Dove sono i corpi dei dittatori
Dopo anni di dibattito la Spagna sposterà quello di Franco, ma i luoghi di sepoltura dei leader autoritari e violenti sono un problema quasi dappertutto
Dopo una controversia legale durata anni, ieri la Corte Suprema spagnola ha stabilito che il corpo del dittatore Francisco Franco potrà essere rimosso dal complesso monumentale della Valle de los Caídos, dove è sepolto dal 1975 insieme ai caduti della guerra civile spagnola. È stata una vittoria per il governo socialista di Pedro Sanchez, che aveva fatto della riesumazione della salma di Franco una battaglia politica identitaria, portata avanti contro gli eredi del dittatore e contro gli ambienti cattolico-conservatori spagnoli, dove la memoria di Franco è ancora molto sentita.
La Valle de los Caídos è un grosso cimitero costruito fuori Madrid per volontà dello stesso Franco, nel 1959: ospita oltre 30mila vittime della guerra civile spagnola, combattuta negli anni Trenta tra i nazionalisti guidati da Franco e il fronte repubblicano. Nella volontà di Franco, avrebbe dovuto essere un monumento alla riconciliazione nazionale, ma fu criticato duramente dalla sinistra spagnola ed è da sempre considerato una celebrazione del franchismo. Oltre al corpo di Franco, sepolto nella basilica in cima al complesso, ospita sia i soldati nazionalisti sia quelli repubblicani, i quali sono però in larga parte sepolti in fosse comuni e che perlopiù non furono mai identificati (cosa che avvenne per i primi).
Il corpo di Franco sarà ora spostato al cimitero di Mingorrubio, nel quartiere madrilegno di El Pardo, per essere sepolto vicino a sua moglie Carmen Polo: i giudici hanno respinto la richiesta dei familiari del dittatore di seppellirlo nella cattedrale dell’Almudena di Madrid. La decisione verrà eseguita immediatamente, anche se gli eredi potranno fare ulteriori ricorsi. Potrebbe essere, insomma, il capitolo conclusivo di una diatriba che va avanti da decenni, analoga a diverse altre che hanno avuto luogo nel Novecento in tutto il mondo: cosa fare del corpo dei dittatori?
È infatti una domanda sulla quale ci si è interrogati in quasi tutti i paesi che hanno vissuto il totalitarismo nel secolo scorso. Le risposte sono state molto diverse, e strettamente legate alla natura del regime in questione, alle modalità in cui si era concluso, all’eredità lasciata, alla sua percezione contemporanea. Le sorti dei dittatori sono spesso state decise in situazioni caotiche e violente, ma nella maggior parte dei casi i loro resti – perfettamente integri in certi casi, martoriati in altri – sono sopravvissuti alla transizione di potere, diventando un argomento quasi sempre divisivo e su cui le forze politiche hanno portato avanti battaglie ideologiche.
Adolf Hitler: da nessuna parte
Non è il caso del corpo di Adolf Hitler, che ebbe una storia intricata e ancora a tratti da chiarire. I suoi resti carbonizzati, ritrovati dai russi fuori dal bunker di Berlino dove si era ucciso il primo maggio 1945, furono inizialmente sottoposti a varie autopsie dall’Unione Sovietica, che negò agli Alleati il ritrovamento. Furono poi seppelliti a Magdeburgo, nella Germania Est, tranne che per il cranio e la dentatura (che finirono negli archivi di stato a Mosca). Lì rimasero fino all’aprile 1970, quando – forse a causa dell’imminente costruzione di un complesso residenziale sull’area in cui erano stati sepolti – i servizi segreti sovietici, il KGB, li recuperarono in un’operazione speciale, per poi distruggerli sparpagliandone le ceneri in un affluente del fiume Elba.
Benito Mussolini: Predappio
Il corpo di Benito Mussolini, invece, è notoriamente sepolto nella cripta di famiglia nel cimitero di San Cassiano a Predappio, il comune romagnolo dove era nato. Ma ci arrivò in modo rocambolesco: dopo l’esposizione pubblica in piazzale Loreto a Milano, il suo corpo mutilato dalla folla fu sepolto al Cimitero Maggiore di Milano in una fossa comune e senza segni che lo identificassero. La salma di Mussolini fu comunque individuata, e per un anno fu oggetto di ripetuti atti di vandalismo, finché un gruppo di fascisti la trafugarono sostenendo di volerle concedere una sepoltura appropriata. Fu poi restituita segretamente ai frati minori del convento di Sant’Angelo di Milano, dalla quale fu inizialmente spostata alla Certosa di Pavia.
