Si vota in Bolivia
E gira ancora tutto intorno a Evo Morales, che è presidente da quattordici anni e si è candidato ancora
Domenica 20 ottobre in Bolivia ci sono le elezioni per eleggere il presidente, il vicepresidente, per rinnovare la Camera dei deputati e il Senato. L’attuale presidente è Evo Morales, del Movimiento al Socialismo (MAS): è un ex raccoglitore di coca ed è stato il primo boliviano di origine indio a essere eletto. Morales è al potere da quattordici anni, quando vinse le elezioni per la prima volta. Ha goduto per molto tempo di consensi altissimi e ancora oggi è un leader molto popolare, ma la sua lunga permanenza al potere ha iniziato a procurargli critiche e accuse di autoritarismo. Ha deciso comunque di ricandidarsi per cercare un quarto mandato, ma questa volta, nonostante i sondaggi dicano che è il favorito, le cose per lui potrebbero non essere così semplici.
Sistema e sondaggi
Con il voto del 20 ottobre saranno rinnovate la Camera dei deputati, composta da 130 membri eletti direttamente per 5 anni, e il Senato, composto da 36 membri eletti sempre direttamente e per 5 anni, con un sistema basato su nove circoscrizioni dipartimentali. Per quanto riguarda presidenza e vicepresidenza, la circoscrizione è invece unica e nazionale. Al primo turno può vincere il candidato che ottiene più del 50 per cento dei voti oppure almeno il 40 per cento e un distacco di oltre 10 punti dal secondo. Se non si verificherà una di queste due situazioni, la data fissata per l’eventuale ballottaggio è il 15 dicembre.
Lo scorso gennaio in Bolivia si erano svolte le primarie per stabilire i candidati a presidente e vicepresidente di ciascun partito: in realtà erano state presentate nove coppie, una per ciascuna formazione senza alcuna competizione interna. Queste nove coppie erano state poi ufficializzate dal comitato elettorale e si presenteranno alle elezioni.
Nei vari sondaggi, Morales e il suo partito risultano al primo posto. Un’indagine commissionata dal quotidiano La Razón dà ad esempio all’attuale presidente il 40 per cento, a oltre diciotto punti di distacco dal secondo candidato, l’ex presidente Carlos Mesa, alla guida del partito di sinistra Comunidad Ciudadana (CC), sostenuto anche dal Frente Revolucionario de Izquierda (FRI). Se i dati venissero confermati Morales vincerebbe al primo turno. Al terzo posto, con il 10 per cento dei voti circa, c’è il candidato del partito di destra Bolivia dijo No, Oscar Ortiz, mentre il candidato del Partido Demócrata Cristiano, Chi Hyun Chung, medico di origine coreana spesso paragonato a Bolsonaro per le sue affermazioni omofobe e misogine, ha il 6 per cento (recentemente ha dichiarato che «le donne dovrebbero essere educate come tali se si vogliono evitare atti di violenza nei loro confronti da parte degli uomini»). Il numero di indecisi è comunque ancora alto, intorno al 18 per cento.
Diversi osservatori sostengono però che, nonostante i sondaggi, Morales potrebbe non vincere al primo turno e che al ballottaggio di dicembre rischierebbe di perdere contro un’opposizione che potrebbe a quel punto presentarsi unita intorno alla figura di Carlos Mesa. Mesa, che è stato presidente dal 2003 al 2005, è diventato popolare negli ultimi anni perché il governo di Morales lo ha nominato come proprio rappresentante nella disputa legale con il Cile per la questione dello sbocco al mare.
Mentre il resto dell’opposizione è basso nei sondaggi e sta basando la propria campagna elettorale quasi esclusivamente sulla denuncia della presunta incostituzionalità della candidatura di Morales, Mesa ha promesso una riforma giudiziaria, un decentramento dal potere centrale e una transizione da un’economia fino ad ora basata sull’estrazione di materie prime a un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale e diversificata nella produzione. In generale, comunque, anche Mesa insiste sull’autoritarismo di Morales e, in nome della difesa della democrazia, sta puntando sul voto degli indecisi. In caso si arrivasse a un secondo turno, Mesa potrebbe negoziare l’appoggio di Oscar Ortiz e di qualche altro candidato che è però molto basso nei sondaggi.
Evo Morales
Morales vinse per la prima volta le elezioni presidenziali nel 2005, con più del 50 per cento dei voti. Poi, nel 2009, cambiò la Costituzione, nell’autunno dello stesso anno vinse e si candidò di nuovo nel 2014, sostenendo che visto che era cambiata la Costituzione la sua candidatura doveva essere contata come “seconda” e non “terza”: ottenne più del 60 per cento dei voti. Nel febbraio del 2016, perse di poco un referendum per confermare un’ulteriore modifica alla Costituzione che gli avrebbe permesso di candidarsi anche nel 2019. L’anno successivo, però, la Corte suprema del paese annullò il risultato del referendum sostenendo che il limite al numero di mandati era una violazione dei diritti politici. Ecco perché ha potuto ricandidarsi.
