Bruce Springsteen ha 70 anni

E queste sono le sue 18 migliori canzoni secondo il direttore del Post

(Jemal Countess/Getty Images)
(Jemal Countess/Getty Images)

Oggi compie 70 anni anni Bruce Springsteen: cantautore e chitarrista statunitense, noto anche per il soprannome The Boss, per la sua collaborazione con la E Street Band e per i suoi concerti, sempre molto lunghi e partecipati. Queste sono le sue migliori 18 canzoni secondo il peraltro direttore del Post Luca Sofri, che le aveva scelte per il suo libro Playlist, La musica è cambiata.

Bruce Springsteen
(1949, Freehold, New Jersey)
Il vero mito del rock americano, capace ancor più di Dylan di raccogliere a ogni giro una generazione nuova e nuovi fans, facendo sempre praticamente le stesse cose. Ma per quanto la lista delle sue canzoni leggendarie possa essere sterminata, non ne ha mai messa una al primo posto della classifica americana.

For you
(Greetings from Asbury Park, 1973)
“Baby I came for you, for you, I came for you…”

4th of July, Asbury Park
(The wild, the innocent and the E street shuffle, 1973)
The wild, the innocent and the E street shuffle è una grande raccolta di storie di strada, e di Asbury Park, “la mia città adottiva”, che aveva già dato il nome al suo primo disco, Greetings from Asbury Park. Tony Blair ha raccontato che “4th of July” (nota anche come “Sandy”) è una delle sue canzoni preferite, che la ascoltava quando corteggiava la sua futura moglie. Non so se ce lo vedo, sotto le sue finestre, che minaccia “love me tonight, ‘cause I may never see you again…”.

New York City serenade

(The wild, the innocent and the E street shuffle, 1973)
Sensazionale introduzione di pianoforte e un pezzone che parte languidissimo e poi diventa una specie di suite di dieci minuti.

Incident on 57th street
(The wild, the innocent and the E street shuffle, 1973)
“Goodnight, it’s alright Jane!”. La storia degli sbalestrati Johnny e Jane, nata maldestramente e che chissà se proseguirà, passeggia beatamente su un pianoforte straordinario.

Rosalita (come out tonight)
(The wild, the innocent and the E street shuffle, 1973)
“Rosie, come out tonight”, è un po’ il concetto di “fatti mandare dalla mamma”. La storia è quella, che bisogna riuscire a convincere Rosalita a uscire e mollare sua madre (“so che non le piaccio, perché suono in una rock’n’roll band”). Ma il contenuto è il meno, di fronte al numero da circo che è diventata la canzone negli anni, uno dei momenti (beh, momenti: una decina di minuti) più eccitanti dei concerti di Springsteen fino a metà degli anni Ottanta (poi lui decise di voltar pagina, salvo reintrodurla nella playlist molti anni dopo), in cui tutti i membri della band si scatenavano come matti: tutto documentato nei dischi dal vivo.

Born to run

(Born to run, 1975)
Fu la canzone della svolta, che lo portò per la prima volta in copertina su Time e Newsweek. A un certo punto ci fu una campagna per farla diventare l’inno ufficiale dello stato del New Jersey, malgrado il testo fosse dedicato al desiderio di fuggire, dal natìo New Jersey. Una delle cose più eccitanti di un concerto di Springsteen, capace di resistere dignitosamente anche a un’elaborazione dei Frankie Goes to Hollywood.

Thunder road

(Born to run, 1975)
«Forse Thunder road mi ha aiutato perché, malgrado il suo vigore, il volume, le macchine sportive e i capelli, ha pur sempre un tono elegiaco. Più invecchio, più lo sento. In fondo, credo di essere anch’io dell’idea che se la vita è una cosa triste e molto seria, c’è sempre un po’ di speranza; sarò pure un depresso in preda al dramma esistenziale, o magari un idiota contento, ma in ogni caso “Thunder road” dice esattamente come mi sento e chi sono, e questa in fin dei conti è una delle consolazioni dell’arte» (Nick Hornby, 31 canzoni, Guanda).

