Le scarpe sono piene di plastica
Soprattutto le sneakers, racconta il National Geographic, e sono plastiche difficili da separare e riciclare: ma qualcosa sta cambiando
La plastica è uno dei materiali più usati al mondo ma è anche uno dei più complicati da riciclare, e per questo motivo il suo impatto sull’ambiente negli ultimi anni è diventato un problema sempre più sentito da tante persone in tutto il mondo. Gli sforzi per utilizzare meno plastica possono andare da piccoli gesti come non acquistare prodotti in plastica monouso o utilizzare prodotti realizzati con plastica riciclata, ma ci sono alcuni prodotti in cui la plastica, anche se a prima vista non si direbbe, è presente in grande quantità, e farne a meno non è facile: le scarpe. Dalla tomaia alla suola, dall’intersuola ai lacci, in particolare nelle sneakers, la plastica è presente in varie forme in molti componenti delle scarpe. A causa del modo in cui le scarpe vengono fabbricate, poi, sono quasi impossibili da riciclare: i pezzi che le compongono sono incollati e saldati l’un l’altro.
Come ha spiegato di recente un articolo del National Geographic, non è sempre stato così. Un tempo infatti le scarpe erano fatte esclusivamente di materiali naturali, e solo di recente la plastica è diventata un componente fondamentale per la loro realizzazione. Fino alla prima metà dell’Ottocento le scarpe erano fatte essenzialmente con una tomaia in pelle, una suola in gomma o sughero e i tacchi in legno, ma verso la fine del secolo l’evoluzione della società portò alla necessità di un nuovo tipo di scarpa, più pratica, leggera e comoda. L’industrializzazione e la diffusione del lavoro in fabbrica, inoltre, avevano creato un concetto fino ad allora sconosciuto: le vacanze estive. D’estate le fabbriche chiudevano per i lavori di riparazione dei macchinari, così moltissimi operai avevano del tempo libero da utilizzare per viaggiare o andare in villeggiatura al mare. Sempre nello stesso periodo, inoltre, iniziò a diffondersi l’idea di praticare sport per divertimento.
Sia per andare in vacanza che per praticare sport, però, le pesanti scarpe da lavoro non andavano bene: si cominciò così a utilizzare la gomma naturale (anche detta caucciù), ricavata fin dall’antichità dal lattice di alcune piante ma fino a quel momento inutilizzata in abbigliamento perché troppo morbida. Nel 1839, poi, Charles Goodyear inventò la vulcanizzazione della gomma, un processo chimico che permetteva di rendere più stabile il caucciù. La gomma divenne così il materiale principale per la realizzazione delle suole delle scarpe sportive, che risultavano più pratiche da indossare in contesti informali, e comode per fare sport.
La gomma naturale, per quanto vulcanizzata, aveva il grosso difetto di essere poco resistente agli agenti atmosferici e alle alte temperature, motivo per cui nel corso del Ventesimo secolo venne rapidamente sostituita dalla gomma sintetica, realizzata tramite polimerizzazione di idrocarburi. All’inizio del Ventesimo secolo, inoltre, sempre più donne lasciarono gli ambienti domestici per entrare nel mondo del lavoro, iniziando a diventare economicamente indipendenti: la plastica si rivelò un prodotto perfetto per fare scarpe poco costose, e in particolare per realizzare tacchi che fossero allo stesso tempo leggeri e resistenti.
L’utilizzo della plastica nelle scarpe continuò ad aumentare negli anni Sessanta e Settanta, perché quel materiale permetteva di creare forme e colori stravaganti che si adattavano bene alle nuove mode giovanili. Alla fine degli anni Settanta, poi, arrivò la cultura del jogging: le aziende iniziarono a produrre scarpe adatte a correre su lunghe distanze, con un’ammortizzazione maggiore data dall’utilizzo di nuovi materiali sintetici nell’intersuola. Alcune inoltre iniziarono a utilizzare materiali sintetici anche per le tomaie, che risultavano più versatili della pelle o della tela, ma che si deformavano meno con il tempo. Questo permise ai designer di potersi sbizzarrire nelle forme e nei colori da dare alle proprie scarpe.
Questa tendenza è diventata sempre più attuale negli ultimi anni, con le aziende produttrici di sneakers che hanno cercato di proporre intersuole sempre più morbide, con la promessa che possano far sentire meno la fatica a chi le indossa e che la schiuma al loro interno restituisca energia al piede durante lo sforzo atletico. Il caso di cui più si è parlato di recente è quello della scarpa Nike Vaporfly Next% con cui lo scorso 12 ottobre il keniano Eliud Kipchoge è diventato il primo uomo a correre 42,195 chilometri in meno di due ore: secondo diversi esperti questo particolare tipo di scarpa aiuterebbe effettivamente i podisti a correre più velocemente grazie a una lamina di fibra di carbonio inserita nell’intersuola, che accumula e poi rilascia energia a ogni passo.
La buona notizia è che in futuro potrebbe essere lo stesso mondo della moda a proporre, involontariamente, la soluzione del problema ambientale legato alle scarpe. Nicoline van Enter, esperta di design di scarpe, ha detto al National Geographic che la tendenza degli ultimi anni – creare scarpe sempre più leggere, sia per una questione economica che di design – consente di utilizzare meno materiali diversi, meno colla e meno pezzi assemblati. Alcune aziende, inoltre, hanno iniziato a produrre scarpe realizzate con materiali naturali o riciclati, oppure fatte con un solo materiale plastico e quindi interamente riciclabili, come le Futurecraft Loop di Adidas, attualmente in fase di sviluppo.