La Turchia dice di aver conquistato una città al confine siriano
Ma secondo i curdi siriani il centro di Ras al Ain è ancora sotto il loro controllo, mentre continuano i guai nelle prigioni
L’esercito turco ha detto di aver conquistato Ras al Ain, città al confine tra Turchia e Siria controllata dai curdi, che però hanno smentito la notizia sostenendo che la controffensiva sia ancora in corso e che il centro della città sia ancora sotto il loro controllo. Sarebbe la conquista più significativa ottenuta finora dalla Turchia nell’operazione militare “Fonte di pace”, avviata nei giorni scorsi dal governo turco per creare una “zona cuscinetto” nel nordest della Siria – quindi a est del fiume Eufrate – che allontani dal confine con la Turchia i curdi siriani, considerati un gruppo terroristico dal governo turco.
Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, un’organizzazione con sede a Londra che monitora la situazione in Siria, finora nei combattimenti sono stati uccisi 74 soldati curdi, 49 ribelli siriani che combattono con la Turchia e 30 civili siriani.
Quello di Ras al Ain non è l’unico sviluppo importante delle ultime ore: fonti nell’esercito curdo hanno infatti detto alla stampa internazionale che un’autobomba è stata fatta esplodere vicino a una prigione che detiene alcuni prigionieri dell’ISIS ad Hasaka. Non ci sono ancora notizie di morti o eventuali fuggitivi. Venerdì era successa una cosa analoga in una prigione di Qamishli, una città siriana sempre al confine con la Turchia: cinque terroristi sono scappati, secondo l’esercito curdo.
Video of from the CCTV of the Navkur prison in NE Syria where a mortar hit. Some ISIS suspects are fleeing while number of SDF fighters were trying to transfer them them to a safer location pic.twitter.com/gVrc1ad6b4
— Mutlu Civiroglu (@mutludc) October 11, 2019
Si stima che nelle prigioni curde nel nordest della Siria siano detenuti circa 11mila miliziani dell’ISIS, 9mila siriani e iracheni e 2mila “foreign fighters”, i combattenti stranieri. Quello che succederà loro durante la guerra in corso è una delle maggiori preoccupazioni nella comunità internazionale. Secondo una fonte curda della giornalista del New York Times Rukmini Callimachi, tra le principali esperte di ISIS, c’è stato un tentativo di fuga anche al campo di al Hol, nel quale vivono circa 70mila persone: molte sono parenti di combattenti dell’ISIS o affiliati in qualche modo al gruppo terroristico, anche se migliaia sono siriani e iracheni che vivevano semplicemente nei territori controllati dal Califfato Islamico.
Venerdì, intanto, gli Stati Uniti hanno detto che alcuni colpi di artiglieria sono caduti vicino ad alcuni soldati americani nei pressi di Kobane, città al confine tra Siria e Turchia. L’esplosione, ha detto il Pentagono, è avvenuta in una zona che la Turchia sa essere presidiata dalle forze statunitensi: due funzionari dell’esercito hanno detto a Callimachi che si è trattato di un tentativo di intimidire gli Stati Uniti.
Even though Turkey has the grid coordinates of American outposts in Syria, they aimed their artillery so that it landed within 100s of meters of a US position? Strong language from the Pentagon. Two American officials I’ve spoken to say this was an attempt to intimidate US forces pic.twitter.com/Fik4Wctiwq
— Rukmini Callimachi (@rcallimachi) October 12, 2019
Gli Stati Uniti hanno tenuto finora una posizione confusa sull’offensiva militare turca, che secondo i curdi siriani ha causato circa 200mila sfollati e che è stata condannata dall’Unione Europea. Dopo aver dato sostanzialmente il “via libera” alla Turchia contro i curdi siriani annunciando il ritiro dei soldati statunitensi dal nordest della Siria, ed eliminando quindi l’ultimo ostacolo all’invasione turca, l’amministrazione di Donald Trump è sembrata avere dei ripensamenti. Venerdì il segretario della Difesa Mark Esper aveva detto che gli Stati Uniti non stavano «abbandonando i curdi», definendo «impulsiva» la decisione della Turchia di attaccare. Sempre sabato Ahmed Aboul Gheit, segretario generale della Lega Araba, un’organizzazione che riunisce vari paesi arabi tra cui la Siria, ha definito quella turca «un’invasione di uno stato arabo e un’aggressione alla sua sovranità».