Sono ricominciate le proteste in Iraq
Contro le politiche del primo ministro Adel Abdul Mahdi: i manifestanti dicono che continueranno «fino alla caduta del regime»
Nel tardo pomeriggio di giovedì 24 ottobre in Iraq sono ricominciate le proteste contro le politiche del primo ministro Adel Abdul Mahdi, l’alto tasso di disoccupazione e la corruzione della classe politica del paese: l’Iraq è il secondo produttore di petrolio al mondo e il dodicesimo paese più corrotto, secondo Transparency International, una persona su cinque vive al di sotto della soglia di povertà e la disoccupazione giovanile è intorno al 25 per cento.
La prima fase delle mobilitazioni, iniziate a ottobre a Baghdad e a Nassiriya, aveva portato a violentissimi scontri con la polizia durante i quali erano morte 157 persone. A seguito della repressione le proteste erano state sospese e sono ricominciate solo nelle ultime ore. Sarebbero dovute iniziare oggi, a un anno dalla salita al potere del primo ministro Adel Abdul Mahdi, ma centinaia di persone le hanno anticipate e si sono radunate ieri sera in piazza Tahrir portando la bandiera tricolore dell’Iraq e chiedendo che la classe politica del paese venga «sradicata».
Alcune decine di manifestanti hanno anche cercato di avvicinarsi alla Zona verde, l’area nella quale si trovano i principali edifici governativi e le ambasciate straniere, e sono state respinte dalle forze di sicurezza con i cannoni ad acqua. Ci sono state proteste anche nelle città meridionali di Diwaniya e Nassiriya, dove i manifestanti hanno dichiarato che resteranno per le strade «fino alla caduta del regime». Nel frattempo, a partire da questa mattina e in vista delle proteste in programma da oggi in tutto il paese, molti cittadini stanno facendo scorta di cibo e di carburante. L’agenzia di stampa irachena, citando il ministero dell’Interno, ha poi fatto sapere che il paese è entrato nello stato di massima allerta.
Poco dopo la mezzanotte, Adel Abdul Mahdi ha parlato in televisione: ha difeso il proprio programma di riforme, incluso un rimpasto di governo, e ha detto ai manifestanti che era loro «diritto» protestare ma non «disturbare la vita pubblica». Il primo ministro si è poi lamentato del fatto che i governi precedenti non avevano dovuto affrontare le stesse contestazioni e che i politici che ora chiedono le riforme non sono riusciti loro per primi a metterle in atto, in passato. Le parole di Abdel Mahdi sembravano essere riferite a Moqtada Sadr, leader sciita del Movimento Sadrista, che guida l’opposizione in parlamento e che sta dando sostegno alle proteste.
Molti si aspettano che oggi i sostenitori di Sadr andranno in piazza, dopo il sermone del venerdì dell’Ayatollah Ali al-Sistani, la più importante figura religiosa del paese che ha già rivolto un messaggio ai manifestanti dicendo di appoggiare la loro causa e accusando il governo di aver represso in maniera violenta proteste nate pacificamente per chiedere più riforme.
Martedì scorso erano stati pubblicati i rapporti ufficiali sulla repressione di inizio ottobre: dicono che le forze di polizia hanno fatto uso «eccessivo» della forza, ma anche che nessun funzionario governativo di alto livello ha dato ordine agli agenti di sparare ai manifestanti mentre non si accenna alla questione dei gruppi di uomini armati non identificati che erano presenti in piazza a fianco degli agenti. Il 70 per cento dei morti durante quei pochi giorni di mobilitazioni è stato colpito alla testa o al busto, secondo il rapporto.