Le serie tv turche stanno andando forte
Si chiamano "dizi" e in molte parti del mondo sono molto seguite, anche se non sempre è facile portarle all'estero
Da qualche anno in Turchia hanno iniziato a fare delle serie tv diverse dalle altre, che stanno avendo un gran successo anche all’estero: si chiamano dizi (abbreviazione di televizyon dizileri, serie televisive) e definirle in poche righe è complicato. Come ha detto Arzu Ozturkmen, docente universitario dell’università di Istanbul, sono «un genere in divenire». L’importante, ha aggiunto, è non dire che sono delle “soap opera”.
Delle serie dizi si è occupata di recente Fatima Bhutto, autrice del libro New Kings of the World, che analizza il successo mondiale (almeno in certi pezzi di mondo) dei film indiani di Bollywood, del K-Pop coreano e, appunto, delle dizi turche. Bhutto ha scritto che le dizi sono «grandi epiche in cui ogni episodio dura un paio d’ore, a volte anche di più» e che fra i tratti distintivi di queste nuove serie turche ci sono «una colonna sonora originale e la presenza di anche una cinquantina di personaggi principali». In più, le dizi sono spesso girate nel centro storico di Istanbul e, solo quando non se ne può proprio fare a meno, negli studi cinematografici.
Per quanto riguarda i temi trattati, le dizi parlano di molte cose diverse: a volte sono ambientate durante l’impero Ottomano, altre volte ai giorni nostri. Eset, un giovane sceneggiatore e regista turco, ha detto che le trame «sembrano quelle delle storie di Dickens e delle sorelle Brontë» e che quasi sempre ci sono un eroe senza macchia, ma anche un amore impossibile e, spesso, un triangolo amoroso.
In genere, le serie dizi di maggior successo girano intorno a storie in cui, scrive Bhutto, «principi e valori tradizionali si scontrano con la corruzione emotiva e spirituale del mondo moderno». Eset ha aggiunto: «Vogliamo tutti vedere il buono e la buona che finiscono insieme ma la vita è difficile e in giro è pieno di cattivi». Tra le dizi più popolari ce ne sono che parlano di stupri, matrimoni forzati e situazioni familiari complicate: c’è quindi un tentativo di raccontare problemi reali. Fatmagül’ün Suçu Ne? (Che colpa ha Fatmagül?) parla di una donna che cerca giustizia – «civile, divina ed emotiva», scrive Bhutto – dopo aver subito uno stupro di gruppo.
Bhutto ha poi scritto che la prima donna con un velo l’ha vista dopo aver guardato circa 100 ore di dizi. Eset ha spiegato: «All’inizio avevano provato a far recitare donne con il velo, ma nemmeno i conservatori vogliono vedere in tv donne conservatrici». Seppur tentino di raccontare storie per certi versi moderne e sotto alcuni aspetti problematiche, le dizi sono però anche piene di vecchi stereotipi: i protagonisti maschili sono comunque quasi sempre «più romantici di Romeo», scrive Bhutto.
Le prime serie dizi arrivarono pochi anni dopo il 2000. Per prima cosa presero il posto che in gran parte del mondo arabo era stato occupato prima dalle serie egiziane e poi dalle serie siriane, in gran parte terminate per via della guerra. La prima dizi a sfondare oltre la Turchia, e anche oltre il Medio Oriente, fu Binbir Gece, una sorta di versione per la tv di Le mille e una notte, che fu distribuita in più di 80 paesi. Ma non fu comunque niente di paragonabile al successo che dal 2011 in poi ha avuto Il secolo magnifico (Muhteşem Yüzyıl) sulla vita del sultano ottomano Solimano il Magnifico, vissuto nel Sedicesimo secolo. La serie, andata in onda per quattro stagioni (e 139 episodi totali), parlava di una storia d’amore tra il sultano e una delle sue concubine e arrivò ad avere costantemente uno share superiore al 30 per cento. La serie aveva una troupe di oltre 100 persone, 25 solo per i costumi, e Bhutto ha scritto che qualcuno la paragonò a Game of Thrones ed ebbe anche evidenti effetti sull’aumento del turismo dall’Arabia Saudita verso la Turchia, in particolare verso i luoghi di Istanbul in cui c’erano state le riprese. Bhutto cita anche alcune stime secondo le quali la serie ha avuto finora più di 500 milioni di spettatori.
