Il problema dell’ILVA non è solo lo “scudo penale”
Nell'incontro con il governo i nuovi proprietari dell'ILVA dicono che per proseguire il loro investimento vogliono licenziare metà dei dipendenti della grande acciaieria di Taranto
ArcelorMittal, azienda multinazionale franco-indiana dell’acciaio, ha detto al governo italiano che per proseguire il suo investimento nell’acciaieria ILVA intende licenziare metà degli attuali dipendenti, che sono poco più di 10 mila. In caso contrario la società proseguirà il percorso legale che ha già avviato per sciogliere il contratto che la obbliga ad acquistare la più grande acciaieria d’Europa, l’ex ILVA appunto, che si trova a Taranto.
In un incontro durato tre ore, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha provato a persuadere la società a tornare sui suoi passi e ha offerto il ripristino dello “scudo penale”, la norma che protegge proprietari e dirigenti dell’azienda dal rischio di essere coinvolti in cause per i problemi ambientali e di sicurezza creati dalle gestioni precedenti dell’impianto. Lo scudo penale era stato fortemente depotenziato pochi giorni fa dal Parlamento e questa decisione, inizialmente, era sembrata la principale ragione dietro la decisione di ArcelorMittal (qui abbiamo spiegato tutta la questione).
Ma i rappresentanti di ArcelorMittal hanno fatto capire che non è quello il problema centrale. Con l’attuale crisi globale dell’acciaio e il rischio di dover spegnere alcuni altoforni per ordine della magistratura, sostengono i manager, l’investimento in ILVA non è più conveniente. Le condizioni per proseguire, hanno spiegato, sono tre: ripristino dello scudo legale, autorizzazione a licenziare circa 5 mila dipendenti di ILVA e ridurre la produzione-obiettivo da sei a quattro milioni di tonnellate; infine, l’approvazione di una legge che permetta di tenere aperti gli altoforni sotto esame della magistratura per ancora 14-16 mesi.
Conte ha definito le condizioni poste da ArcelorMittal «inaccettabili», ma intanto le trattative proseguono. Oggi il governo incontrerà i sindacati, che rimproverano alla politica i continui cambi di posizione sullo scudo penale, ma ora chiedono tutti di mantenere la posizione e, se necessario, andare allo scontro con la multinazionale per difendere i posti di lavoro. Di sicuro il governo continuerà a trattare con la società e nei prossimi giorni ci saranno probabilmente nuovi incontri.
Dal punto di vista legale, ArcelorMittal è vincolata all’ILVA da un contratto di affitto che, se tutto dovesse andare bene, si trasformerà in acquisizione nel giro di un paio d’anni. Il contratto era stato firmato alla fine del 2018, dopo una lunga trattativa. Con il contratto, ArcelorMittal si impegnava a un investimento complessivo di circa 4 miliardi di euro nell’impianto, tra interventi di bonifica e messa a regola degli impianti e nuovi investimenti, e a mantenere tutti i dipendenti della società. Al momento dell’acquisto, l’acciaieria si trovava da tre anni in una gestione commissariale dopo l’estromissione dei precedenti proprietari, la famiglia Riva, accusata di aver compiuto numerosi reati ambientali nella sua gestione dell’impianto.
Il caso è iniziato questa settimana quando i legali di ArcelorMittal hanno depositato al tribunale di Milano l’atto formale con cui hanno iniziato le procedure per uscire dal contratto. Nel documento sono elencate le stesse ragioni per interrompere il contratto che sono state presentate al governo ed è scritto esplicitamente che «anche se la protezione legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il contratto».
In teoria, scrive il Corriere della Sera, 25 giorni dopo la deposizione dell’atto ArcelorMittal avrebbe diritto a lasciare l’azienda, ma difficilmente il tribunale di Milano avrà già deciso per allora se effettivamente le condizioni sono cambiate così tanto da rimuovere il vincolo di ArcelorMittal. Ci vorranno mesi per arrivare a una decisione e se ArcelorMittal dovesse disimpegnarsi prima rischierebbe di dover tornare dentro l’azienda e dover pagare pesanti penali. Al momento gli esperti sono divisi sull’aspetto legale della questione e non è chiaro se effettivamente quanto sostenuto da ArcelorMittal costituisca una giustificazione sufficiente per interrompere il contratto.
Non sarà semplice raggiungere un accordo. Come molti esperti fanno notare da quasi un anno, nell’attuale situazione economica internazionale l’ILVA non è più un buon affare per ArcelorMittal. L’azienda ha tutto l’interesse a uscire dall’investimento e potrebbe considerare un successo anche la chiusura dell’impianto, che eliminerebbe la possibilità del subentro di un suo concorrente.
Le forze di maggioranza parlamentare e di governo sono divise, creando una situazione difficile a una trattativa efficace. In particolare un gruppo molto determinato di deputati e senatori del Movimento 5 Stelle (in gran parte eletti in Puglia con un programma a favore della chiusura dell’impianto) è più volte riuscito a imporre la sua visione sul loro partito e sui suoi alleati (secondo diversi giornali, il capo del Movimento 5 Stelle avrebbe detto riferendosi a questo gruppo: «Non li controllo più»). Soltanto nell’ultimo anno, grazie agli sforzi di questo gruppo, il famoso “scudo penale” è stato tolto, rimesso e tolto nuovamente. Lega, PD, Liberi e Uguali e Italia Viva si sono di volta in volta piegati alle loro richieste, salvo poi criticarle.
Se le trattative con ArcelorMittal dovessero fallire e il tribunale dovesse riconoscere le buone ragioni dell’azienda a disimpegnarsi, non sarà facile trovare un sostituto. Il concorrente di ArcelorMittal nella gara dell’anno scorso ha già fatto sapere di non essere interessato per il momento. Senza un investitore, la società tornerà sotto gestione commissariale e sarà necessario trovare gli svariati miliardi di euro che servono per proseguire il piano ambientale e mettere in sicurezza la città di Taranto. Dell’alternativa, chiudere l’ILVA, per il momento, non sembrano voler parlare in molti.