Cos’è l’urbanistica tattica
Un modo di cambiare le città senza spendere troppi soldi e usando diversamente lo spazio: alcuni esempi si iniziano a vedere anche qui
di Gabriele Gargantini
Da circa un anno il comune di Milano ha iniziato a rinnovare alcune piazze con alberi, fioriere, panchine, tavoli da ping pong e, soprattutto, con tanta vernice, grazie a un programma che si chiama Piazze Aperte, che è stato avviato nel 2018 e proseguirà certamente anche nel 2020. Piazze Aperte ha portato alla rimodulazione di diverse piazze e strade – tra cui Piazza Dergano, Piazza Angilberto, Porta Genova e Spoleto-Venini – mentre già sono stati decisi gli interventi in altre quattro piazze e altre nuove proposte si possono presentare attraverso un bando il cui termine è il 20 novembre. È il modo in cui Milano sta mettendo in pratica la cosiddetta urbanistica tattica, un particolare approccio di cui si è davvero iniziato a parlare solo da pochi anni, che si basa sull’idea che possa bastare relativamente poco – poco tempo e poco budget – per cambiare una strada o una piazza (con la vernice, ma non solo).
L’urbanistica tattica (ma si usa anche il calco dall’inglese “urbanismo tattico”) è un approccio che prevede diversi tipi di azioni – a volte fatte direttamente dai cittadini, altre dalle amministrazioni locali – che hanno lo scopo di migliorare gli spazi pubblici per renderli più utili e piacevoli per chi li usa. Dato che molti spazi pubblici sono attraversati o occupati dalle auto, l’urbanistica tattica prevede soluzioni creative per far sì che le persone possano attraversarli meglio non solo in auto, o addirittura fermarcisi a leggere, chiacchierare, lavorare o bere qualcosa. Ma non è solo questione di pedonalizzare alcune aree: in molti casi le auto possono continuare a passare, ma entro certi limiti di spazio e di velocità; e in altri casi si tratta semplicemente di rendere più evidente – anche solo riverniciando le superfici – lo scopo originale di certi spazi.
Non c’è una vera e propria data di nascita dell’urbanistica tattica: un primo importante testo è Tactical Urbanism: Short-Term Action, Long-Term Change, che uscì nel 2011, ma come ha spiegato Bikeitalia è da qualche decennio che, in giro per il mondo, qualcuno faceva qualcosa che, anche se ancora non si chiamava così, rientrava in quello che poi sarebbe diventato l’urbanistica tattica. Se si libera lo spazio precedentemente usato per parcheggiare un’auto e ci si mettono dei bancali per creare delle sedute e un tavolino a cui chi vuole si può sedere, si fa – in piccolo – urbanistica tattica. Più in grande, l’urbanistica tattica può riguardare anche intere piazze, e usare la cosiddetta “rimodulazione dello spazio” per creare cosiddette “isole di socialità“. In certi casi si tratta semplicemente di riverniciare le strisce pedonali, magari in modo un po’ creativo; in altre di trasformare un crocevia tra strade in un luogo di ritrovo per bambini, coppiette, compagnie di amici o pensionati.
Così come molte altre città del mondo, per i suoi progetti di urbanistica tattica Milano collabora con Bloomberg Philanthropies: una società no profit guidata dall’imprenditore ed ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che a fine ottobre ha presentato una guida e un bando (valido solo per città americane) per incentivare le amministrazioni a «riappropriarsi degli spazi cittadini attraverso l’arte», in particolare attraverso l’uso della vernice sull’asfalto. Nella guida allegata al progetto, la Asphalt Art Guide, Bloomberg Philanthropies – che investe centinaia di milioni di dollari in oltre 500 città di più di 100 paesi – parla di strumenti e tattiche per spiegare come fare e mostra alcuni esempi di chi l’ha già fatto. In tutti i progetti della Asphalt Art Guide (alcuni dei quali sono in realtà opere di street art più che azioni con finalità urbanistiche) un ruolo fondamentale ce l’ha la vernice.
CityLab, il sito di urbanistica dell’Atlantic, ha parlato dell’iniziativa di Bloomberg Philantropies in un articolo dal titolo: “Vuoi delle strade migliori? Basta un po’ di vernice“. L’articolo spiega che negli anni in cui Bloomberg era sindaco, New York riuscì a togliere al traffico quasi un chilometro quadrato di “spazio stradale” per dedicarlo ai pedoni o a chi volesse usarlo per farci qualcosa che non fosse guidare o parcheggiare, «per trasformare le strade in qualcosa di diverso dal “mare grigio” che molte strade finiscono per essere». CityLab ha scritto che «i colori sull’asfalto possono servire a far rallentare le auto», facendo cioè in modo più creativo quello che già dovrebbero fare le strisce pedonali, ma anche a «identificare chiaramente gli spazi dei pedoni».
