Il business dei tour di addio
Sono molto redditizi per cantanti e band con carriere decennali, anche se spesso non sono davvero tour di addio-addio
Dal settembre del 2018 il grande pianista e cantante inglese Elton John è impegnato in un lunghissimo tour di concerti intitolato “Farewell Tour”, che è stato promosso come l’ultima possibilità per i suoi fan di vederlo suonare dal vivo. Il tour, passato per Lucca lo scorso luglio, durerà ancora fino al dicembre del 2020, passando per gli Stati Uniti, l’Australia, la Nuova Zelanda e di nuovo l’Europa, per poi concludersi con una serie di concerti nel Regno Unito. Accompagnato dall’imminente uscita di una autobiografia ufficiale e del film Rocketman, è uno dei più imponenti tour pop della storia recente: e un esempio di come i “tour di addio”, racconta il Wall Street Journal, siano diventati uno dei più redditizi strumenti dell’industria musicale di questi anni.
Attualmente sono impegnati in operazioni analoghe Bob Seger, i Kiss, i Lynyrd Skynyrd e gli Slayer, e di recente hanno fatto una tournée di fine carriera anche Paul Simon e Joan Baez. Con lo stravolgimento portato nel settore discografico dagli streaming musicali, e con il drastico calo delle vendite dei dischi degli ultimi anni, per gran parte dei cantanti e delle band i concerti sono diventati una parte sempre più fondamentale dei propri proventi, se non la principale. Questo vale soprattutto per artisti degli scorsi decenni, i cui nuovi dischi sono meno attesi e i cui appassionati sono principalmente adulti o anziani, e quindi generalmente più disposti a spendere anche molto più di cento euro per un concerto.
Spesso i tour di addio non sono davvero tour di addio, ma operazioni promozionali che annunciano in maniera un po’ elusiva che quelli in questione potrebbero essere gli ultimi concerti dell’artista, senza però escludere del tutto la possibilità di nuovi concerti. È il caso per esempio della tournée in cui è attualmente impegnato il cantante metal Ozzy Osbourne, che si intitola piuttosto emblematicamente “No More Tours II”. C’era infatti già stato un “No More Tours”, nel 1992, che fu però poi seguito da decine e decine di altri concerti.
Ma la storia recente del pop e del rock è piena di tour di addio che non lo erano: i Who per esempio ne fecero uno nel 1982, salvo poi riunirsi e tornare a suonare dal vivo altre due volte, la prima nel 1989. Nel 2012 ci fu uno “Epitaph World Tour” della band hard rock dei Judas Priest, che l’anno prossimo farà una tournée per celebrare i 50 anni di carriera. Nel 2009 era invece toccato ai Nine Inch Nails, con il loro “Wave Goodbye Tour”, seguito quattro anni dopo da un nuovo grande tour per gli stadi di mezzo mondo. Gli stessi Kiss, attualmente in giro con il loro tour di addio, ne avevano già fatto uno nel 2000 intitolato proprio “Farewell Tour”, smentendo l’annuncio del ritiro soltanto due anni dopo (quello fu tuttavia l’ultimo tour con la formazione originale). Qualcosa di simile è successa anche in Italia di recente, quando la band degli Elio e le Storie Tese annunciò un ultimo concerto a Milano per il dicembre 2017, salvo poi organizzarne altri l’estate seguente in diverse città italiane, provocando qualche protesta.
C’è anche chi ha scherzato su questa abitudine: nel 2005 gli Eagles organizzarono una serie di concerti intitolati “Farewell 1 Tour”, un po’ per scherzo. Come spiegò il chitarrista Glenn Frey, l’1 nel titolo teneva aperta la porta per un tour successivo: gli Eagles continuarono infatti a fare concerti, anche dopo la morte di Frey nel 2016. Nel 2004 aveva fatto una cosa simile il batterista e cantante Phil Collins, con il suo “First Final Farewell Tour”.
Non è difficile immaginare perché questo tipo di operazioni sia così frequente: i tour che promettono di essere gli ultimi incassano generalmente molto di più, perché attraggono moltissimi fan che non vogliono perdersi quella che pensano essere l’ultima occasione di vedere la band dal vivo, e che magari pensano di assistere a un evento storico (e ogni tanto è davvero così). Per questo tipo di concerti, i fan sono di solito disposti a spendere di più. C’è anche una componente generazionale, ha spiegato il promoter Scott Leslie a Usa Today: molte di queste band hanno fan giovani che vogliono vederle dal vivo prima che si ritirino, e che quindi vanno al concerto con i genitori che hanno trasmesso loro la passione. Normalmente, poi, i tour di addio sono delle grandi celebrazioni della carriera degli artisti che li fanno, e quindi sono fatti quasi esclusivamente di grandi classici. E la maggior parte delle persone ai concerti vuole sentire proprio quelli.
Secondo la rivista specializzata Pollstar, nel 2013 la band dei Mötley Crüe incassò una media di 361.765 dollari a concerto con 4.368 biglietti, per un tour normale: nel tour di addio, l’anno seguente, incassò 647.059 dollari con 11.627 biglietti per data. Sempre Pollstar dice che il tour di Elton John negli Stati Uniti del 2014 fece una media di 1.017.568 dollari a data, con 9.825 biglietti venduti: quello in corso sta facendo una media di 2.377.994 dollari, con 17.951 biglietti. Il costo medio dei biglietti per il tour precedente era di 103 dollari, mentre per quello in corso è di 132 dollari.
Come ha spiegato Fred Goodman, esperto del settore discografico, i concerti devono essere sempre di più “eventi”: un tempo lo erano le uscite dei dischi, ma ora le cose sono cambiate. C’è chi fa una serie di concerti in teatro, tipo Bruce Springsteen a Broadway, o chi si mette a suonare in spazi più piccoli con prezzi più alti, come Madonna: e c’è chi annuncia tour finali. L’agente di John non ha voluto dire al Wall Street Journal se sarà davvero il suo ultimo tour, cosa però garantita dal promoter dei concerti.
Per gli artisti che smentiscono le precedenti promesse riguardo ai loro ultimi concerti, c’è sempre il rischio di deludere i fan. Ma ci sono molti esempi del fatto che generalmente il pubblico è più che disponibile a perdonare operazioni simili: probabilmente uno dei casi più famosi di tour di addio che non lo erano fu il “Living Proof: The Farewell Tour”, organizzato dalla cantante Cher nel 2002. Inizialmente prevedeva 59 concerti nel Nord America, a cui però ne furono aggiunti un centinaio, seguiti poi da un’altra tournée in Europa. Alla fine il tour contò 325 concerti, incassando oltre 300 milioni di dollari. Cher però tornò a fare concerti una decina di anni dopo, e sta per concludere la sua ultima tournée mondiale intitolata, non a caso, “Here We Go Again”: eccoci di nuovo.