Jungleland

(Born to run, 1975)
“Down in Jun-gle-land!” Badabàaaaam!
Dieci minuti, e uno dei più grandi assolo di sassofono di Clarence Clemons (“the big man”), il personaggio più popolare della E Street Band di Springsteen.

Racing in the street
(Darkness on the edge of town, 1978)
Storia di passioni automobilistiche, di macchine truccate, di speranze di cambiar vita, con epico e sentimentale accompagnamento di pianoforte.
Il verso finale è una citazione di “Dancing in the streets” di Martha and the Vandellas.

The river
(The river, 1980)
Epico racconto autobiografico, che ancora manda i fans in delirio e commozione ai concerti, dove lui racconta ricordi di giovinezza e luoghi cari. “The river” fu suonata per la prima volta dal vivo al concerto antinucleare del 1979 da cui fu tratto il triplo disco No nukes. In Live 1975-1985 è preceduta da un lungo racconto di visite di leva e confronti col padre.

Hungry heart
(The river, 1980)
Con l’intenzione di darla ai Ramones, e ancora intorno allo stesso concetto – andarsene in cerca d’altro, ma stavolta con qualche delusione – Springsteen mise insieme la sua canzone più canticchiabile, il suo primo singolo nella Top Ten americana.

I’m on fire
(Born in the USA, 1984)
“Ehi, ragazzina, tuo papà è a casa,
o è uscito e ti ha lasciata da sola?”
 Born in the USA fu l’album del superbotto commerciale di Springsteen, che generò ben sette singoli 455 da classifica. Il più originale di 
tutti, questo teso racconto di tormento erotico con sbandata pedofila. “A volte è come se qualcuno
 baby prendesse un coltello affilato 
e mi aprisse un solco in mezzo all’anima.”

Bobby Jean
(Born in the USA, 1984)
Un’imbattibile storia di amicizia adolescenziale. Lei lascia la provincia in cerca di meglio, lui va a cercarla a casa come al solito e la madre gli dice che è partita, lei. Ma può essere anche un lui: i biografi ne parlano come dell’addio a Little Steven che lasciava la band, salvo tornarvi anni dopo.

Because the night
(Live 1975-1985, 1986)
Era tra le canzoni in ballo per Darkness on the edge of town, ma alla fine fu esclusa, e se la prese Patti Smith che stava registrando Easter nello studio accanto, rimettendoci le mani. Per questo risulta come scritta da entrambi. Dopo, Springsteen la suonò spesso in concerto seguendo l’arrangiamento di Patti Smith.

No surrender

(Live 1975-1985, 1986)
“Well, we made a promise, we swore we’d always remember: no retreat, baby, no surrender”. Canzone appassionata e grave sui patti di sangue tra vecchi musicisti – “imparavamo più da un disco di tre minuti che da anni di scuola” – fu l’inno della fallimentare campagna presidenziale di John Kerry. Dal vivo Springsteen di solito la fa più lenta e acustica, e migliora assai rispetto alla versione tirata di Born in the USA.

Streets of Philadelphia
(Philadelphia, 1993)
Canzone di apertura del film di Jonathan Demme, Philadelphia, vinse l’Oscar nel 1994, battendo Philadelphia di Neil Young, che era sui titoli di coda (bella gara: ma quella di Neil Young è più bella).

Reno
(Devils and dust, 2005)
Lento e serrato pezzo che fece un certo scandalo per i dettagli espliciti dell’incontro del narratore con una signorina che si vende: Starbucks decise di non vendere il disco nei suoi bar.

Pay me my money down

(We shall overcome, 2006)
Nel 2006 Bruce Springsteen incise un disco di canzoni di Pete Seeger, monumento della canzone folk americana. Alla lunga, un po’ noioso, ma alcuni pezzi reggono benone, come l’eccitata e casinara “Pay me my money down”.