Perché TikTok ha il successo che ha

Il New Yorker racconta come un social network cinese sia diventato il più usato da centinaia di milioni di adolescenti nel mondo, Italia compresa

Un'adolescente americana fotografata da Associated Press mentre si riprende in un video. (AP Photo/Jessica Hill)
Un'adolescente americana fotografata da Associated Press mentre si riprende in un video. (AP Photo/Jessica Hill)

Se frequentate Internet, è probabile che sappiate che esiste un social network popolarissimo tra gli adolescenti e i pre-adolescenti, che si chiama TikTok e che si basa su brevi contenuti video, spesso musicali. Non è detto che abbiate però ben chiare le dimensioni del fenomeno, i funzionamenti della piattaforma e soprattutto come faccia ad avere il successo che ha: di tutto questo ha scritto la giornalista Jia Tolentino in un lungo articolo uscito sul New Yorker, che prova a spiegare TikTok a chi si ritiene troppo vecchio per capirlo “sul campo”, cioè probabilmente a quasi tutte le persone che stanno leggendo.

Sono diversi mesi che di TikTok si parla anche sui giornali, in molti articoli che ne hanno raccontato la storia e l’ascesa: sul Post per esempio ci arrivammo il 16 marzo scorso. Ma chi ha nipoti, cugini o figli nella fascia tra i dodici e i diciotto anni ormai ne ha probabilmente avuto esperienza diretta: è comune infatti, anche in Italia, che i ragazzini lo usino come social network principale, spesso senza nemmeno avere un account su Instagram (e nemmeno parliamo di Facebook, da anni considerato “per anziani” anche da molti ventenni e trentenni). Se provate a scaricare l’app di TikTok, vedrete che vi verranno immediatamente sbattuti davanti contenuti, senza registrazioni o lungaggini di presentazione.

È il primo meccanismo con cui TikTok tiene incollati i suoi utenti, senza perdersi in formalità e passando subito all’intrattenimento, di cui offre una specie di grado zero, e che finora ha pagato. La cosa migliore per iniziare a capire TikTok è guardare com’è fatto: per chi non vuole, può essere riassunto come una lunga sequenza di video di 15 secondi o meno, con protagonisti principalmente adolescenti che ballano, cantano, riproducono dialoghi di film, fanno battute, mettono in piedi scenette buffe. Stare su TikTok significa guardarli in sequenza, alcuni diverse volte, altri una sola, per qualche minuto o per qualche decina di minuti. È facile constatare la componente di assuefazione: ne vedo ancora uno, ancora due, ancora questo, eccetera. Ce ne sono di brillanti, di divertenti, di molto stupidi, di imbarazzanti, di noiosi, di ridicoli, di fatti bene, di fatti male: di tutti i tipi, insomma.

TikTok è stata scaricata oltre un miliardo di volte da quando esiste, e ha già più utenti mensili di Twitter e Snapchat. La possiede la società cinese ByteDance, e il concetto fondamentale che le sta dietro è l’intelligenza artificiale, un termine molto generico che in questo caso significa soprattutto riconoscimento e apprendimento automatico. Significa che la cosa più importante che sta dietro alla successione apparentemente casuale di video divertenti che rappresenta la superficie di TikTok è l’algoritmo che ne riconosce i contenuti e li cataloga appositamente. Quell’algoritmo impara cosa ci piace e ce lo mostra sempre di più, ma quei dati servono anche a molto altro, come vedremo.

ByteDance è stata valutata 75 miliardi di dollari, dopo un investimento di tre miliardi di dollari della holding giapponese SoftBank. Esiste in 150 paesi, e i contenuti sono piuttosto trasversali: nella maggior parte la lingua è secondaria, e quindi quelli italiani si possono perlopiù vedere anche in Brasile, e viceversa. TikTok, a differenza di quasi tutti gli altri social network, non si basa sulle opinioni degli utenti, non vuole sapere cosa state facendo, e nemmeno chi sono i vostri amici. Gli utenti sono tutti nello stesso, grande calderone, ed è richiesto loro di produrre o perlomeno di guardare video che servono unicamente a intrattenere. Sono quasi tutti slegati dal contesto in cui sono girati o dall’attualità, cosa che li rende spendibili dappertutto e in qualsiasi momento. Spiega Tolentino:

Nella teleologia di TikTok, gli uomini sono messi sulla Terra per produrre buoni contenuti. E i buoni contenuti sono tutti quelli che vengono condivisi, replicati e che ne generano altri. Nella sua essenza, la piattaforma è una grande fabbrica di meme, che comprime il mondo in frammenti di viralità che poi distribuisce finché non sei pieno, o ti addormenti.

