Atlantia si fa sentire su Alitalia
La società della famiglia Benetton dice che non parteciperà al salvataggio della compagnia aerea se le concessioni autostradali saranno revocate
Atlantia, la società controllata dalla famiglia Benetton che gestisce in concessione la gran parte delle autostrade italiane, ha scritto una lettera al ministero dello Sviluppo economico in cui minaccia di ritirarsi dalla cordata di imprese impegnate nel salvataggio di Alitalia se il governo proseguirà nella procedura di revoca delle sue concessioni autostradali, più volte promessa e minacciata dal Movimento 5 Stelle. Tra i primi a rispondere alla società c’è stato il viceministro dello Sviluppo economico del Movimento 5 Stelle Stefano Buffagni, che ha detto che il governo «non si farà ricattare».
La partecipazione di Atlantia è uno degli elementi fondamentali del salvataggio di Alitalia, la compagnia aerea che da oltre un decennio si dibatte in una difficile crisi apparentemente senza soluzione. La società dei Benetton dovrebbe essere – alla pari di Ferrovie dello Stato – il nuovo principale azionista della compagnia aerea, acquistandone circa il 35 per cento delle quote. Il restante 30 per cento circa dovrebbe essere diviso a metà tra il ministero dell’Economia e la compagnia aerea statunitense Delta Airlines (con cui però sono sorte nuove difficoltà negli ultimi giorni).
Quando lo scorso luglio i vertici di Atlantia annunciarono la loro disponibilità ad aiutare il governo su Alitalia, in molti avevano sospettato che la società stesse tentando una sorta di manovra diplomatica nei confronti del governo: aiutarlo a risolvere un problema con Alitalia in cambio di aiuti su altri fronti, per esempio sulla possibile revoca delle concessioni autostradali.
Dal crollo del ponte Morandi di Genova, avvenuto nell’agosto del 2018, la società è infatti criticatissima dal Movimento 5 Stelle, che fino dai giorni immediatamente successivi alla tragedia ha accusato di negligenza Atlantia, che era incaricata della manutenzione del ponte, e ha annunciato la sua intenzione di punirla severamente. In realtà la revoca delle concessioni autostradali minacciata dal governo non è affatto semplice ed è anche molto costosa, soprattutto se non si riuscirà a dimostrare una responsabilità diretta di Atlantia nel crollo.
In ogni caso i manager della società sembrano prendere seriamente in considerazione questa ipotesi. Nella lettera inviata al ministero dello Sviluppo economico hanno scritto che «un permanere di una situazione di incertezza in merito ad Autostrade per l’Italia o ancor più l’avvio di un provvedimento di caducazione [cioè di revoca della concessione] non ci consentirebbero, per senso di responsabilità riconducibile sia alle risorse finanziarie necessarie che alla tutela degli interessi dei nostri circa 40 mila azionisti italiani ed esteri, dei circa 31 mila dipendenti del gruppo e di tutti gli stakeholders, di impegnarsi in un’operazione onerosa di complessa gestione ed elevato rischio».
Nella lettera i manager si lamentano anche dell’offerta di Delta Airlines, che al momento sembra disposta ad acquisire soltanto il 10-12 per cento di Alitalia e non il 15, come inizialmente prospettato. Il sospetto di molti, scrivono i giornali, è che Delta Airlines non consideri l’operazione vantaggiosa e punti soltanto a impadronirsi di parte delle rotte aeree possedute da Alitalia, senza cercare un vero rilancio della società.
Questa non è la prima volta che la famiglia Benetton si trova impegnata a salvare Alitalia. In passato aveva già investito (e perso) circa 200 milioni di euro: prima per sostenere la cordata dei cosiddetti “Capitani coraggiosi”, messa insieme da Silvio Berlusconi nel 2008 per salvare la compagnia dopo che lo stesso Berlusconi aveva fatto saltare l’accordo con Air France-KLM; poi attraverso Atlantia aveva versato altri soldi nel corso dell’operazione che portò all’alleanza tra Alitalia ed Etihad, la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti.
Alitalia al momento sopravvive solo grazie a un prestito ponte da 900 milioni di euro che ha ricevuto dal governo all’inizio del 2018. Il prestito, che doveva durare pochi mesi, è stato prorogato più volte e poi trasformato in un prestito senza scadenza (sotto esame della Commissione Europea perché sospettato di essere un aiuto di stato illegale). I giornali scrivono che se l’attuale salvataggio dovesse andare in porto (e al momento c’è più di un dubbio, come abbiamo visto), saranno necessari altri 2-3 mesi per concludere tutti gli accordi necessari. Visto che Alitalia ha oramai terminato i fondi del prestito ponte, il governo potrebbe essere presto obbligato a prestare altri 200 milioni di euro alla compagnia.