uno dei tre altoforni entro il 13 dicembre (una procedura già avviata, ma ancora lontana dall’essere completata). L’altra ragione è la rimozione dello scudo penale nei confronti di manager di ILVA. ArcelorMittal sostiene che, in queste condizioni, continuare ad operare gli altoforni senza scudo penale rappresenti un rischio di cause legali per i suoi dirigenti (qui avevamo spiegato tutta la vicenda).

Quasi nessuno è convinto che queste siano le uniche ragioni per lasciare l’impianto. Il governo ha infatti offerto a ArcelorMittal di ripristinare lo scudo penale e di trovare un modo per prorogare il termine dei lavori di messa in sicurezza dell’altoforno che la magistratura ha ordinato di spegnere, ma in diversi incontri e documenti la multinazionale ha fatto sapere che non sono offerte sufficienti. Per rimanere, ArcelorMittal chiede al governo l’autorizzazione a licenziare 5 mila dei circa 10 mila dipendenti dell’azienda e il conseguente spegnimento dell’area a caldo di Taranto (quella dove si trovano gli altoforni).

Il problema sarebbe invece la cattiva situazione del mercato internazionale dell’acciaio, che avrebbe reso l’investimento in ILVA, e molti altri in giro per il mondo, non più convenienti. Al momento, ArcelorMittal si sta scontrando con i governi di diversi paesi per rinegoziare le sue promesse di investimento, ridurre la produzione, chiudere impianti e licenziare lavoratori. Nel 2018 ArcelorMittal, controllata dal miliardario indiano Lakshmi Mittal (uno degli uomini più ricchi del mondo: qui abbiamo raccontato la sua storia e quella della sua società) ha distribuito utili ai suoi azionisti per circa 5 miliardi di euro, un terzo dei quali sono stati incassati dalla famiglia Mittal dopo un complicato giro attraverso società con sedi in paradisi fiscali. A causa della crisi dell’acciaio, il 2019 dovrebbe essere un anno più difficile per la società, ma le agenzie di rating prevedono che gli azionisti continueranno a ricevere alcune centinaia di milioni di euro di dividendi.