Come sta andando la pace tra Etiopia ed Eritrea
Cioè il motivo del premio Nobel assegnato al primo ministro etiope: si sono fatti passi avanti, ma tra moltissime difficoltà e lentezze
Il 7 luglio dello scorso anno ad Asmara, la capitale dell’Eritrea, successe una cosa che non accadeva da quasi vent’anni, cioè dalla fine della violenta guerra tra Eritrea ed Etiopia: il primo ministro etiope Abiy Ahmed arrivò all’aeroporto internazionale della città e incontrò il presidente e dittatore eritreo Isaias Afewerki. I due si abbracciarono, sorrisero e scherzarono, una cosa impensabile fino a pochi giorni prima. Il 9 luglio le due parti firmarono un primo accordo di pace e una settimana dopo Isaias visitò l’Etiopia: si emozionò a tal punto da lasciare stupefatti molto osservatori. A settembre furono aperti i confini tra i due paesi e fu firmato un altro accordo di pace, questa volta a Gedda, in Arabia Saudita.
Da allora è passato più di un anno e il processo di pace non ha fatto grandi passi avanti, ma venerdì al primo ministro etiope è stato comunque assegnato il premio Nobel per la Pace «per i suoi sforzi nel raggiungere la pace e la cooperazione internazionale» e per avere promosso l’inizio di una nuova era nei rapporti con l’Eritrea. Il presidente del comitato che ha assegnato il premio, Berit Reiss-Andersen, ha detto: «Senza dubbio alcune persone penseranno che quest’anno il premio sia stato assegnato troppo presto. Il comitato norvegese per il Nobel crede che sia adesso che gli sforzi di Abiy Ahmed meritino riconoscimento e che abbiano bisogno di incoraggiamento».
Per l’Etiopia e l’Eritrea fare la pace non è facile, per diverse ragioni: tra le altre, perché la guerra combattuta tra i due paesi fu molto violenta, con circa 100mila morti, e perché l’Eritrea è governata dal 1993 in maniera autoritaria e repressiva dalla stessa persona, il dittatore Isaias Afewerki, che impedisce qualsiasi tipo di riforma.
L’Eritrea ottenne l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993 dopo un conflitto durato circa trent’anni e con un milione di persone costrette a lasciare le proprie case e il paese. Dopo soli cinque anni di pace, iniziò una nuova guerra per questioni di confine, che provocò decine di migliaia di morti e il consolidamento in Eritrea di una leadership che non si sarebbe più allontanata dal potere. Nel 2000 i due paesi firmarono gli Accordi di pace di Algeri, che tra le altre cose prevedevano la creazione di una commissione indipendente che si sarebbe dovuta occupare di risolvere le questioni di confine rimaste irrisolte. Quando la commissione stabilì che alcuni territori del nordest dell’Etiopia avrebbero dovuto passare all’Eritrea, il governo etiope si tirò indietro e non se ne fece più niente.
Il momento di svolta, inaspettato e improvviso, ci fu con l’elezione a primo ministro etiope di Abiy Ahmed, nell’aprile 2018. Abiy era considerato la «più grande speranza per il futuro democratico» dell’Etiopia e una volta divenuto capo del governo diede subito l’impressione di poter soddisfare le enormi aspettative che si erano create verso di lui.
Abiy, che allora aveva 42 anni, era parte della più giovane generazione di politici etiopi e a differenza dei politici che l’avevano preceduto era oromo, gruppo etnico maggioritario in Etiopia ma marginalizzato da decenni. Nei primi mesi di governo, Abiy propose e fece cose definite da molti eccezionali: parlò subito della necessità di avviare un processo di riconciliazione nazionale tra i vari gruppi etnici etiopi, ordinò il rilascio di migliaia di prigionieri politici e legalizzò i gruppi di opposizione che erano stati a lungo classificati come “terroristici”. Ma soprattutto creò le condizioni per iniziare un processo di pace serio con l’Eritrea, dicendosi disponibile ad accettare le condizioni territoriali imposte dalla commissione indipendente creata dagli Accordi di Algeri, cioè le stesse che l’Etiopia aveva rifiutato quasi vent’anni prima.
In maniera altrettanto inaspettata, il dittatore eritreo accettò di incontrare Abiy, di riaprire i confini tra i due paesi e le rispettive ambasciate, e di avviare nuovi colloqui per risolvere definitivamente le dispute territoriali ancora in corso.
Nel giro di pochissimo tempo, decine di migliaia di eritrei superarono il confine e andarono in Etiopia, ha scritto l’analista Nicole Hirt sul sito dell’ISPI, e molti venditori etiopi entrarono in Eritrea per vedere beni di consumo poco diffusi nel paese a causa delle fallimentari politiche economiche del governo di Isaias. Quando le comunicazioni tra i due paesi furono ristabilite, ha scritto il New York Times, molte famiglie divise durante la guerra riuscirono a mettersi in contatto e incontrarsi per la prima volta da quasi vent’anni; quando il primo volo dell’Ethiopian Airlines proveniente da Addis Abeba arrivò ad Asmara, i passeggeri si inginocchiarono e baciarono il suolo eritreo.
Nonostante le grandi aspettative, negli ultimi mesi i progressi sono stati pochi. Gli accordi di pace firmati lo scorso anno prevedevano tra le altre cose la creazione di diverse commissioni che avrebbero dovuto occuparsi di questioni relative al confine, tra cui la collaborazione bilaterale nei campi dell’economia, della sicurezza, della difesa e del commercio. Poco dopo l’estate, però, l’interesse delle due parti a risolvere le questioni in sospeso si ridusse, a causa soprattutto di nuovi problemi per Abiy.
Il governo etiope si trovò di nuovo ad affrontare grosse rivolte interne, come quella di settembre 2018 ad Addis Abeba, e probabilmente non volle inimicarsi ulteriormente il Fronte di Liberazione del Tigré, gruppo politico dominante prima dell’ascesa al potere di Abiy e molto forte nella regione oggetto delle discussioni con l’Eritrea sul cambio di confini. A giugno 2019, inoltre, il governo etiope dovette affrontare un tentato golpe nello stato di Amhara, nel nord del paese. Allo stesso tempo, il regime di Isaias non mostrò molto interesse a proseguire i colloqui, pur senza chiudere alla possibilità di futuri negoziati.
Oggi la situazione tra Etiopia ed Eritrea è sospesa, diciamo così. Nonostante il processo di pace abbia subìto molti rallentamenti, soprattutto se si considera la rapidità con cui era iniziato, non si può dire che sia tutto finito e la possibilità di farlo ripartire e risolvere definitivamente le questioni aperte esiste ancora.