Perché si protesta in Cile
Le manifestazioni violente sono iniziate dopo l'aumento del costo del biglietto della metropolitana di Santiago nell'ora di punta, ma c'è molto altro
Dal 18 ottobre in Cile ci sono proteste antigovernative molto violente che hanno provocato la morte di almeno 15 persone, il ritorno dei militari per le strade della capitale Santiago, l’imposizione di un coprifuoco e «una delle maggiori sfide dal ritorno della democrazia nel 1990», l’anno della fine del regime di Augusto Pinochet, ha scritto il País. Le proteste sono iniziate due settimane fa, dopo l’approvazione di una legge che aumentava il prezzo del biglietto della metropolitana della capitale, già molto caro se confrontato con lo stipendio medio dei lavoratori cileni. Nel fine settimana il governo del presidente conservatore Sebastián Piñera ha annunciato la sospensione della legge, ma le proteste sono continuate.
Le immagini di mezzi blindati e di uomini armati in strada, dei saccheggi nei supermercati e dei danneggiamenti della metro di Santiago hanno fatto il giro del mondo e hanno provocato molta sorpresa: il Cile era considerato uno dei paesi dell’America Latina con l’economia più prospera e con la situazione politica più stabile, tanto che si era parlato a lungo di una specie di “miracolo cileno”. Questo “miracolo”, ha scritto però la giornalista Fernanda Paúl su BBC Mundo, «sembra abbia ignorato le richieste di una società che sostiene di essere stata maltrattata», che denuncia forti disuguaglianze economiche e sociali e che accusa i suoi leader politici di vivere su un altro pianeta e di non capire nulla di quello che sta succedendo.
Come è iniziato tutto
Le proteste in Cile sono iniziate due settimane fa dopo che era entrato in vigore un piccolo aumento del costo del biglietto della metropolitana di Santiago nelle ore di punta: la misura, che era stata suggerita da una commissione di esperti, prevedeva un aumento da 800 a 830 pesos cileni (da 0,98 a 1,02 euro circa).
Il 7 ottobre ci sono stati i primi ingressi di massa senza pagare il biglietto nelle stazioni della metropolitana di Santiago, guidati per lo più da studenti di licei della città. Oltre all’aumento del costo del biglietto della metro, gli studenti denunciavano la “mancanza di risorse” nell’istruzione cilena e i numerosi problemi delle strutture e aule scolastiche. Nei giorni successivi le manifestazioni hanno cominciato a coinvolgere anche altri settori della società, ma i protagonisti sono rimasti i più giovani più istruiti e politicizzati, come era già successo durante le proteste studentesche del 2006 e del 2011.
Lucía Dammert, analista politica e docente dell’Universidad de Santiago, ha spiegato al País che le proteste di questi giorni sono guidate «da una nuova generazione di cileni, che hanno meno di 30 anni, che non hanno conosciuto la dittatura [di Pinochet], aperti alla possibilità di esprimere le proprie sofferenze e che, disillusi, sentono che non hanno niente da perdere».
Le violenze sono iniziate invece venerdì 18, quando gli ingressi massivi nelle stazioni della metropolitana di Santiago sono stati accompagnati dai primi incendi, negozi saccheggiati e incendiati e altri atti di sabotaggio, e da diversi scontri per le strade tra polizia e manifestanti. La polizia ha risposto con cariche e gas lacrimogeni e venerdì notte il presidente Piñera ha dichiarato lo stato di emergenza a Santiago, garantendo poteri straordinari a polizia ed esercito e nominando il generale Javier Iturriaga responsabile delle operazioni. Sabato è stato imposto il coprifuoco a Santiago, e poi in altre grandi città cilene, come per esempio Concepción e Valparaíso, dove erano iniziate proteste simili a quelle in corso nella capitale.
Nel fine settimana il governo di Piñera ha annunciato la sospensione della misura che aveva aumentato il costo del biglietto della metro, e lunedì il parlamento l’ha approvata. Per il momento però non sembra che i manifestanti abbiano intenzione di fermarsi, perché le ragioni delle proteste sembrano essere molto più profonde. Il bilancio finora è di 15 morti, 88 feriti per colpi di arma da fuoco e più di mille persone arrestate.
Le disuguaglianze e il prezzo del biglietto della metro
È sempre complesso individuare con certezza le ragioni di proteste e violenze così dure e così improvvise: le cause sono sicuramente molte e non una sola, e di solito ognuno tende a vedere quelle che preferisce vedere, o a cercare le conferme di tesi e convinzioni che possiede già, fondate o no. Le proteste sono iniziate per un motivo relativamente piccolo e ultralocale, peraltro coinvolgendo innanzitutto gli studenti universitari della capitale, sicuramente non il segmento di popolazione più in difficoltà in Cile. «Non sono solo 30 pesos», ha scritto però la giornalista Paulina Sepúlveda su La Tercera, uno dei principali quotidiani del Cile, riferendosi al fatto che secondo lei l’aumento del costo del biglietto della metro della capitale nell’ora di punta non sarebbe la ragione centrale delle proteste. «Quello che si chiede è affrontare la disuguaglianza».