I mercati in cui TikTok sta cercando di espandersi di più sono il Giappone, gli Stati Uniti e l’India, dove ha 200 milioni di utenti. Proprio in India, lo scorso aprile, il governò vietò brevemente i nuovi download dell’app, sostenendo che favorisse la diffusione di contenuti pedopornografici. Si finì presto in tribunale, e ByteDance fece notare che ogni giorno senza TikTok in India gli costava 500mila dollari: promise di assumere nuovi moderatori e di investire un miliardo di dollari nel paese nei successivi tre anni. Il divieto fu ritirato, e TikTok promosse una campagna pubblicitaria premiando quotidianamente con 1.400 dollari tre degli utenti che usavano l’hashtag #ReturnOfTikTok. Finora in India ci sono state tre morti accertate di persone che stavano riprendendo un video da pubblicare su TikTok: uno stava posando con una pistola, un altro stava sporgendosi da un treno, un altro stava andando con altre due persone sulla stessa bici.

ByteDance ha una decina di app, la maggior parte delle quali si basa sull’intelligenza artificiale: raccolgono dati sugli utenti, li elaborano, li usano per migliorare gli algoritmi, usano gli algoritmi per rendere sempre migliori le app. È lo stesso principio di TikTok: con il proprio comportamento con l’app – i mi piace, le volte che riguardiamo un video, quelle in cui ne saltiamo un altro – viene usato dall’algoritmo per migliorare i contenuti che ci vengono proposti, rendendoli sempre più personalizzati. È vero che questo funzionamento vale un po’ per tutti i social network: ma altrove si sceglie chi seguire e con chi essere amico, su TikTok no. O meglio: si possono seguire gli account, ma il feed di video proposti pesca da tutti i TikTok pubblicati nel mondo.

Ho trovato allo stesso tempo liberatorio e preoccupante passare il tempo su una piattaforma che non mi chiedeva di far finta di stare su internet per una buona ragione. Non stavo dando attenzioni a TikTok perché volessi rimanere aggiornato sulle news, o perché stessi cercando conforto o irritazione guardando le foto dei miei amici in vacanza. Stavo dando attenzioni a TikTok perché mi stava dando quello che catturava la mia attenzione, e lo sapeva fare perché era stato progettato per fare capriole algoritmiche capaci di far passare mezz’ora prima che mi ricordassi di fare altro.

Secondo Tolentino, il percorso che ci ha portato fin qui è partito da lontano, ma se YouTube, Twitter e Instagram funzionavano sulla base di algoritmi progettati per venderci le cose, TikTok punta – per ora – principalmente a non farci guardare altrove, e a permetterci di riprodurre con facilità i contenuti che servono a questo scopo. Questo processo può essere facilmente interpretato come allarmante, se si pensa che può determinare – e probabilmente già determina, in una certa misura – il futuro dei prodotti culturali. «L’algoritmo ci dà qualsiasi cosa ci piaccia, e noi in cambio diamo all’algoritmo qualsiasi cosa piaccia a lui. Mentre il cerchio si restringe, diventiamo sempre meno abili a separare i gusti dell’algoritmo dai nostri».

Questo sta già avvenendo con la musica, una delle cose più importanti dei video di TikTok, che per la maggior parte hanno una colonna sonora. Non a caso ByteDance comprò alla fine del 2017 musical.ly, un social network dal funzionamento simile che dall’agosto del 2018 non esiste più, perché è stato accorpato proprio a TikTok. Grazie ad accordi con le case discografiche, TikTok può usare un catalogo sterminato di canzoni, il cui utilizzo non premia di per sé gli artisti (alcuni video contengono link agli streaming, ma pochi). È però possibile che certe canzoni utilizzate su TikTok diventino virali, e fruttino molti soldi a chi le ha scritte: è il caso di “Old Town Road”, la canzone-meme di un rapper 20enne americano che grazie alla sua viralità su TikTok è diventata famosissima, battendo il record di sempre di permanenza in cima alla classifica di Billboard.

Questi meccanismi sono diventati talmente importanti per una certa categoria di artisti, specialmente quelli più giovani, che sempre più canzoni vengono pensate specificamente per funzionare su TikTok. “Old Town Road”, per esempio, dura meno di due minuti, e ci sono produttori specializzati nelle canzoni da TikTok, di cui spesso compongono soltanto il ritornello, confezionando poi anche il resto se la melodia prende piede. ByteDance peraltro ha comprato una startup inglese chiamata Jukedeck, che sta sviluppando strumenti di composizione artificiale in grado di interpretare il contenuto di un video per produrre una colonna sonora adatta, cosa che darebbe peraltro a TikTok l’intera proprietà intellettuale sui contenuti che ospita.

