Chi vincerà il Nobel per la pace?
Per scommettitori e osservatori la favorita è Greta Thunberg, ma se la giocano anche il primo ministro etiope e uno storico attivista per i diritti degli indigeni brasiliani
Venerdì 11 ottobre sarà assegnato il Nobel per la Pace, uno dei più importanti riconoscimenti al mondo per leader politici, attivisti e organizzazioni internazionali. Il comitato che lo assegna, composto da cinque membri scelti dal Parlamento norvegese per via di un’antica tradizione, ha fatto sapere di avere ricevuto 301 segnalazioni, fra cui 223 persone e 78 organizzazioni.
Sul vincitore di quest’anno circola una discreta incertezza, anche se il nome che fanno diversi scommettitori e osservatori è quello di Greta Thunberg, la giovane ambientalista svedese che ha inventato e promosso i Fridays For Future, le manifestazioni per il clima che coinvolgono milioni di persone in tutto il mondo. Oltre a Thunberg ci sono diverse altre candidature solide – come quella del primo ministro etiope Abily Ahmed – e altre che tornano un po’ tutti gli anni, come quella per Angela Merkel. Abbiamo messo in fila quelle più quotate fra gli scommettitori e i giornali internazionali.
Greta Thunberg
Di Thunberg si è iniziato a parlare solo qualche mese fa, quando i Fridays For Future si sono diffusi in tutto il mondo (e sono culminati con le manifestazioni del 27 settembre, che hanno coinvolto milioni di persone).
Era stata proprio Thunberg a inventarsi il primo Friday For Future. Il 20 agosto del 2018 decise di non presentarsi più a scuola fino al 9 settembre seguente, giorno delle elezioni politiche, per chiedere al governo svedese di occuparsi più seriamente del cambiamento climatico, adottando politiche più incisive per ridurre le emissioni di anidride carbonica (tra i principali gas serra). La protesta era nata in seguito a un’estate particolarmente calda in Svezia, che aveva portato a numerosi ed estesi incendi nel paese.
La storia di Thunberg è stata ripresa da alcuni media locali e ha gradualmente superato i confini della Svezia, finendo su giornali e televisioni di mezzo mondo. Mese dopo mese la sua protesta è diventata fonte di ispirazione per altri studenti, che in diversi paesi hanno iniziato a organizzare marce e manifestazioni sul clima, sempre di venerdì. Nelle scorse settimane Thunberg ha partecipato a un’importante assemblea sul clima organizzata a New York dall’ONU dopo aver attraversato l’Oceano in barca a vela – per sensibilizzare sull’inquinamento prodotto dagli aerei – e ha tenuto un discorso molto accorato sulle conseguenze del cambiamento climatico.
Secondo Reuters, il comitato potrebbe comunque considerare Thunberg troppo giovane per ricevere il premio e soprattutto per reggere la pressione che seguirà: «dare il Nobel a un’adolescente equivale a un onere enorme», ha detto Asle Sveen, un saggista che ha scritto diversi libri sul Nobel per la Pace. È vero che nel 2014 il premio venne assegnato all’allora 17enne pakistana Malala Yousafzai, nota attivista per la pace, ma forse fu più un’eccezione alla regola che un cambio di approccio. Reuters aggiunge che Yousafzai era inoltre considerata «molto meno divisiva» di Thunberg, che invece adotta una retorica aggressiva e inequivocabilmente progressista.
Abiy Ahmed
Ha 43 anni ed è un ex funzionario militare e politico etiope. È diventato primo ministro del suo paese nella primavera del 2018, e da allora ha fatto diverse cose notevoli.
Nei primi quattro mesi di governo, per esempio, ha parlato più volte di riconciliazione nazionale (un discorso importante in un paese attraversato da profondi risentimenti tra gruppi etnici), ordinato il rilascio di migliaia di prigionieri politici, e legalizzato i gruppi di opposizione che erano a lungo stati classificati come “terroristici”. Ha inoltre denunciato pubblicamente la corruzione che esiste all’interno della coalizione di governo di cui è leader, e che mantiene il potere in Etiopia dal 1991, e accusato le potenti forze di sicurezza etiopi di compiere atti di “terrorismo” contro la loro stessa popolazione.
