In Cile continuano le proteste
Nonostante il presidente Sebastián Piñera abbia cambiato otto ministri, sostituendo alcuni di quelli più ostili ai manifestanti
In Cile continuano le proteste antigovernative iniziate più di 10 giorni fa, causate soprattutto da forti disuguaglianze economiche e sociali. Il 28 ottobre il presidente conservatore Sebastián Piñera ha cambiato otto ministri del suo governo, scegliendone alcuni considerati più di centro e in generale meno ostili ai manifestanti e alle loro richieste, ma nonostante questo i manifestanti hanno continuato a protestare e in certi casi a causare incendi in alcune delle principali città del paese. Non sembra, quindi, che il “rimpasto di governo” voluto da Piñera – tra l’altro il terzo in 15 mesi – possa essere sufficiente a risolvere la crisi sociale del paese, la più grave da quando nel 1990 terminò il regime di Augusto Pinochet.
Le proteste in Cile erano iniziate il 18 ottobre dopo l’approvazione di una legge che aumentava il prezzo del biglietto della metropolitana della capitale Santiago, già molto caro se confrontato con lo stipendio medio dei lavoratori cileni. All’inizio si era trattato solo di proteste pacifiche, poi alcuni manifestanti hanno anche iniziato ad assaltare e dare fuoco a negozi e attività commerciali. Negli ultimi giorni gli scontri si sono fatti più intensi, per le strade di alcune città è arrivato l’esercito e in poco più di dieci giorni sono morte almeno 17 persone, centinaia sono state ferite e migliaia sono state arrestate. Il movimento non ha dei leader riconosciuti e – seppur partito per via dell’aumento del prezzo del biglietto (tra l’altro nel frattempo cancellato) – ha a che fare con la sfiducia nei confronti della classe politica e le profonde disuguaglianze sociali nel paese. Il Cile, infatti, è uno dei paesi più ricchi dell’America Latina, a cui in passato ci si riferiva parlando di “miracolo cileno”, ma è anche uno dei paesi con le maggiori diseguaglianze sociali tra i 36 membri dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Da quando sono iniziate le proteste, la già bassa popolarità di Piñera – che ha 68 anni ed è presidente dal 2018, dopo esserlo stato tra il 2010 e il 2014 – è diminuita ulteriormente. Nei primi giorni delle proteste, Piñera aveva usato toni molto duri contro i manifestanti e aveva detto che lo Stato era in «guerra contro un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun limite». Negli ultimi giorni ha invece cercato atteggiamenti più concilianti: prima abolendo un coprifuoco notturno, poi facendo alcune proposte per diminuire le disuguaglianze sociali, poi facendo un cosiddetto “rimpasto” di governo.
Piñera ha detto che «il Cile è cambiato e anche il governo deve cambiare per affrontare le nuove sfide». Ha quindi sostituito otto ministri, compresi quelli dell’Interno, degli Esteri, delle Finanze e dell’Economia. Il nuovo ministro dell’Interno è l’avvocato Gonzalo Blumel, definito centrista; ha preso il posto di Andrés Chadwick, cugino e stretto collaboratore di Piñera, che aveva definito “criminali” i manifestanti e che era stato molto vicino a Pinochet. Blumel, invece, poco dopo essere diventato ministro ha detto che «qualcosa si è rotto in Cile» e ha detto di voler cercare il dialogo con i manifestanti. Tra i ministri sostituiti c’è anche l’ex ministro dell’Economia Andres Fontaine, che aveva invitato i lavoratori che protestavano contro l’aumento del prezzo dei biglietti (che riguardava solo le ore di punta) ad «alzarsi prima» la mattina.
Prima, durante e dopo il giuramento dei nuovi ministri, sono però andate avanti le proteste e gli scontri tra polizia e manifestanti, a Santiago ma anche in altre città come Antofagasta, Copiapo, Osorno e Valdivia. Diversi giornali spiegano che le proteste non sono indirizzate in particolare contro uno specifico governo e nemmeno contro la figura stessa di Piñera (di cui comunque molti manifestanti vorrebbero le dimissioni). Si tratta di una più grande protesta contro la situazione del paese e, come ha spiegato al Guardian l’analista Pablo Zeballos, l’opposizione non è riuscita a sfruttare a pieno queste proteste, perché chi manifesta «ritene colpevole l’intera classe politica». Sempre Zeballos ha spiegato che «la sfida per il governo sarà resistere per i prossimi giorni, provando poi a proporre un nuovo patto sociale e una soluzione politica alla crisi».