I contenuti di TikTok sono quasi interamente positivi, allegri, scherzosi, leggeri. Tolentino aveva parlato con vari portavoce della società, che le avevano spiegato che non interferiscono sulla popolarità dei contenuti per nascondere quelli che non rispettano questi canoni. Ma poco dopo, ha scritto, il sito Digiday riportò la notizia che TikTok aveva cominciato a inviare una newsletter ad alcune aziende selezionate per anticipare quali sarebbero stati gli hashtag di tendenza promossi dal social network, perché preparassero contenuti specifici per i propri prodotti. Tolentino dice di aver visto una di queste newsletter, che conteneva hashtag come #BeachDay e raccomandava ai brand di pubblicare i video con un giorno di anticipo rispetto al lancio ufficiale. In seguito, un portavoce di TikTok ha ammesso con Tolentino che la società era interessata a promuovere trend positivi, e che poteva decidere di escluderne alcuni dalla pagina in cui presenta i contenuti più popolari.

Nonostante TikTok sia cinese, esiste un’app che è praticamente la TikTok della Cina: si chiama Douyin, ed è a sua volta di proprietà di ByteDance, che dice che ha oltre 500 milioni di utenti mensili attivi. Ce l’hanno la maggior parte dei giovani del paese, e per certi versi ha connesso tra loro parti molto lontane del paese: uno dei personaggi più popolari di Douyin è Yeshi Xiaoge, un cuoco che mostra come si cucinano i piatti in una remota regione rurale. Ma se nella sostanza è simile a TikTok, Douyin è molto più sviluppata nell’e-commerce, permettendo di comprare con un clic gli oggetti contenuti nei video, di prenotare un soggiorno in un hotel, di noleggiare un film. Secondo molti è la direzione in cui andrà TikTok, che prima però vuole espandere il suo bacino di utenti includendo anche le fasce demografiche oltre i vent’anni, quelle con più disponibilità economica. Per farlo, dovrà per forza cambiare il genere di contenuti, rendendoli più “maturi”.

Ma insieme alle previsioni sulle possibili strade che prenderà TikTok, e alle preoccupazioni sulle modalità con le quali sta cambiando il modo in cui fruiamo dei prodotti culturali, Tolentino ha parlato anche di un altro tema spesso citato in relazione al social network: la questione dell’utilizzo dei dati che raccoglie. La Cina è probabilmente il paese in cui i sistemi di riconoscimento facciale sono più sviluppati e impiegati al mondo, ma non soltanto per permettere alla gente di fare pagamenti con una rapida scansione del proprio volto. Diversi reportage internazionali hanno infatti raccontato l’imponente sistema di videosorveglianza di massa costruito nello Xinjiang, una regione autonoma del nord-ovest della Cina abitata soprattutto dagli uiguri, minoranza etnica musulmana accusata dal governo cinese di separatismo e terrorismo.

Tolentino ha chiesto conto a ByteDance dei sospetti sul fatto che i dati raccolti applicando l’apprendimento automatico ai video di TikTok servano a migliorare proprio quei sistemi di videosorveglianza, o che perlomeno possano finire in mani sbagliate e male intenzionate. Le è stato risposto che i dati degli utenti americani sono conservati negli Stati Uniti, e che comunque le persone forniscono continuamente i propri dati, comprese le proprie facce, alle app. La differenza, però, è che in Cina le società di tecnologia sono quasi sempre controllate o finanziate dal governo: secondo il Wall Street Journal negli uffici di Pechino di ByteDance c’è una stanza in cui lavora una squadra di informatici della polizia cinese, ufficialmente per individuare contenuti pedopornografici o legati al terrorismo (dove per “terrorismo” in Cina spesso si intendono anche soltanto i dissidenti politici).

Dinesh Raman, un ricercatore nel campo delle intelligenze artificiali che ha studiato ByteDance per alcune analisi svolte per conto di grandi investitori, ha detto a Tolentino che i sistemi della società fanno miliardi di calcoli al secondo, e trasmettono dati a una velocità che non ha mai visto. Secondo Tolentino, ha mostrato «un misto di preoccupazione e ammirazione» per le capacità della società. In questo senso, ByteDance trae molto vantaggio dalla compenetrazione tra i social network cinesi e la vita quotidiana dei loro utenti, che li usano continuamente per fare un po’ di tutto, fornendo una enorme quantità di dati sulle loro abitudini che servono a rendere sempre più precisi gli algoritmi. E la quantità dei dati, in questo campo, è perfino più importante della qualità del sistema che li interpreta.

C’è chi dice che TikTok finirà senza soldi come Vine, l’app di proprietà di Twitter che si basava a sua volta su brevi contenuti video divertenti. Facebook ha già provato a lanciare Lasso, una specie di clone di TikTok che non ha avuto successo, e si sa che Instagram sta sperimentando delle funzioni simili. Ma a differenza dei social network della Silicon Valley, TikTok è cinese, e proprio questo potrebbe essere quello che la renderà diversa da tutto quello che è venuto prima.