Ma su tutti, Ahmed ha negoziato la pace con la vicina Eritrea, con cui l’Etiopia era ufficialmente in guerra dal 1998: per molti osservatori è stato lo sviluppo più importante avvenuto nella regione da diversi anni a questa parte, e Ahmed è considerato il vero promotore di questo riavvicinamento.
Jacinda Ardern
La prima ministra neozelandese, in carica da circa due anni, ha ricevuto moltissimi apprezzamenti per la sensibilità con cui ha gestito il paese nelle settimane successive all’attentato di Christchurch, in cui un suprematista bianco ha ucciso 50 persone in due moschee della zona, nel marzo del 2019. Ardern è anche una delle pochissime leader internazionali donne, e per le sue convinzioni – è progressista e femminista – si è fatta conoscere un po’ in tutto il mondo. Della possibilità che Ardern possa vincere il Nobel si sta parlando anche in Nuova Zelanda.
Ardern ha 39 anni e ha sempre lavorato nel mondo della politica: prima come funzionaria del Partito Laburista neozelandese, poi come consulente di quello britannico, infine come parlamentare neozelandese.
Raoni Metuktire
È un famoso attivista per i diritti degli indigeni brasiliani. Nato intorno al 1930, è capo della tribù Kayapo, che abita un territorio fra gli stati del Pará e del Mato Grosso. Il nome di Metuktire gira da anni, ma la questione della conservazione della foresta amazzonica – e il rispetto dei diritti umani degli indigeni – è tornata improvvisamente d’attualità questa estate durante i gravi incendi che hanno interessato la foresta (oltre che le misure a favore della deforestazione portate avanti dal governo brasiliano di destra radicale guidato da Jair Bolsonaro).
Consiglio artico
È un organo intergovernativo di cooperazione internazionale fra i paesi che si affacciano sulla regione più settentrionale della Terra: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia ma soprattutto Russia e Stati Uniti. La cooperazione pacifica di paesi rivali nel Consiglio artico – una zona molto sensibile per quanto riguarda lo sfruttamento energetico, il rispetto dell’ambiente e dei diritti dei popoli indigeni – viene citata da tempo come un esempio positivo per le relazioni internazionali, tanto che da diversi anni il Consiglio viene nominato al Nobel per la pace.
Filippo Grandi e l’UNHCR
Il suo nome è stato fatto soprattutto da alcuni giornali internazionali: è un diplomatico milanese, ha 62 anni e dal 2016 è a capo dell’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR è l’acronimo inglese). Da anni l’UNHCR offre assistenza a migranti e rifugiati in tutto il mondo, dal Sud America all’Asia meridionale passando ovviamente per il Mediterraneo, dove ad esempio è l’unica organizzazione internazionale a cui è concesso visitare i campi di detenzione libici per migranti. Grazie al suo ruolo Grandi è diventato molto visibile nel dibattito politico europeo e italiano, per esempio per le sue posizioni a favore delle ong che soccorrono le persone nel tratto di mare libico. Grandi lavora per l’ONU da più di vent’anni, e in passato è stato vice-rappresentante della missione ONU in Afghanistan e commissario dell’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA).
Gli altri nomi
Ce ne sono alcuni che ricorrono da diversi anni, e questa edizione non fa eccezione: il sito oddschecker, che aggrega i dati dei principali siti di scommesse, cita fra gli altri Papa Francesco, la cancelliera tedesca Angela Merkel e la American Civil Liberties Union (la più famosa ong statunitense che difende i diritti sociali e civili). Qualche sito ha quotato anche Alexis Tsipras e Zoran Zaev – i leader di Grecia e Macedonia del Nord che hanno promosso lo storico accordo di cooperazione fra i due paesi – e David Attenborough, 93enne divulgatore britannico noto per i suoi documentari sul clima.