Da lì, nell’agosto del 1946, fu spostata per ordine del cardinale Ildefonso Schuster al convento dei frati cappuccini di Cerro Maggiore, alla periferia di Milano, dove rimase nascosta in un armadio per undici anni. Nel 1957 il presidente del Consiglio Adone Zoli, democristiano originario di Predappio e il cui governo si reggeva sui voti del Movimento Sociale Italiano, acconsentì alle richieste della famiglia Mussolini di spostare la salma per seppellirla nella cripta di Predappio. Oggi la tomba di Mussolini è meta di annuali celebrazioni di nostalgici del regime e neofascisti, che hanno fatto di Predappio una specie di meta turistica piena di negozi di souvenir che rievocano la figura del dittatore e il ventennio fascista. Questi raduni sono accompagnati da periodiche polemiche, e criticate da chi ritiene che si configurino come apologia del fascismo, un reato previsto dalla legge.
Josif Stalin: mura del Cremlino
Pur non avvicinandosi al caso di Franco, il trattamento riservato oggi alla salma di Mussolini è secondo molti un esempio di come l’Italia non abbia davvero fatto i conti con il proprio passato fascista. Un caso diverso è quello di Josif Stalin, il dittatore dell’Unione Sovietica che morì nel 1953 dopo oltre trent’anni al potere. La morte di Stalin fu un momento che scombussolò il PCUS, il partito comunista sovietico, e tra i dirigenti che se ne contendevano la successione, come recentemente raccontato dal film Morto Stalin, se ne fa un altro. Il corpo fu imbalsamato ed esposto per tre giorni nella Casa dei Sindacati di Mosca, dove un’ininterrotta colonna di persone gli rese omaggio: per vederlo ci furono calche così violente che decine di persone rimasero uccise.
Dopo i funerali di stato, il corpo fu infine esposto a fianco di quello di Vladimir Lenin nel mausoleo sulla piazza Rossa. Negli anni successivi, però, l’eredità del leader sovietico fu oggetto di grandi dibattiti all’interno del PCUS, che culminarono con la famosa denuncia dei crimini dello stalinismo di Nikita Chruščëv nel 1962. Il corpo fu quindi tolto dal mausoleo di Lenin e sepolto all’esterno, a poche decine di metri di distanza lungo le mura del Cremlino, all’ombra di un sobrio busto in marmo tra Mikhail Suslov e Mikhail Kalinin.
Jorge Videla: sotto falso nome, in un anonimo cimitero alla periferia di Buenos Aires
Il dittatore argentino Jorge Videla morì nel bagno della sua cella della prigione di Marcos Paz, a ovest di Buenos Aires: aveva 87 anni, ed era tornato in carcere dopo che era stato graziato una prima volta nel 1990 dall’allora presidente Carlos Menem. Negli anni Duemila, però, in Argentina ci fu una nuova attenzione verso i crimini degli anni della dittatura di Videla, che durò dal 1976 al 1981 e durante la quale furono uccisi migliaia di oppositori politici. La grazia fu dichiarata incostituzionale, e nel 2010 fu condannato nuovamente all’ergastolo.
Quando morì, tre anni dopo, la sua famiglia voleva seppellirlo in una cappella privata a Mercedes, la sua città natale, ma le grandi proteste degli attivisti di sinistra locali lo impedirono. Fu quindi deciso di seppellirlo in gran segreto in un cimitero a una cinquantina di chilometri da Buenos Aires, in una tomba segnata soltanto da una piccola lapide di pietra uguale a tutte le altre, con scritto Familia Olmos, il nome di uno stretto amico di famiglia. I suoi resti sono ancora lì, anche dopo che nel 2015 un’inchiesta del quotidiano argentino Clarin rivelò la collocazione della tomba. Nel frattempo il nome sulla lapide è stato cambiato con Abayo Yalan. Lo scorso marzo Alicia Raquel Hartridge, la vedova 91enne di Videla, ha detto all’agenzia spagnola EFE di non sapere per cosa stia la nuova iscrizione, scelta da suo figlio. Ha raccontato di non visitare più la tomba dell’ex marito, e di non conoscerne neanche l’esatta posizione.
El falso nombre de la tumba del dictador argentino Jorge Videla http://t.co/QFWi3NuKgt pic.twitter.com/SqoMF3Ksf4
— EL PAÍS (@el_pais) May 28, 2015
Pol Pot: sotto una fatiscente lamiera in uno sperduto villaggio
Il leader cambogiano responsabile di uno dei più terribili genocidi del Novecento morì nel 1998 a 73 anni: dopo aver instaurato negli anni Settanta il sanguinoso regime degli khmer rossi, che massacrò oltre 1,5 milioni di persone prima di essere rovesciato nel 1979 dall’intervento del Vietnam. Pol Pot, il leader degli khmer rossi, si spostò insieme ai suoi seguaci al confine con la Thailandia, dove rimase asserragliato per anni con il sostegno di Stati Uniti e Cina. Anche questo governo in esilio fu sconfitto dai vietnamiti nel 1985, e Pol Pot passò alcuni anni tra Thailandia e Cina, fino al ritiro del Vietnam nel 1989. Si stabilì quindi in un piccolo villaggio dove rimase per tutti gli anni Novanta, mentre le sue truppe disertavano e i pochi leader degli khmer rossi rimasti al suo fianco lo abbandonavano pian piano.