Libby Schaaf, sindaca di Oakland, in California, ha spiegato che l’uso creativo della vernice sull’asfalto «non serve solo a migliorare l’estetica e la sicurezza ma anche a fare place keeping» a rendere cioè palese che certi spazi possano e debbano essere usati da chi vive lì vicino. Per essere più chiara, Schaaf ha detto: «In genere le persone non hanno un rapporto allegro con le strade. È dove prendono le buche con l’auto, è dove non trovano parcheggio. Le strade sono uno dei posti in cui si ha il peggior rapporto con le proprie amministrazioni». Ha spiegato, quindi, che è nell’interesse di tutti cercare di rendere quel rapporto più proficuo e positivo.
È impossibile mettere sullo stesso piano città americane e città italiane, perché hanno storie, strutture e di conseguenza problemi diversi. Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che, specie nelle grandi città, le strade siano anche in Italia spesso «uno dei posti in cui si ha il peggior rapporto con le proprie amministrazioni». Anche il comune di Milano ha scelto, per tutti i progetti finora realizzati o in corso di realizzazione, di usare tanta vernice. In certi casi – come per esempio nell’area di Porta Genova – la vernice (nel frattempo molto sbiadita) ha avuto soprattutto finalità estetiche.
In altri interventi fatti per Piazze Aperte la vernice è invece stata inserita in progetti di altro tipo: è servita a ridurre e modificare il traffico o quantomeno la presenza di automobili parcheggiate, e, di conseguenza, cambiare i modi in cui le persone interagivano con quei luoghi.
Il modo migliore per rendersi conto di come cambia una strada o una piazza grazie all’urbanistica tattica è viverci vicino o passarci vedendola piena. Ma inizia a esserci anche qualche dato: in merito a una delle piazze “aperte” di Milano negli ultimi mesi – Piazza Angilberto, vicino a Corvetto – il comune ha scritto che «la comparazione dei dati raccolti, prima e dopo la sperimentazione, dimostra che il 71 per cento degli intervistati è d’accordo con la pedonalizzazione, il 52 per cento dichiara di utilizzare più frequentemente la piazza, mentre il 70 per cento vorrebbe che la sperimentazione diventasse permanente». Il comune ha anche spiegato che per le piazze Dergano e Angilberto, in cui l’urbanistica tattica era stato applicato in modo temporaneo, «è pronto il progetto definitivo che renderà permanente il restyling avviato un anno fa».
Sempre il comune di Milano risponde così a una domanda che salta fuori quando si parla di urbanistica tattica:
Cosa succederà al traffico automobilistico?
Il traffico automobilistico sarà riconfigurato, ma sarà comunque garantito l’accesso alle residenze locali, alle attività, alle scuole e a tutte le attività nell’area del progetto.
Quello delle auto non è però un problema che si può archiviare in tre righe. Parlando di urbanistica tattica – e quindi di alcuni dei progetti di Piazze Aperte – c’è infatti il rischio di pensare che basti appunto un po’ di vernice per cambiare le cose. L’architetto e urbanista Matteo Dondé, che da anni si occupa di sperimentazioni dal basso di “zone 30“, ha spiegato che molti di questi interventi «che hanno l’obiettivo della sicurezza e riqualificazione urbana, tralasciano la parte fondamentale della moderazione del traffico». «Fino a un anno fa di urbanismo tattico non ne parlava nessuno», spiega Dondé: «Ce lo siamo inventati adesso». E aggiunge: «Se parli di moderazione del traffico la gran parte della gente ti guarda stranita».
Dondé promuove iniziative dal basso che rientrano nell’ambito dell’urbanistica tattica e dice che, per poter essere più efficaci, i progetti di urbanistica tattica devono «promuovere dal basso l’idea della qualità delle strade», integrata in una «nuova cultura della mobilità». Dondé spiega quindi – citando l’esempio della rivoluzione urbanistica di Barcellona – che «anche il progetto più bello del mondo, se non lo spieghi, non serve».
L’urbanistica tattica è quindi un nome nuovo per pratiche tutt’altro che nuove, che possono partire dal basso o essere decise e implementate dall’alto, con un negoziante che si “riappropria” dello spazio che gli spetta davanti al suo negozio o con una città come Barcellona che prova a realizzare un progetto enorme e decennale. Chi come Dondé se ne occupa da anni spiega però che, per far sì che le strade non siano «uno dei posti in cui si ha il peggior rapporto con le proprie amministrazioni», la parte estetica (la vernice) deve essere un mezzo, non solo un fine.