Al di là del fatto che sia o no la principale causa di tumulti così improvvisi, la società del Cile è da tantissimo tempo molto disuguale. Secondo un rapporto pubblicato nel 2017 dal PNUD, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo del Cile, il punto di partenza delle grandi disuguaglianze della società cilena fu l’assegnazione delle terre realizzata durante l’epoca coloniale spagnola, che favorì i discendenti «dei bianchi», cioè degli europei, e segnò l’inizio della classe alta cilena. Il documento del PNUD sostiene che nel corso degli anni quella struttura sociale così diseguale continuò a sopravvivere prima tramite il sistema delle “haciendas“, grandi aziende agricole dove da una parte c’erano i padroni, e dall’altra gli impiegati e i “peones“, i lavoratori agricoli, e poi tramite il sistema di lavoro imposto nelle miniere. Le diseguaglianze sarebbero poi state perpetuate nel passaggio alla moderna economia di mercato: «C’è una configurazione storica strutturale che prevede una distribuzione delle risorse, un quadro istituzionale, un sistema normativo e legale che danno forma a questi livelli molto diseguali di reddito e di rappresentazione politica», ha detto María Luisa Méndez, docente dell’Universidad Católica di Santiago, commentando il lavoro del PNUD.
Le forti disuguaglianze economiche sono arrivate fino al Cile di oggi. Cristóbal Bellolio, docente dell’Universidad Adolfo Ibáñez, ha detto a BBC Mundo che «non è un mistero che il Cile sia un paese molto disuguale, nonostante il fatto che oggi ci sia meno povertà rispetto al passato».
Uno dei problemi individuati negli ultimi giorni è stato l’aumento della distanza tra i ricchi e la classe media, che è diventata sempre più numerosa ma che non ha migliorato in maniera significativa le proprie condizioni di vita. Un dato significativo riguarda il salario: lo stipendio minimo stabilito per legge è di 301mila pesos cileni (370 euro), ma secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica del Cile la metà dei lavoratori cileni percepisce uno stipendio non superiore a 400mila pesos (490 euro).
Considerati questi numeri, per molti cileni l’aumento del biglietto della metro deciso dal governo a inizio ottobre ha avuto un certo impatto sulle finanze familiari, soprattutto perché è stato accompagnato dai recenti aumenti del costo della luce e dell’acqua, dalla crisi del sistema sanitario nazionale e da una riforma del sistema pensionistico privato che non è mai arrivata, nonostante se ne stia discutendo da diversi anni. Ci sono famiglie con basso reddito che possono arrivare a spendere in trasporti fino a quasi il 30 per cento del loro stipendio, mentre nelle classi sociali più ricche questa percentuale scende a meno del 2 per cento.
«Siamo in guerra contro un nemico poderoso»
Dal marzo 2018 il Cile è governato dal conservatore Sebastián Piñera, che era stato presidente anche tra il 2010 e il 2014. Secondo diversi analisti, tra cui Roberto Méndez, docente dell’Universidad Católica di Santiago, le proteste violente degli ultimi giorni hanno molto a che vedere con le aspettative prima alimentate e poi deluse dal governo Piñera, oltre che dai governi di sinistra degli anni precedenti guidati dalla presidente Michelle Bachelet: erano state promesse riforme del sistema didattico, fiscale e sanitario, che però o non si sono fatte o sono state considerate insufficienti. Uno dei problemi principali è stata la mancata redistribuzione della ricchezza, ma anche una sorta di impunità che la classe politica cilena si è assicurata per sé nel corso degli anni.
Sia l’opposizione cilena sia alcuni sostenitori di Piñera hanno accusato inoltre il governo di avere risposto tardi alle proteste.
Il presidente è stato molto criticato per “mancanza di empatia” verso i manifestanti, a causa di alcune frasi pronunciate nelle ultime settimane. Dopo le prime proteste, Piñera ha detto per esempio che tutti quelli che protestavano potevano alzarsi prima la mattina per andare a lavorare, in modo da evitare l’ora di punta e non pagare di più il biglietto della metro. Poi ha accusato i manifestanti di essere «delinquenti» e ha detto agli studenti che «non avevano alcun motivo per protestare». Venerdì sera, mentre alcuni manifestanti incendiavano diverse stazioni della metropolitana, è stato visto cenare in un ristorante di una delle zone più ricche di Santiago in occasione del compleanno di uno dei suoi nipoti.
La frase più forte di Piñera è stata però quella pronunciata dal presidente domenica: «Siamo in guerra contro un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun limite». Per il riferimento alla guerra, e per avere alzato così tanto i toni dello scontro, Piñera è stato criticato anche all’interno del suo governo: lunedì il generale Javier Iturriaga, responsabile delle operazioni militari degli ultimi giorni, ha preso le distanze da Piñera dicendo «non sono in guerra con nessuno».
Daniel Matamala, giornalista di CNN Chile, ha scritto su La Tercera che quella delle ultime settimane «è stata una protesta lenta, che è aumentata gradualmente di intensità e che ha avuto molti momenti in cui si sarebbe potuto fare qualcosa. Però ci sono state solo due risposte: la tecnocrazia e la repressione. La commissione di esperti ha stabilito la tariffa e le Forze speciali l’hanno fatta rispettare. Fogli di calcolo ed Excel, mentre la politica è rimasta cieca, sorda, muta». Secondo Matamala, che ha sintetizzato un pensiero molto diffuso tra giornalisti e osservatori, «è stata questa élite a rompere il contratto sociale e a consacrare la propria impunità».
L’impressione è che nessuna forza politica cilena sia in grado oggi di mettersi alla guida delle proteste, o di essere un punto di riferimento per i manifestanti: non lo è di certo il partito di Piñera, obiettivo principale dei manifestanti; non lo è nemmeno la sinistra che ha fatto riferimento per molti anni a Bachelet, considerata corresponsabile della situazione attuale; e non sembra poterlo essere nemmeno Frente Amplio, coalizione politica di sinistra nata nel 2017 i cui principali dirigenti furono i leader delle proteste studentesche del 2011.