Tre novità sul caso Trump-Ucraina
Ci sono sempre più prove che Trump abbia abusato del suo potere con un paese straniero per ottenere vantaggi politici in vista delle elezioni presidenziali del 2020
Negli ultimi due giorni sono emerse tre importanti novità sul caso che riguarda la telefonata con cui il presidente statunitense Donald Trump chiese al suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky di indagare su un presunto caso di abuso di potere che aveva coinvolto Joe Biden, tra i favoriti delle primarie Democratiche per le prossime presidenziali. Lo scandalo, che è sulle prime pagine di tutti i giornali americani da un paio di settimane, ha portato i Democratici statunitensi ad avviare la procedura di impeachment contro Trump, una cosa grave e con pochi precedenti nella politica degli Stati Uniti. Sono state proprio le indagini del Congresso statunitense legate all’impeachment, oltre alle inchieste dei giornali americani, a rivelare nuovi importanti dettagli sulla vicenda.
In estrema sintesi, la storia si basa sulle pressioni che fece Trump sul presidente ucraino Zelensky per convincerlo ad avviare un’indagine in Ucraina sulle attività del figlio di Joe Biden, Hunter, allora parte del consiglio di amministrazione di un’importante società ucraina del gas. L’obiettivo di Trump era dimostrare che Biden avesse abusato del suo potere per proteggere Hunter da alcune indagini anti-corruzione avviate in Ucraina, una teoria cospirazionista molto diffusa nella destra americana ma senza alcun fondamento; anzi, le azioni di Biden aumentarono le pressioni sul corrotto sistema giudiziario a danno della società in cui lavorava suo figlio.
Dalle ultime indagini e inchieste sono emerse tre novità che riguardano alcuni messaggi di testo scambiati tra esponenti dei due governi coinvolti nella vicenda, la rimozione anticipata dal suo incarico dell’ambasciatrice statunitense in Ucraina, e le presunte pressioni fatte da Trump sul governo cinese per avviare un’indagine su Biden anche in Cina. I nuovi dettagli sembrano mostrare sempre più chiaramente come Trump abbia abusato del suo potere per fare pressioni su governi stranieri al fine di ottenere vantaggi politici, in particolare indebolendo Joe Biden in vista delle presidenziali del 2020.
La questione dei messaggi
La prima novità riguarda i messaggi di testo scambiati da alcuni esponenti dei due governi nelle settimane successive alla telefonata di Trump e Zelensky, avvenuta a luglio. I nuovi dettagli sono emersi dopo che uno dei personaggi coinvolti nella vicenda, Kurt Volker, allora inviato speciale del dipartimento di Stato americano in Ucraina, è stato interrogato dalla Commissione della Camera nell’ambito delle indagini per l’impeachment di Trump.
Secondo la ricostruzione del New York Times, Volker avrebbe lavorato insieme a Gordon Sondland, ambasciatore statunitense all’Unione Europea, Rudolph Giuliani, avvocato personale di Trump, e Andriy Yermak, consigliere di Zelensky, per mettere a punto un comunicato che avrebbe dovuto essere diffuso dal governo ucraino e che annunciava pubblicamente l’inizio di un’indagine contro Biden. Su indicazione di Giuliani, nel comunicato si sarebbero dovute citare due cose: Burisma, la società ucraina nel cui consiglio di amministrazione c’era Hunter Biden, e il fatto che l’Ucraina avesse interferito nelle elezioni statunitensi del 2016 per favorire Hillary Clinton, un’altra vecchia fissazione di Trump e di una parte della destra americana.
Nei messaggi si diceva inoltre che Trump non avrebbe incontrato Zelensky alla Casa Bianca – una forte richiesta del governo ucraino – finché lo stesso governo ucraino non avesse diffuso il comunicato, compromettendosi ad aprire l’indagine sui Biden.
Il governo ucraino non diffuse mai il comunicato di cui si parlava nei messaggi di testo, perché la citazione diretta della società Burisma sembrò una forzatura troppo grande e perché nell’amministrazione statunitense cominciarono a emergere i primi disaccordi. Se il comunicato fosse stato diffuso, l’operazione sarebbe stata completata «senza che Trump lasciasse le sue impronte su di essa».
Il sospetto che Trump stesse abusando del suo potere – usando la minaccia di non incontrare Zelensky e sospendendo alcuni importanti aiuti economici all’Ucraina, come spiegato qui – era venuto anche a Volker, l’ex inviato speciale del dipartimento di Stato in Ucraina e primo testimone al Congresso nell’ambito della procedura di impeachment contro Trump.
