Guida alle ennesime elezioni in Spagna
Si vota per la quarta volta in quattro anni: i Socialisti sono dati avanti, ma potrebbe non essere sufficiente per fare un governo
di Elena Zacchetti
Domenica si vota in Spagna per rinnovare il parlamento, nella speranza che poi si trovi un accordo per dare la fiducia a un nuovo governo. Le ultime elezioni politiche si erano tenute infatti ad aprile, ma mesi di negoziati e colloqui tra i principali partiti non avevano portato a niente, soprattutto per i disaccordi tra le due principali forze di sinistra del paese, il Partito Socialista (PSOE), del primo ministro uscente Pedro Sánchez, e Unidas Podemos, coalizione di forze di sinistra guidate da Pablo Iglesias, uno dei fondatori di Podemos.
La situazione di stallo nella politica spagnola, peraltro, non va avanti solo da aprile: quelle di domenica sono le quarte elezioni in quattro anni ed è molto probabile che nemmeno queste, come le precedenti, faranno emergere una maggioranza netta intenzionata ad appoggiare un nuovo governo.
Come siamo arrivati fin qui
Negli ultimi quattro anni la politica spagnola è stata un susseguirsi di negoziati, accordi e acrobazie per provare a garantire maggioranze in parlamento.
Nell’ottobre 2016, dopo due infruttuose elezioni tenute nel giro di pochi mesi, il PSOE decise di permettere la formazione di un governo guidato dal Partito Popolare (PP), di centrodestra, astenendosi nel voto di fiducia. Fu una decisione molto sofferta, arrivata dopo i peggiori risultati elettorali di sempre ottenuti dal PSOE e dopo la sfiducia al segretario Pedro Sánchez (che in seguito si sarebbe ripreso il suo posto). Il governo conservatore fu poi sostituito nel giugno 2018 da uno socialista guidato proprio da Sánchez, dopo l’approvazione di una mozione di sfiducia contro l’allora primo ministro Mariano Rajoy.
Anche il nuovo governo Sánchez, appoggiato dalla coalizione di sinistra Unidos Podemos e da diversi partiti locali autonomisti e indipendentisti (tra cui quelli catalani), durò poco. A febbraio 2019 Sánchez convocò elezioni anticipate nel mezzo di una crisi iniziata con la bocciatura della legge di bilancio. La legge non era passata a causa dall’opposizione dei partiti indipendentisti catalani, che avevano legato il proprio appoggio all’avvio di negoziati che avrebbero dovuto portare alla convocazione di un referendum sull’indipendenza della Catalogna, cosa che finora nessun governo spagnolo ha mai voluto concedere. Si tennero così nuove elezioni ad aprile, nelle quali i Socialisti diventarono il primo partito, guadagnando molti seggi senza però ottenere da soli la maggioranza assoluta. I successivi negoziati con Unidas Podemos (nuovo nome di Unidos Podemos) fallirono, per motivi legati per lo più alla distribuzione degli incarichi di governo, e furono convocate nuove elezioni: quelle di domenica.
La campagna elettorale e la questione catalana
L’ultima campagna elettorale spagnola è stata piuttosto breve, almeno ufficialmente, visto che la precaria situazione politica degli ultimi anni ha portato di fatto i partiti a fare campagna perenne. Si è parlato molto di immigrazione irregolare, ma anche di riforma del sistema pensionistico e del trasferimento del corpo del dittatore Francisco Franco, tema su cui si dibatteva da anni e che ha sempre diviso la politica spagnola (il corpo di Franco alla fine è stato trasferito il 24 ottobre, su iniziativa del PSOE). Il tema di cui si è discusso di più però è stato un altro: la Catalogna.
La questione catalana è al centro del dibattito politico da più di due anni, cioè dal referendum per l’indipendenza della Catalogna tenuto l’1 ottobre 2017 e considerato illegale dallo stato e dalla magistratura spagnola.
In sintesi: nessun partito nazionale spagnolo appoggia l’indipendenza della Catalogna, e solo la coalizione di sinistra Unidas Podemos è favorevole a permettere un referendum che risolva la questione. Gli altri grandi partiti nazionali si distinguono tra loro per essere più o meno intransigenti verso gli indipendentisti catalani. Al principio, per esempio, il PSOE di Sánchez era sembrato più aperto al dialogo rispetto all’ultimo governo conservatore di Rajoy, anche perché parte delle possibilità dei Socialisti di andare al governo passavano per l’appoggio dei partiti indipendentisti catalani al parlamento di Madrid: dopo una iniziale apertura, però, Sánchez è tornato a essere più rigido, anche per la presenza a capo del governo catalano di Quim Torra, considerato un indipendentista radicale.
Ancora più intransigenti di Sánchez sono i partiti di destra, tutti contrari a qualsiasi concessione. Negli ultimi anni questa intransigenza ha premiato prima Ciudadanos, per molto tempo considerato il partito più duro nei confronti degli indipendentisti catalani, e ora Vox, partito che si è costituito parte civile nell’ultimo processo terminato con le sentenze di condanna contro 12 leader indipendentisti.
