Cosa sta succedendo in Ecuador
Le proteste contro la decisione di revocare i sussidi per il carburante sono sempre più intense, ma il presidente Lenín Moreno dice di non voler cedere
Dal 3 ottobre in Ecuador ci sono grandi proteste contro la decisione del presidente Lenín Moreno di revocare i decennali sussidi per il carburante. Giorno dopo giorno i manifestanti sono aumentati e le proteste si sono fatte più intense, con scontri con la polizia e centinaia di arresti. Moreno ha dichiarato uno stato di emergenza della durata di due mesi, ha imposto un coprifuoco in alcune aree del centro della capitale Quito e soprattutto ha deciso di spostare il governo da Quito alla città costiera di Guayaquil, dove per ora le proteste sono state meno intense. Moreno ha anche accusato il suo predecessore ed ex alleato di aver voluto orchestrare un colpo di stato e ha detto che le proteste sono dovute alla sua opposizione al governo di Nicolás Maduro in Venezuela. Per ora le istituzioni e l’esercito sembrano stare dalla parte di Moreno.
I primi a protestare in Ecuador erano stati tassisti e autotrasportatori, ai quali si sono in seguito aggiunti studenti e soprattutto gruppi che rappresentano la popolazione indigena del paese. La rimozione dei sussidi per il carburante – in vigore dagli anni Settanta – era stata decisa da Moreno per far risparmiare circa 1,3 miliardi di dollari al paese: una misura di austerità decisa in base agli accordi presi con il Fondo Monetario Internazionale che aveva previsto di fornire all’Ecuador un credito di oltre 4 miliardi di dollari, da usare per risollevare l’economia del paese.
Secondo fonti governative in poco meno di una settimana di proteste ci sono stati più di 500 arresti, ai quali vanno aggiunte due persone morte in circostanze non ancora del tutto chiare e diversi feriti. Negli ultimi giorni ci sono stati scontri tra agenti e manifestanti, la polizia ha usato gas lacrimogeni e martedì alcuni manifestanti sono riusciti a entrare brevemente nel palazzo dell’Assemblea nazionale, dove però non era in corso nessuna riunione.
Moreno, che è al governo da due anni e mezzo e la cui popolarità è in calo da mesi, ha detto in televisione che le istituzioni hanno aiutato a «difendere il sistema democratico del paese» e ha aggiunto che non si dimetterà perché è certo di essere nel giusto. Ha poi accusato i suoi oppositori, sostenuti dal presidente del Venezuela Nicolas Maduro, di stare organizzando un colpo di stato: l’Ecuador, infatti, è uno dei paesi che negli ultimi mesi hanno chiesto le dimissioni di Maduro. Moreno se l’è presa in particolare con Rafael Correa, ex presidente dell’Ecuador ed ex alleato di Moreno, che ora vive in Belgio e che ha diffuso un comunicato per negare le accuse, dicendosi però comunque solidale con i manifestanti. Moreno, che in passato era stato anche vicepresidente di Correa, se ne distanziò prima delle elezioni del 2017, e da quando è al governo ha intrapreso politiche più di destra rispetto al predecessore.
Parlando delle proteste degli ultimi giorni, il segretario presidenziale Juan Rolda ha chiesto alle Nazioni Unite, alla Chiesa Cattolica e ai rettori delle università del paese di contribuire alle trattative tra governo e manifestanti, e ha aggiunto che «l’unica risposta possibile è l’uso, allo stesso tempo, del dialogo e della fermezza». Chi segue le vicende dell’Ecuador spiega però che il fatto che alle proteste si siano aggiunti i gruppi che rappresentano la popolazione indigena (in particolare il molto influente CONAIE) complica molto le cose. Nel 2000 e nel 2005 il CONAIE riuscì infatti, con il più o meno tacito consenso dell’esercito, a far dimettere due presidenti, uno dei quali dovette fuggire dal paese in elicottero.
Nicholas Watson, direttore della grande azienda di consulenza Teneo, ha detto a Reuters (poche ore fa) che «le prossime 48 ore saranno determinanti, non solo per capire cosa ne sarà dei sussidi per il carburante, ma anche per vedere quale sarà il futuro di Moreno». Intanto, in Ecuador il prezzo della benzina è già raddoppiato (anche perché alcune proteste hanno bloccato alcuni impianti di produzione) e si teme un conseguente aumento di tutti gli altri prezzi, compresi quelli dei generi alimentari.