Quanto funziona la pubblicità con gli influencer?
Meno di quanto si creda, secondo il Wall Street Journal, anche perché gli utenti iniziano a stancarsi: ma non è detto che le altre forme di pubblicità funzionino meglio
Tra le conseguenze del successo che ha avuto Instagram negli ultimi anni – un social network che ha oltre un miliardo di utenti mensili – c’è un notevole proliferare dei cosiddetti influencer, persone che sfruttano la loro popolarità sui social per influenzare comportamenti e acquisti di chi li segue. In questi anni tantissime aziende di ogni tipo hanno pagato gli influencer per farsi pubblicità in un modo considerato più al passo con i tempi ed efficace rispetto a molti altri. Ma iniziano a esserci dubbi sull’effettiva efficacia di questa pratica, almeno in certi casi e contesti. Come ha scritto il Wall Street Journal, «gli influencer ci dicono cosa comprare, ma chi li paga si sta chiedendo chi li ascolti».
Di influencer si parla molto da anni, ma continua a essere un fenomeno interessante, visto che anche solo restando in Italia si trovano molti profili di persone magari sconosciute al grande pubblico che però hanno centinaia di migliaia, a volte persino milioni, di follower. Ci sono influencer relativamente piccoli – generalmente noti come nanoinfluencer, con meno di 10mila follower – e ci sono quelli con milioni di follower come Chiara Ferragni o Kyle Jenner. In mezzo c’è di tutto: chi è famoso quasi solo su internet, praticamente solo per il fatto stesso di essere un influencer, e chi ha una professione ben definita – il cantante, il musicista, l’imprenditore – ma che è anche influencer. Non ci sono dati certi su quanto valga il mercato della pubblicità fatta attraverso gli influencer, ma il Wall Street Journal cita dati dell’agenzia di marketing Mediakix che stimano per il 2019 un valore globale compreso tra i 4 e gli 8 miliardi di euro. Si va dalle poche centinaia di euro che un nanoinfluencer può chiedere per un post sponsorizzato ai più di 100mila euro che possono chiedere gli influencer più noti.
La pubblicità tramite influencer è solo una parte relativamente piccola degli oltre 600 miliardi di euro che, secondo l’agenzia Zenith, le aziende di tutto il mondo spenderanno quest’anno in pubblicità di ogni tipo. Ma è comunque una parte importante, che negli ultimi due anni è cresciuta del 50 per cento all’anno.
Sono numeri che fanno pensare che il mercato degli influencer sia tutto tranne che in crisi. Eppure il Wall Street Journal ha scritto che sebbene anche quest’anno «le aziende investiranno miliardi di dollari negli influencer che promuoveranno i loro prodotti online», «non ci sono modi per misurare le vendite conseguenti, o anche solo per verificare quante persone vedano effettivamente i contenuti sponsorizzati». La tesi del Wall Street Journal è che questi soldi siano spesi male, ma nel valutarla bisogna tenere in considerazione che l’argomento sui dati è applicabile anche alle altre forme di pubblicità (anzi: le statistiche fornite dai social network permettono teoricamente di avere dati più precisi sul pubblico di un post rispetto a un cartellone pubblicitario o uno spot televisivo) e che la stampa tradizionale tende a essere particolarmente critica nei confronti del fenomeno degli influencer, visto che ha contribuito a sottrarle rilevanza e ricavi.
Secondo il Wall Street Journal, i problemi principali della pubblicità attraverso gli influencer sono due: la scarsa attendibilità di certi numeri di Instagram e quella che sembra essere una sempre maggiore diffidenza degli utenti nei confronti degli influencer e di certi loro contenuti.
Per quanto riguarda la scarsa attendibilità dei numeri, il problema è noto. Su Instagram, così come molti altri social network, è possibile – sebbene sia contro le regole – comprare follower o “mi piace” per gonfiare i propri numeri (il metodo principale attraverso cui gli influencer possono dare valore, parlando con le aziende, alle loro attività). Su Instagram mille follower possono essere comprati per poche decine di euro e in certi casi si possono comprare account che garantiscono anche un certo numero di “mi piace” o interazioni con il profilo che li ha comprati. Il Wall Street Journal scrive, citando una stima fatta da Roberto Cavazos, professore di statistica dell’Università di Baltimora, che «nel 2019 i raggiri degli influencer costeranno 1,3 miliardi di dollari a chi fa pubblicità con loro».