Nell’aprile del 1998, poco dopo aver appreso dalla radio che gli khmer rossi avevano accettato di consegnarlo a un tribunale internazionale perché venisse processato per crimini contro l’umanità, Pol Pot morì: ufficialmente per infarto, secondo molti per suicidio. Il suo corpo fu cremato davanti a una decina di persone a Choam Sa-Ngam, il villaggio dove viveva, sopra a una pila di copertoni usati. Il luogo della cremazione fu poi coperto con una lamiera arrugginita, a cui fu affiancato un piccolo cartello. Oggi fa parte di una specie di circuito turistico dedicato ai luoghi degli khmer rossi, ed è visitato da turisti e curiosi, in gran parte cambogiani. Nel Sud Est asiatico il culto degli antenati e dei morti è diffusissimo, ed esiste una diffusa credenza secondo la quale lo spirito di Pol Pot sia molto potente e propiziatore. In Cambogia il processo di rielaborazione storica dell’eredità lasciata dagli khmer rossi è ancora in corso. Se da una parte i crimini commessi da Pol Pot coinvolsero una larghissima parte delle famiglie cambogiane, che quindi ne vivono ancora oggi il trauma, il dialogo è reso complicato dalla difficoltà di raccogliere e organizzare le informazioni storiche.
Nicolae Ceaușescu: cimitero di Ghencea
Il dittatore romeno fu ucciso in una base militare di Târgoviște, fuori Bucarest, il giorno di Natale del 1989, dopo le brevi rivolte di piazza che portarono alla caduta del suo regime e dopo un processo sommario condotto da un tribunale speciale. Ceaușescu e la moglie ricevettero la condanna a morte, che fu eseguita da un plotone di esecuzione di tre soldati: il dittatore morì cantando l’Internazionale comunista, quattro giorni dopo il famoso discorso di piazza della Rivoluzione, in cui fu interrotto e contestato dalla folla in diretta televisiva. I corpi furono quindi trasportati a Bucarest per essere sepolti al cimitero di Ghencea, dove si trovano ancora oggi.
Sulla loro semplice tomba vengono quotidianamente portati fiori, dai nostalgici che ogni anno si ritrovano per una piccola cerimonia commemorativa il 26 gennaio, il compleanno di Ceaușescu. Nel 2010 furono riesumati per essere riconosciuti con il test del DNA, su richiesta del figlio: non fu possibile confermare l’identità della moglie Elena, ma venne accertato che il corpo di Ceaușescu era proprio il suo.
A man grimaces next to the grave of Romanian communist dictator #Nicolae_Ceausescu, decorated with his official portrait, as communism nostalgics gather to mark 100 years since he was born, in Bucharest, #Romania pic.twitter.com/ZTWWrutja8
— karamnama كرم نعمة (@karamnama2) January 26, 2018
Saddam Hussein: non si sa
Dopo essere stato catturato dalle forze americane in un tunnel in una fattoria alla periferia di Tikrit, il dittatore iracheno fu imprigionato e processato, ricevendo la condanna a morte per crimini contro l’umanità e venne impiccato il 30 dicembre 2006 in una base militare fuori Baghdad. La sua uccisione fu segnata da diverse controversie e da video clandestini che provocarono diffuse indignazioni. Il suo corpo fu infine sepolto ad Auja, il suo piccolo villaggio natale vicino a Tikrit, nel cimitero dove sono sepolti i suoi due figli. Inizialmente la tomba fu decorata trionfalmente con una grande bandiera irachena, e diventò una popolare meta di pellegrinaggio tanto che il presidente Nouri al Maliki dovette chiudere il cimitero al pubblico.
Nel 2015, lo Stato Islamico – che controllava la vicina città di Tikrit – annunciò che la tomba era stata distrutta nei combattimenti con il governo iracheno. I media internazionali riportarono però che alcuni gruppi sunniti locali – sunniti come il gruppo di potere di Hussein, una minoranza nell’Iraq sciita – avevano spostato in precedenza la salma, per proteggerla. Non si sa se andò effettivamente così, e se oggi il corpo di Hussein si trovi in qualche posto rimasto segreto, oppure se sia effettivamente andato distrutto nel bombardamento.
