Il primo successo della barriera per ripulire il Pacifico
Dopo i test deludenti di inizio anno, il sistema ora sembra funzionare e ha intrappolato la plastica a mollo nel mezzo dell'oceano
Ocean Cleanup, l’ambiziosa iniziativa per ripulire parte della grande chiazza di immondizia del Pacifico, ha annunciato che la sua barriera galleggiante sperimentale ha infine funzionato, dopo i fallimenti tra la fine del 2018 e i primi mesi di quest’anno. Boyan Slat, il fondatore dell’organizzazione senza scopo di lucro, ha detto: “Stiamo finalmente raccogliendo la plastica. Ora disponiamo di un sistema di autocontenimento che passivamente raccoglie e mette insieme gli oggetti di plastica”. Il successo del nuovo test arriva a circa tre anni di distanza dalle prime prove, che erano state organizzate da Slat nel Mare del Nord.
L’idea di Ocean Cleanup è utilizzare una grande barriera galleggiante che, trasportata dai venti e dalle correnti, passi attraverso l’accumulo di plastica e altra spazzatura che si trova nel Pacifico, più o meno a metà tra le Hawaii e la California. Attaccata ai galleggianti della barriera c’è una fitta rete che raggiunge i 3 metri di profondità, in modo da recuperare quanta più plastica possibile, che galleggiando difficilmente raggiunge profondità maggiori.
La barriera viene trainata da un rimorchiatore fino al punto desiderato, poi viene scollegata e assume una forma a “U”, secondo i suoi progettisti ideale per intrappolare al suo interno i detriti. Dopo alcune settimane di raccolta, il rimorchiatore torna, chiude la rete galleggiante formando un anello e traina poi i rifiuti raccolti per la loro successiva rimozione.
A inizio gennaio un test su grande scala, con una rete lunga 600 metri, non aveva dato i risultati sperati. La barriera galleggiante aveva trattenuto meno rifiuti di quanto immaginato e si era poi spezzata, rendendo vano l’esperimento. In seguito i tecnici di Ocean Cleanup avevano concluso che la rottura fosse dovuta all’usura dei materiali, causata dai moti ondosi.
Il nuovo test è stato eseguito a partire dallo scorso giugno, dopo che i progettisti hanno lavorato ad alcune modifiche del sistema. Ora la rete sfrutta una sorta di paracadute sottomarino, che rallenta i movimenti dei galleggianti in superficie, riducendo le sollecitazioni che avevano portato alle rotture di inizio anno.
Dopo le prime settimane di utilizzo del nuovo sistema, i responsabili del progetto si sono però accorti che la plastica raccolta superava comunque la barriera dei galleggianti, tornando in mare aperto. Una successiva modifica ha quindi riguardato i galleggianti, che sono stati resi più alti (fino a mezzo metro) in modo da evitare che la plastica sfugga facilmente.
Ocean Cleanup non ha fornito informazioni su quanta plastica sia stata raccolta nei test eseguiti negli ultimi mesi. I progettisti hanno comunque spiegato che in questo stadio la quantità è irrilevante, perché gli esperimenti stanno riguardando una verifica complessiva della fattibilità del progetto e dei materiali utilizzati: nei prossimi mesi saranno sperimentate reti galleggianti molto più grandi.
Negli ultimi anni Ocean Cleanup ha ricevuto numerosi finanziamenti, interessando diversi miliardari della Silicon Valley, come il cofondatore di PayPal, Peter Thiel. L’organizzazione ha raccolto oltre 35 milioni di dollari, molti dei quali sono già stati spesi per eseguire i primi test.
La grande chiazza di immondizia del Pacifico finisce ciclicamente sotto l’attenzione dei media, di solito quando vengono pubblicate nuove ricerche sulla sua estensione e composizione. Fu scoperta nella seconda metà degli anni Ottanta e le sue dimensioni non sono certe: alcune ricerche hanno stimato che sia di 700mila chilometri quadrati, altre che possa raggiungere un’estensione di 15 milioni di chilometri quadrati. Differenze così marcate nelle stime sono dovute a molte variabili, tra cui la dimensione dei detriti presi in considerazione.
Negli ultimi anni numerose ricerche hanno dimostrato come le microplastiche, cioè le sostanze frutto della disgregazione degli oggetti di plastica negli oceani, inquinino ormai numerosi habitat marini e siano entrate nella catena alimentare. La plastica è finita nell’alimentazione dei pesci con esiti ancora poco chiari per loro e per chi si nutre delle loro carni, noi compresi.