Il più grande narcotrafficante dell’Asia
È un cittadino canadese di origine cinese, si chiama Tse Chi Lop e fino a pochi anni fa era sconosciuto a tutti
Il giornalista di Reuters Tom Allard, dopo un anno di lavoro, ha pubblicato una lunga inchiesta su un narcotrafficante che, come ha detto Jeremy Douglas, direttore per la regione orientale dell’agenzia dell’ONU che si occupa di droga e crimine, non ha nulla da invidiare a Pablo Escobar o a “El Chapo”. Si chiama Tse Chi Lop, la sua organizzazione è soprannominata “The Company” o Sam Gor, che in cantonese significa “Fratello numero tre”, e in cinque anni ha quadruplicato i volumi del traffico di metanfetamina e ketamina verso la Nuova Zelanda e il Giappone. Il suo giro di affari è stimato tra gli 8 e i 18 miliardi di dollari circa l’anno.
Tse Chi Lop ha 55 anni ed è nato nella provincia del Guangdong, nel sud della Cina. La polizia di Taiwan lo ha definito «l’amministratore delegato di una multinazionale» ed è uno dei criminali più ricercati dell’Asia. Viaggia su un jet privato, è protetto da una squadra di otto kickboxer thailandesi che cambia regolarmente. Dietro di lui ci sono le potenti triadi di Hong Kong e di Taiwan, la yakuza giapponese, i bikers australiani e le bande della diaspora cinese nel sud-est asiatico. Quattro dei 19 leader della sua organizzazione sono cittadini canadesi, altri provengono da Hong Kong, Macao, Taiwan, Malesia, Myanmar, Vietnam e Cina.
Tse Chi Lop nacque durante la Rivoluzione Culturale di Mao, quando un gruppo di Guardie Rosse finì in prigione e decise di formare, con altri detenuti, una banda criminale chiamata il Grande Cerchio, simile a una triade. Tse divenne poi membro del gruppo, dice la polizia, e come molti dei suoi compagni si trasferì inizialmente a Hong Kong. Nel 1988 si spostò in Canada, dove ottenne poi la cittadinanza. Viaggiò avanti e indietro tra Nord America, Macao e Taiwan, diventando un trafficante di livello medio di eroina prodotta nel cosiddetto “Triangolo d’oro”, tra Myanmar, Laos e Thailandia.
Nel 1998 fu arrestato negli Stati Uniti per traffico di stupefacenti, ma sfuggì all’ergastolo sostenendo di avere genitori bisognosi di cure continue e un figlio di 12 anni malato ai polmoni. Alla fine, venne condannato a nove anni che scontò in un penitenziario dell’Ohio. Dopo il rilascio, nel 2006, tornò in attività dando vita a un’organizzazione molto discreta, disciplinata e sofisticata, e a un modello di business imbattibile, basato su una forma di assicurazione contro tutti i rischi: se uno dei carichi viene intercettato dalle forze di polizia, Tse lo sostituisce o rimborsa immediatamente il cliente, cosa resa possibile dal basso costo delle droghe sintetiche che traffica.
Rispetto ai cartelli latini, l’organizzazione di Tse ha un mercato più ampio, e collabora con una serie più diversificata di gruppi criminali locali. La rete ha anche meno probabilità di dover fare i conti con la violenza interna rispetto ai cartelli del Sud America, dice la polizia. Il giro di soldi è così grande che le rivalità di vecchia data tra gruppi criminali asiatici sono state messe da parte, in nome del perseguimento comune di profitti giganteschi.
Nel 2011, la polizia australiana identificò una rete di spacciatori a Melbourne. Gli importi e le quantità erano limitate e scelsero dunque di non fermare il traffico, ma di tenerla sotto sorveglianza per più di un anno. I carichi venivano di tanto in tanto intercettati e questo aumentò i contatti tra i vertici della rete. Nel 2013, la cellula di Melbourne venne convocata a Hong Kong per dei colloqui e lì la polizia vide per la prima volta Tse Chi Lop, il cui ruolo a quel tempo non era chiaro.
