Il reddito di cittadinanza continua a funzionare a metà
Più di 800 mila famiglie stanno ricevendo un assegno medio da 450 euro al mese, ma la parte che dovrebbe aiutare a trovare un lavoro è parecchio in ritardo
A sette mesi dalla sua introduzione, il cosiddetto “reddito di cittadinanza” continua a funzionare a metà. Mentre la parte di contrasto alla povertà è entrata in vigore con meno problemi del previsto, e circa 843 mila nuclei familiari ricevono ogni mese un assegno che può arrivare a un massimo di 780 euro, la cosiddette “politiche attive” – cioè le misure volte ad aiutare una parte di chi percepisce il sussidio a trovare un lavoro – faticano addirittura a partire, prima ancora che a produrre risultati.
Non è una sorpresa. Già un anno fa, durante l’approvazione della misura, gli esperti avvertivano delle difficoltà che ci sarebbero state nel portare avanti le politiche attive, che richiedono una complicata collaborazione tra governo centrale, regioni, comuni, centri per l’impiego e la nuova figura incaricata di aiutare i percettori di reddito a trovare lavoro, il navigator: oltre che naturalmente la materia prima, cioè i posti di lavoro. Il reddito di cittadinanza viene percepito da 843 mila nuclei familiari composti da circa 2,2 milioni di persone. Tra loro, solo 704 mila sono definiti “occupabili”, hanno cioè l’età e sono nelle condizioni di poter ricevere aiuto a trovare un impiego (un aiuto che è necessario accettare per continuare ad avere diritto a ricevere il sussidio).
I primi sussidi sono stati pagati a maggio, con la distribuzione di un assegno medio da circa 450 euro al mese. A causa di ritardi e problemi organizzativi ampiamente previsti, i centri per l’impiego hanno iniziato a chiamare i circa 704 mila “occupabili” soltanto all’inizio di settembre (la legge prevede che la chiamata del centro per l’impiego arrivi invece entro 30 giorni dal momento in cui si inizia a percepire il sussidio).
Insomma, non stupisce quello che ha notato il Sole 24 Ore, ossia che dall’introduzione dello strumento a oggi non si siano visti miglioramenti nei dati sull’occupazione: come abbiamo visto, infatti, la parte attiva della misura è appena partita. Se le politiche attive del reddito di cittadinanza avessero funzionato a pieno ritmo, nel breve termine avremmo dovuto vedere due effetti: una diminuzione delle persone classificate come inattive (cioè che non stanno lavorando e non sono in cerca di lavoro) e un aumento dei disoccupati, poiché per percepire il reddito è necessario iscriversi alle liste di disoccupazione. Siamo invece di fronte a uno scenario opposto:
«Una riduzione del numero di disoccupati (-87mila tra luglio e agosto), accompagnata da un incremento degli inattivi (+73mila), esattamente il contrario di quanto sarebbe dovuto accadere con il reddito di cittadinanza. Lo stesso fenomeno si registra confrontando il trimestre giugno-agosto con quello precedente (marzo-maggio)»
Che le politiche attive per ora non abbiano prodotto risultati lo conferma anche il governo, che nella Nota di aggiornamento al DEF ha scritto: «Dai dati dell’indagine sulle forze di lavoro non emerge ancora pienamente l’incremento del tasso di partecipazione che sarebbe dovuto scaturire dall’adesione al reddito di cittadinanza (RdC) e dal conseguente patto per il lavoro» e che quindi «è ragionevole ipotizzare che l’attuazione completa del RdC avvenga con un certo ritardo rispetto alla previsione iniziale».
Secondo alcuni, come il giuslavorista liberale Pietro Ichino, anche quando queste politiche partiranno veramente, la situazione non cambierà: le regole di questo intervento sarebbero disegnate in una maniera che le rende destinate a fallire. Anche esperti con orientamento più di sinistra sottolineano gli aspetti critici delle politiche attive previste dal reddito di cittadinanza, pur ricordando l’importanza della parte di sostegno alla povertà della legge.
Ieri il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha difeso il reddito di cittadinanza durante la trasmissione televisiva Piazza Pulita, e ha ricordato che l’Italia era uno dei pochi paesi a non avere una misura universale di contrasto alla povertà (anche se poco prima era stata introdotta una misura più ridotta, ma simile: il REI). Gualtieri però ha anche aggiunto che in futuro il governo dovrà intervenire per renderne più efficaci le politiche attive.