Nato in una famiglia povera nel 1959, Morales è di origine indigena, come i circa due terzi degli abitanti della Bolivia. Non si è mai laureato e ha lavorato a lungo come raccoglitore di coca: poi negli anni è diventato il leader del sindacato dei raccoglitori di coca, una posizione che si è rivelata molto importante per la sua successiva entrata in politica.
Morales è un leader di sinistra, ha posizioni socialiste, almeno nella teoria, e nei suoi discorsi attacca spesso gli Stati Uniti, la globalizzazione e le grandi società multinazionali. Su temi come la politica economica e le relazioni estere, ha posizioni populiste e anti-capitaliste. In realtà, nel corso della sua presidenza, ha cercato di attirare nel paese diverse grandi compagnie petrolifere internazionali. In Bolivia il petrolio non è stato nazionalizzato come in Venezuela e una buona parte dei ricavi dell’estrazione finisce comunque nelle casse del governo, ma le condizioni concesse sono sufficientemente buone da aver attirato gli investimenti delle grandi società. Diversi politici dell’opposizione hanno di conseguenza accusato Morales di criticare il capitalismo e gli Stati Uniti nei suoi discorsi pubblici, ma di avere un atteggiamento completamente diverso quando ci sono affari e investimenti da discutere.
Parte del successo di Morales, comunque, è dovuto alla situazione economica della Bolivia: in dieci anni ha triplicato la spesa pubblica, ma il PIL del paese è cresciuto di pari passo, la povertà si è ridotta di un terzo, il reddito medio delle famiglie più povere ha mostrato significativi miglioramenti e le diseguaglianze nel paese sono diminuite (nel 2008 l’UNESCO dichiarò che la Bolivia si era liberata dall’analfabetismo). Da quando è entrato in carica, l’economia ha continuato a crescere, soprattutto grazie alle materie prime. Morales ha aperto strade, ha inviato il primo satellite della Bolivia nello spazio, ha ridotto l’inflazione, ha dato pari dignità formale alle lingue originarie accanto allo spagnolo e importanza alle rappresentanze indigene. Ci sono stadi, mercati, scuole, imprese statali e persino un villaggio che porta il suo nome.
Se Morales ha goduto per anni di consensi altissimi e ancora oggi è un leader molto popolare, soprattutto tra i più poveri, la sua lunga permanenza al potere ha iniziato a procurargli diverse critiche. Molti sostengono che la sua candidatura sia illegittima e che la sentenza che l’ha resa possibile sia stata pilotata.
Non si tratta comunque dell’unica critica fatta a Morales: i suoi avversari, per esempio, denunciano di non avere spazio sufficiente sulle televisioni pubbliche che riservano un trattamento piuttosto generoso nei confronti del presidente, lo accusano di aver perseguito per fini politici i suoi rivali e di aver messo a rischio l’indipendenza giudiziaria licenziando arbitrariamente circa 100 giudici a partire dal 2017. Inoltre lo accusano di alcuni eccessi: di aver speso milioni di bolivianos per un museo nella sua città natale, Orinoca, dove solo alcune strade sono asfaltate e dove in molte case manca l’acqua potabile; di aver comprato un nuovo aereo e costruito un palazzo presidenziale di 26 piani con eliporto. Recentemente, poi, sono emersi anche degli scandali di corruzione che riguardano persone a lui vicine.
Gli ambientalisti, molti giovani e alcuni gruppi di indigeni hanno infine preso posizione contro Morales in occasione degli incendi scoppiati a fine luglio: sostengono infatti che parte della colpa sia proprio del governo che, negli ultimi anni, attraverso una serie di leggi e decreti, ha incoraggiato gli insediamenti nelle foreste e la loro conseguente trasformazione in terreni per l’agricoltura o l’allevamento.
Il voto degli evangelici
La chiesa evangelica, che dice di controllare più di due milioni e mezzo di voti in Bolivia, ha deciso di non appoggiare né Evo Morales né Carlos Mesa poiché entrambi sostengono il diritto all’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso: «Abbiamo deciso di sostenere i candidati che difendono la vita fin dal suo concepimento e la famiglia naturale». Secondo le chiese evangeliche, inoltre, nei programmi di Morales e Mesa si promuove la cosiddetta ideologia di genere: «Quelle parti (Morales e Mesa, ndr) sostengono l’ideologia di genere, il che significa che vogliono omosessualizzare i nostri figli, vogliono dirci che non siamo nati né maschi né femmine». Hanno quindi invitato a votare Chi Hyung Chung e Óscar Ortiz che, soprattutto il primo, in materia di diritti ha posizioni molto conservatrici, esplicitamente antifemministe e omofobe.