Iniziarono dunque a indagare su di lui: aveva un apparato di sicurezza molto grosso, ogni anno organizzava feste di compleanno in resort e hotel a cinque stelle, volava con la famiglia e il suo entourage su jet privati. Una volta rimase in un resort in Thailandia per un mese, ospitando i suoi ospiti a bordo piscina in pantaloncini e maglietta. Era un frequentatore assiduo di casinò e amava scommettere sui cavalli: «Riteniamo che abbia perso 60 milioni di euro in una sola notte ai tavoli di Macao». Mentre le indagini su Tse si approfondivano, la polizia cominciò a sospettare che fosse il principale trafficante che riforniva l’Australia di metanfetamina, eroina, ketamina e MDMA. Ma la vera portata e ampiezza di Sam Gor divenne evidente solo alla fine del 2016.
Nel novembre di quell’anno, un taiwanese di nome Cai Jeng Ze venne arrestato all’aeroporto di Rangoon. Si stava preparando a salire su un volo per tornare nel suo paese quando i doganieri birmani notarono che si grattava insistentemente le mani, coperte da una specie di eczema (la continua preparazione di metanfetamina irrita in modo permanente la pelle). La cosa li insospettì, Cai Jeng Ze fu perquisito e gli furono trovati addosso due pacchi di ketamina, attaccati ai fianchi. L’uomo si rifiutò categoricamente di parlare.
Su entrambi i suoi telefoni, vennero però trovate molte fondamentali informazioni che portarono all’apertura di numerose nuove piste di indagine: c’erano nomi, indirizzi appuntamenti e foto. Gli investigatori individuarono anche il video di una tortura: tre persone stavano colpendo un uomo con un pungolo da bestiame e gli bruciavano le dita dei piedi con una fiamma ossidrica. La persona torturata aveva buttato in mare 300 chili di droga perché credeva, a torto, che una nave in avvicinamento fosse della Guardia costiera. I suoi torturatori stavano “verificando” la veridicità del suo racconto e far girare e condividere quel video era un modo per inviare a tutti un messaggio sul prezzo della slealtà.
Le informazioni contenute nei telefoni di Cai portarono la polizia del Myanmar a fare irruzione in un edificio di Rangoon, dove sequestrarono 622 chilogrammi di ketamina. Quello stesso giorno, sequestrarono anche più di una tonnellata di metanfetamina sul molo del porto, nove persone furono arrestate, ma a parte Cai erano membri di livello inferiore dell’organizzazione, corrieri e autisti. E Cai non stava ancora parlando. Poi arrivò un’altra svolta.
In una foto contenuta nel telefono di Cai, un agente australiano riconobbe la faccia di Tse Chi Lop: a poco a poco gli investigatori cominciarono quindi a ricostruire l’organizzazione di Sam Gor, le sue gerarchie, e a capire che i gruppi criminali di vari paesi avevano subito una sorta di megafusione. Secondo le parole di un investigatore citato da Tom Allard, quella rete è così complessa e gestita sapientemente che «potrebbe competere con quella di Apple». E ancora: «Il potere che questa rete possiede è inimmaginabile».
Da lì in poi la polizia ha ottenuto diversi successi, ha intercettato e chiuso alcuni super laboratori, e ha arrestato una figura chiave di Sam Gor, nel marzo del 2018. Ma il flusso di droghe in uscita dal Triangolo d’oro sembra essere aumentato. Sono aumentati anche i sequestri, del 50 per cento circa, lo scorso anno, ma allo stesso tempo i prezzi della merce sono diminuiti. Più sequestri e prezzi più bassi «suggerisce che l’offerta di droga si sia ampliata», dice un rapporto dell’ONU pubblicato nel marzo 2019.
Tse Chi Lop è ora l’obiettivo principale di un’operazione antidroga chiamata “Kungur” e di cui prima dell’inchiesta di Reuters non si aveva notizia. Sotto la guida dell’Australia riunisce gli sforzi di venti differenti agenzie in Asia, Nord America ed Europa. Tse Chi Lop è tuttora in libertà.