In diversi messaggi di testo mostrati agli investigatori della Camera, Volker descriveva come «folle» il piano di Trump di bloccare gli aiuti economici all’Ucraina per ragioni legate alla campagna elettorale per le presidenziali. I messaggi, risalenti allo scorso settembre (quindi due mesi dopo la telefonata tra Trump e Zelensky), mostravano diversi disaccordi tra diplomatici americani su come il presidente stesse usando il suo potere. Per esempio secondo William Taylor Jr., importante diplomatico statunitense in Ucraina, Trump stava rimandando l’approvazione degli aiuti all’Ucraina come mezzo per influenzare a proprio vantaggio la politica americana.
Questo è un punto importante e centrale nella procedura di impeachment: Trump ha infatti già ammesso di avere chiesto a Zelensky di indagare sui Biden, ma resta da stabilire con esattezza se abbia usato strumenti di politica estera (l’incontro con Zelensky alla Casa Bianca e gli aiuti economici all’Ucraina) per vantaggi politici personali.
Le pressioni sulla Cina
La seconda novità sul caso Biden-Ucraina riguarda una dichiarazione fatta giovedì dal presidente Trump, che durante una conversazione con alcuni giornalisti alla Casa Bianca ha detto che anche la Cina dovrebbe avviare un’indagine su Joe Biden e suo figlio. Alla domanda se avesse già chiesto aiuto al presidente cinese Xi Jinping, Trump ha detto: «No, ma è qualcosa su cui dovremmo iniziare a riflettere».
Il riferimento di Trump alla Cina si basa sul fatto che nel 2013 Hunter Biden entrò in una società di consulenza che si occupava di investimenti e che si era unita a entità cinesi. Hunter Biden aveva deciso di entrare nella società dopo un viaggio in Cina compiuto insieme al padre, quando quest’ultimo era il vicepresidente di Barack Obama. Trump non ha specificato cosa ci fosse di improprio o illegale nella storia, ma finora non è emerso nulla contro i due Biden.
CNN ha scritto che era già successo che Trump parlasse di Biden nelle sue relazioni con la Cina, paese tra l’altro con cui gli Stati Uniti hanno in corso da mesi una rilevante guerra commerciale non ancora risolta. Secondo CNN, che cita sue fonti rimaste anonime, durante una telefonata avuta con Xi il 18 giugno scorso Trump avrebbe inserito nella conversazione sia Joe Biden che Elizabeth Warren, altra candidata Democratica alle primarie per le presidenziali e allora data già in ascesa. Non è chiaro cos’abbia detto o quale sia stato nello specifico il contenuto della conversazione. CNN dice però che nella stessa telefonata Trump promise che non avrebbe commentato pubblicamente le proteste a Hong Kong, che vanno avanti ormai da molte settimane e che sono motivo di preoccupazione e imbarazzo per il governo cinese.
Giovedì, durante la conversazione con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha detto di avere considerato l’idea di chiedere al governo cinese di investigare sui Biden. Secondo diplomatici cinesi sentiti da CNN, le dichiarazioni di Trump sarebbero state accolte con stupore dal governo cinese, che non avrebbe alcuna intenzione di essere coinvolto nelle vicende politiche americane, soprattutto con una guerra commerciale in corso e imminenti negoziati per provare a risolverla.
Il licenziamento dell’ambasciatrice statunitense in Ucraina
Secondo il Wall Street Journal, Trump avrebbe ordinato la rimozione dal suo incarico dell’ambasciatrice statunitense in Ucraina, Marie Yovanovitch, dopo che diversi suoi alleati e consiglieri, tra cui il suo avvocato personale Rudy Giuliani, avevano sostenuto per mesi che Yovanovitch stesse ostacolando gli sforzi americani per persuadere l’Ucraina a investigare su Joe Biden. Yovanovitch fu richiamata a Washington lo scorso maggio, almeno tre mesi prima della fine dei tre anni di incarico in Ucraina. Secondo la Casa Bianca, nella sua sostituzione non ci fu nulla di particolare e soprattutto nulla di illecito.
Secondo funzionari del dipartimento di Stato americano, la rimozione di Yovanovitch era considerata una priorità per Trump. In un documento che Giuliani diede al segretario di stato Mike Pompeo, Yovanovitch veniva descritta come una persona «molto vicina a Biden», circostanza negata dal portavoce della campagna elettorale di Biden, Andrew Bates. Quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse della rimozione anticipata di Yovanovitch, Trump ha risposto: «Non so se la richiamai io o se la richiamò qualcun altro, ma per molto tempo ho sentito cose molto, molto brutte sul suo conto».
Come in altri aspetti di tutta questa storia, la questione centrale nella vicenda Yovanovitch è se Trump abbia abusato del suo potere – e in particolare degli strumenti di politica estera che ha a disposizione – per raggiungere obiettivi politici personali. E anche in questo caso la risposta sembra essere positiva.