In certi casi però ci sono dei numeri affidabili: per esempio quando un influencer molto grande promuove un unico prodotto a suo nome, o quando esistono link tracciabili che permettono di quantificare quanti utenti sono arrivati a un sito grazie a un certo influencer. Di solito però i dati vengono comunicati all’azienda direttamente dall’influencer, spesso senza la verifica di parti terze.
Il secondo problema evidenziato dal Wall Street Journal riguarda il diminuito interesse che gli utenti sembrano mostrare verso i contenuti sponsorizzati degli influencer. Tra le cause ci sono la perdita di credibilità dovuta all’acquisto di follower da parte di alcuni, ma soprattutto una maggiore familiarità degli utenti con il funzionamento dei contenuti sponsorizzati, e una loro crescente saturazione degli spazi sui social network. Qualche anno fa era più facile rendere credibile e almeno un po’ autentica una pubblicità: oggi – con l’aumentare degli influencer e delle loro sponsorizzazioni, e con il fatto che i contenuti sponsorizzati devono essere chiaramente esplicitati – gli utenti hanno più esperienza e più strumenti per riconoscere, e magari evitare, un contenuto sponsorizzato. Anders Ankarlid, amministratore delegato del sito A Good Company, ha detto al Wall Street Journal: «I consumatori ora riconoscono se [un influencer] tiene davvero a un prodotto o se sta solo cercando di venderlo. La bolla sta iniziando a scoppiare».
A sostegno di questa tesi il Wall Street Journal cita alcuni dati raccolti da InfluencerDB, un’azienda che aiuta le aziende a collaborare con gli influencer. Secondo questi dati, tra il 2018 e il 2019 è diminuita la percentuale di follower che interagiscono (commentando o mettendo “mi piace”) con i contenuti degli influencer che seguono. Nel 2018 le interazioni con i profili che parlavano di viaggi erano dell’8 per cento (perché 8 follower su 100 interagivano con un post), e nel 2019 sono scese al 4,5 per cento. Le interazioni con i contenuti degli influencer di moda sono scese dal 5,3 al 3,5 per cento, quelle sulla cucina dal 6,7 al 3,2 per cento.
Tra le cause della diminuzione evidenziata da InfluencerDB – che non spiega però quali profili siano stati presi in considerazione – potrebbe esserci la scelta, da parte di Instagram, di nascondere ad alcuni utenti il conteggio dei “Mi piace” dai loro post (che comunque restano visibili a chi gestisce i profili). È una scelta fatta per andare incontro ai tanti utenti normali che, magari temendo di ricevere pochi “Mi piace”, finivano per pubblicare poco o niente. Ma potrebbe aver avuto un effetto negativo per gli influencer: c’è chi pensa, infatti, che fosse più probabile che certi utenti mettessero “mi piace” proprio perché l’avevano messo anche tanti altri.
Nonostante i dubbi su certi numeri, e nonostante certi numeri che mostrano una leggera flessione nell’interesse di utenti, è però presto per dire che il sistema di pubblicità attraverso gli influencer sia in crisi. Innanzitutto perché è grande e davvero vario – dal nanoinfluencer che parla a pochi utenti in genere molti affezionati di prodotti di un solo ambito, alle grandi star che fanno campagne su misura con grandi aziende – e soprattutto perché molte aziende evidentemente continuano a essere interessate alla cosa. Secondo Mediakix – che per quest’anno parlava di un giro di affari tra i 4 e gli 8 miliardi – nel 2020 le aziende spenderanno tra i 5 e i 10 miliardi per fare pubblicità attraverso gli influencer. Poi certo, le strategie pubblicitarie non sono mai statiche e si evolvono continuamente: l’azienda di abbigliamento Banana Republic, per esempio, dopo aver fatto contenuti sponsorizzati con l’influencer Olivia Palermo (6,2 milioni di follower) ha scelto di dare delle gift card da circa 150 euro a un po’ di clienti che fossero anche utenti Instagram “normali”, in cambio di una foto e una menzione sul loro profilo.