Oltre che in Turchia e in Medio Oriente, le dizi stanno avendo un grande successo in giro per il mondo, in particolare in Russia, Cina, Corea del Sud e nei paesi dell’America Latina. Negli ultimi 15 anni circa 150 dizi sono state vendute all’estero, in più di 100 paesi, e il governo turco si aspetta che entro il 2023 la vendita all’estero per i diritti di trasmissione delle dizi possa portare alla Turchia guadagni per l’equivalente di quasi un miliardo di euro. Il Cile è il paese straniero che ha comprato più serie dizi dalla Turchia e il Messico è il paese che ha speso di più per avere tutte le serie dizi che vengono trasmesse nel paese.
Halit Ergenç, l’attore che interpreta Solimano in Il secolo magnifico, ha detto che secondo lui le dizi stanno avendo successo anche all’estero perché le serie americane «intrattengono ma non emozionano», «non toccano quelle corde che ci fanno sentire umani». Kivanç Tatlıtuğ, un altro noto attore di dizi, ha spiegato a Bhutto che anche secondo lui è «una questione di empatia»: spettatori asiatici o sudamericani si appassionano alle dizi perché pensano che «le loro storie quotidiane siano poco esplorate nelle serie tv europee e di Hollywood». Eset ha in parte confermato questa tesi spiegando che negli ultimi anni in Turchia vanno bene alcune serie che sono l’adattamento di altre serie sudcoreane, un altro paese «che dà grande importanza alla famiglia e a valori che nell’Occidente sono ormai superati».
Nonostante il successo degli ultimi anni, ci sono però un po’ di problemi, quando si parla di alcune dizi fuori dalla Turchia. Per cominciare, alcune dizi recenti – come Söz (“Il giuramento”), il cui canale YouTube è seguito da più di un milione di utenti – fanno parte di un sottogenere noto come dizi militari: vanno molto forte in Turchia e fanno molto piacere al governo, ma Timur Savcı, fondatore di Tims Productions, la più grande casa di produzione di serie turche, ha spiegato che «al momento non molti paesi sono interessati a vedere i soldati turchi che vengono glorificati».
In alcuni casi, quindi, anziché vendere i diritti di trasmissione all’estero si vendono i diritti per permettere ad altri di fare dei remake, tenendo la storia di base ma cambiando nazionalità ai soldati. Savcı ha anche detto che sta lavorando a un adattamento in inglese di Il secolo magnifico e che non è per niente interessato a fare il contrario, adattando cioè storie statunitensi per un pubblico turco. Savcı ha anche aggiunto che è più facile provare a entrare nel mercato statunitense (o in quello di paesi come l’Italia) con storie ambientate qualche secolo fa, «quando l’impero Ottomano era la superpotenza del mondo», e che non «spaventino» gli spettatori con storie ambientate invece in un presente molto diverso e distante dal loro.
Un altro ostacolo alla crescita internazionale delle dizi è di natura geopolitica. Bhutto scrive infatti che nell’ultimo anno e mezzo «molte dizi sono state tolte dai tanti canali della regione mediorientale». C’entrano, molto in breve, le ostilità tra la Turchia e l’Arabia Saudita e il fatto, tra le tante altre cose, che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman abbia un controllo indiretto del più importante canale televisivo del mondo arabo. In tutto questo, infatti, le dizi sono un prodotto che porta soldi alla Turchia e che permette al paese di esercitare un’influenza culturale e una sorta di soft power su altri paesi: in questi mesi alcuni paesi in qualche modo ostili alla Turchia ci hanno fatto caso e hanno di conseguenza deciso di rinunciare alle serie dizi turche. Tutto questo nonostante il fatto che la più famosa delle dizi, Il secolo magnifico, non piacesse per niente al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che la riteneva poco fedele dal punto di vista storico. Bhutto dice però che molte altre dizi più recenti hanno avuto «la piena approvazione da parte del governo».
Nonostante i problemi di alcune dizi particolarmente politicizzate o delle dizi di ogni tipo in alcuni paesi del mondo arabo, queste nuove serie turche stanno continuando ad avere un grande successo in Turchia e un promettente mercato all’estero; prima o poi qualcosa di questo tipo potrebbe arrivare anche in Italia. I primi segnali dell’ingresso delle dizi nel mercato europeo ci sono già: Fatmagül’ün Suçu Ne? è già andata in onda in Spagna, dove ogni episodio è stato visto da quasi un milione di spettatori, ed è già in programma un suo remake in forma di telenovela, con puntate quotidiane di circa mezz’ora.