Ferdinand Marcos: cimitero degli eroi, Manila
Il leader filippino che guidò il paese tra il 1965 e il 1986 è sepolto al Libingan ng mga Bayani, il cimitero dei patrioti, dei presidenti e delle personalità illustri filippine: ma è lì soltanto da tre anni, e ci arrivò dopo lunghe polemiche e con un’operazione quasi segreta. Marcos era un eroe della resistenza filippina, e dopo essere stato eletto democraticamente inaugurò un’epoca di grandi riforme e sviluppo economico per le Filippine. Ma era un fervente anticomunista e il suo governo prese una deriva autoritaria all’inizio degli anni Settanta, quando dichiarò la legge marziale e cominciò a perseguitare gli oppositori politici comunisti e musulmani, abrogando la libertà di stampa e molte libertà civili. La sua figura è ancora oggi molto divisiva nelle Filippine, dove una parte consistente della popolazione ha un giudizio positivo sugli anni di Marcos e sullo sviluppo che portarono: oggi è però considerato dagli storici un vero dittatore, per via delle centinaia di omicidi politici e delle decine di migliaia di persone torturate e incarcerate sotto il suo regime.
Marcos morì nel 1989 alle Hawaii, dove era fuggito in esilio dopo aver perso il potere pochi anni prima: nei suoi ultimi giorni aveva incontrato l’allora vice presidente filippino promettendo il 90 per cento del suo patrimonio in cambio di una sepoltura al Libingan ng mga Bayani, che però gli fu negata. Fu quindi sepolto inizialmente in un mausoleo privato alle Hawaii, finché nel 1993 il suo corpo fu trasferito nelle Filippine per essere conservato in una cripta nella provincia di Ilocos Norte, una roccaforte della sua famiglia governata dai suoi figli. Fu anche costruito un grande monumento in suo onore, poi distrutto dagli oppositori politici. Iniziò quindi un lungo e animato dibattito nazionale sulla possibilità di seppellirlo al Libingan ng mga Bayani, che vide la popolazione dividersi e lo scatenarsi di grandi proteste. Rodrigo Duterte, il presidente filippino eletto nel giugno del 2016, si dichiarò subito favorevole, ricevendo estese accuse di revisionismo storico, finché la decisione arrivò fino alla Corte Suprema filippina che approvò la sepoltura. Prima che le opposizioni potessero fare ricorso, la famiglia di Marcos organizzò la cerimonia in gran fretta, celebrandola nel giro di pochi giorni con tanto di onori militari. I filippini lo vennero a sapere soltanto in seguito.
Augusto Pinochet: residenza personale a Santo Domingo, Cile
Il dittatore cileno responsabile del colpo di stato del 1973 e del regime che governò il paese nei 17 anni successivi, durante il quale furono uccisi centinaia di oppositori politici e ne furono torturati decine di migliaia, morì a 92 anni nel 2006. La sua salma fu esposta all’Accademia Militare di Las Condes, alla periferia di Santiago: in quei giorni ci furono grandi manifestazioni degli oppositori del regime, ma ai funerali parteciparono comunque decine migliaia di persone. Non furono però funerali di stato, negati dal governo della presidente socialista Michelle Bachelet, il cui padre fu imprigionato e torturato dalle forze di Pinochet.
Il corpo di Pinochet fu cremato al cimitero Parque del Mar di Concón, vicino a Valparaíso, la città costiera dove era nato e cresciuto, e le ceneri sono tuttora conservate in una residenza della sua famiglia a Santo Domingo, poche decine di chilometri più a sud. Non vennero tumulate in un cimitero pubblico per evitare atti di vandalismo, e l’esercito negò che le ceneri venissero conservate in un luogo militare.
Idi Amin: Jeddah, Arabia Saudita
Fu il più noto e violento dittatore africano, che governò in Uganda negli anni Settanta e che fu responsabile dell’uccisione di circa 300 mila ugandesi tra minoranze etniche e oppositori politici. Amin, personaggio leggendario per le sue uniformi militari e per la sua diplomazia spregiudicata, era noto per la sua mole imponente e per le molte leggende sul suo conto, prime fra tutti quella che avesse mangiato alcuni avversari politici. Fu deposto nel 1979 dopo l’invasione delle truppe della Tanzania, e fuggì prima in Libia, poi in Iraq e infine in Arabia Saudita. Visse i suoi ultimi vent’anni lì, in un esilio dorato passato nei migliori alberghi sauditi e stipendiato dalla famiglia reale. Nell’ultimo periodo di vita arrivò a pesare 170 chili, e morì nel 2003 di insufficienza renale. Fu sepolto nel cimitero Ruwais di Jeddah, dove si trova ancora oggi: da allora c’è stato anche qualche candidato a presidente che ha promesso di voler riportare le sue spoglie in Uganda.