Il tema della Catalogna potrebbe rimanere centrale anche dopo il voto, in fase di negoziati post-elettorali, soprattutto nel caso di vittoria del blocco di sinistra. Bisognerà infatti vedere come saranno i rapporti tra PSOE e partiti indipendentisti catalani, i quali potrebbero risultare di nuovo fondamentali per la formazione di un governo guidato dai Socialisti. La situazione si è molto complicata negli ultimi giorni, per due sviluppi.
Il primo è che è venuto fuori che alcuni membri dei Comitati per la Difesa della Repubblica, gruppi che fanno disobbedienza civile per favorire la nascita di uno stato catalano indipendente, stavano progettando di prendere il controllo del parlamento catalano occupandolo per una settimana: la notizia è stata molto ripresa dai giornali spagnoli e non è ancora chiaro se e quanto il governo indipendentista fosse a conoscenza del piano. Il secondo è che Sánchez, volendo mostrare quanto il suo governo sia impegnato a tenere una posizione dura contro gli indipendentisti e a riportare e processare in Spagna l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, ha sostenuto che la Procura generale dipenda dal governo, mettendone in dubbio l’imparzialità. L’uscita di Sánchez ha indispettito non poco gli ambienti indipendentisti (oltre che la Procura), che da sempre accusano lo stato spagnolo di muoversi in tribunale secondo criteri politici, e non giudiziari.
Le divisioni della sinistra
Il problema di formare un governo di sinistra, anche in caso di vittoria del PSOE, è legato ai pessimi rapporti tra Socialisti e Unidas Podemos, soprattutto tra i due rispettivi leader, Pedro Sánchez e Pablo Iglesias.
Negli ultimi mesi Iglesias e Sánchez si sono rivolti accuse molto dure, attribuendosi a vicenda la responsabilità del fallimento dei negoziati per formare un governo. Iglesias ha detto di credere che Sánchez valuterà la possibilità di negoziare un governo di coalizione dopo le elezioni di domenica, soprattutto in caso di buon risultato elettorale di Unidas Podemos. Sánchez ha già detto però di scartare questa possibilità, e di essere disposto a negoziare solo sul programma, e non sugli incarichi, condizione che aveva già imposto nelle ultime settimane di colloqui.
Alle elezioni di domenica si presenta un nuovo partito a sinistra, una novità: si chiama Más País, si definisce progressista, socialdemocratico, ecologista e femminista, ed è guidato da Iñigo Errejón, ex importante dirigente di Podemos uscito dal partito dopo disaccordi con Iglesias. Más País, partito con una storia molto recente e legata finora alla politica locale della comunità autonoma di Madrid, è nato con l’obiettivo di raccogliere consensi tra gli elettori disillusi del PSOE e di Unidas Podemos, e favorevoli a un accordo tra forze di sinistra per andare al governo. Per il momento però i sondaggi sembrano non essere troppo favorevoli al partito di Errejón.
L’ascesa di Vox a destra
Risultati significativamente diversi rispetto alle ultime elezioni potrebbero arrivare nel blocco delle destre, dove negli ultimi mesi è molto cresciuto Vox, partito della destra radicale, anti-femminista e anti-immigrazione, guidato da Santiago Abascal.
Vox è una formazione politica piuttosto recente: entrò per la prima volta in un parlamento spagnolo nel dicembre 2018, raggiungendo un ottimo risultato alle elezioni locali dell’Andalusia, poi ottenne il 10 per cento dei voti alle elezioni generali di aprile (conquistando 24 seggi), e ora potrebbe fare ancora meglio. La crescita di Vox sembra essere legata per lo più alla crisi in Catalogna, tema su cui Abascal ha adottato posizioni molto dure e intransigenti, e sembra poter danneggiare soprattutto Ciudadanos, partito liberale che negli ultimi anni si è spostato sempre più a destra. Vox, ha scritto il giornalista Jordi Pérez Colomé sul País, è anche il partito che è stato in grado di sfruttare al meglio i social network, con un numero di reazioni ai vari post molto superiore ai suoi avversari.
Il primo partito della destra spagnola rimarrà quasi sicuramente il PP di Pablo Casado, che dopo il pessimo risultato delle elezioni di aprile – il peggiore della storia del partito – dovrebbe riuscire a risollevarsi anche grazie a un leggero spostamento verso il centro. Negli ultimi due anni, infatti, il PP si era progressivamente spostato verso destra, di fatto spingendo molti elettori di centro a votare il PSOE.
Cosa dicono i sondaggi
Gli ultimi sondaggi pubblicati dal País dicono che il primo partito sarà il PSOE con il 27,2 per cento dei voti (-0,6 per cento rispetto alle elezioni di aprile), davanti al PP con il 20,8 per cento (+3,9), a Vox con il 13,5 per cento (+3,5), a Unidas Podemos con il 12,4 per cento (-1,6), Ciudadanos con il 9 per cento (-6,9) e Más País con il 3,7 per cento (alle elezioni di aprile non si era presentato). La maggioranza dei seggi in parlamento è fissata a 176 e per il momento, stando ai sondaggi, gli unici governi possibili sembrano essere quelli di sinistra, sempre che PSOE e Unidas Podemos riescano a trovare un accordo.