In Francia si discute una riforma delle pensioni
Macron proporrà un sistema a punti che dovrebbe semplificare le cose e cancellare diverse agevolazioni, ma molte categorie di lavoratori non sono per nulla d'accordo
Nelle ultime settimane il dibattito politico francese si è concentrato sulla prossima riforma promessa dal presidente Emmanuel Macron, quella del sistema pensionistico. La nuova legge è stata anticipata a luglio ma sarà presentata soltanto in primavera: eppure il tema è talmente sentito che diverse categorie di lavoratori hanno già criticato il governo sulla base di quel poco che se ne sa: venerdì scorso a Parigi i dipendenti dell’azienda del trasporto pubblico hanno organizzato uno degli scioperi più partecipati degli ultimi anni, bloccando per ore la città; lunedì è stato il turno di avvocati, infermieri, medici e piloti di aereo, migliaia dei quali hanno manifestato in varie città della Francia.
Macron non è il primo presidente a voler riformare il sistema pensionistico, che in Francia diversi osservatori considerano eccessivamente confuso, inefficiente e ingiusto. Al momento esistono 42 regimi pensionistici – 10 dei quali disponibili soltanto ai dipendenti di SNCF, l’azienda ferroviaria statale – e decine di agevolazioni a vantaggio di alcune categorie.
Sulla carta l’età pensionabile è di 62 anni per tutti i lavoratori – frutto di una criticatissima riforma approvata dal governo di Nicolas Sarkozy nel 2010 – mentre la pensione piena si ottiene fra i 65 e i 67 anni. In realtà, per via di vecchi accordi sindacali ci sono alcune categorie iper-protette: i macchinisti delle ferrovie statali, per esempio, vanno in pensione a 50 anni, mentre i dipendenti della metro a 55. Ogni categoria poi ha il proprio fondo, che però viene gestito in maniera separata: Politico scrive che quello degli infermieri dispone di 3 miliardi di euro in eccesso, mentre quello dei dipendenti della Metro ha spesso avuto dei debiti. C’è inoltre una discreta disparità di genere: gli uomini in media vanno in pensione a 60 anni, mentre le donne che hanno avuto una carriera discontinua e cambiato diversi mestieri sono costrette a lavorare fino a 67 anni per ottenere un sussidio sufficiente.
In campagna elettorale Macron aveva promesso di non aumentare l’età pensionabile, ma secondo le prime informazioni sulla riforma, il limite dovrebbe rimanere solo sulla carta. Jean-Paul Delevoye, un esperto funzionario a cui Macron ha delegato il compito di elaborare la riforma, ha fatto sapere che gli incentivi per lavorare più a lungo e le penalità per chi desidera andare in pensione in anticipo ruoteranno intorno ai 64 anni: chi vorrà andare in pensione a 63 anni, scrive BBC News, riceverà ad esempio il 5 per cento in meno della quota che gli spetta. Macron ha anticipato che la riforma che ha in mente prevede un unico regime e un sistema a punti, che rispetto a quello attuale dovrebbe funzionare meglio per le persone che cambiano più lavori e dovrebbe eliminare i privilegi acquisiti nel tempo da certe categorie.
È ancora presto per capire esattamente chi ci guadagnerà e chi ci perderà, ma è chiaro che in un quadro di armonizzazione gli scontenti potrebbero essere parecchi: soprattutto fra i lavoratori statali, che spesso sono anche i più sindacalizzati. Politico aggiunge che la riforma non dovrebbe entrare pienamente in vigore prima di sei anni, e che nessun beneficio sarà realmente percepito prima delle elezioni presidenziali del 2022. La riforma è già parecchio impopolare: un sondaggio dell’istituto Ifop citato da Reuters stima che due terzi degli intervistati non abbia fiducia della riforma di Macron.
Non è chiaro perché Macron abbia deciso di proporre una riforma del genere, che secondo alcuni osservatori rischia di generare proteste simili nei toni e nelle persone coinvolte a quelle dei gilet gialli, innescate da un aumento delle tasse sul carburante. In realtà dal punto di vista strategico la scelta non è insensata: Macron è circa a metà del suo mandato, il suo tasso di popolarità sta tornando a buoni livelli e l’assenza di elezioni nei prossimi due anni gli permette di avere un certo margine per proporre riforme ambiziose.
In un articolo recente, tuttavia, l’Economist ha definito «deludente» la riforma e ne ha auspicato una versione ancora più radicale. Il magazine, che storicamente spinge per ridurre i soldi che i paesi europei spendono per le pensioni, ha ricordato che la Francia spende ancora moltissimo per le pensioni – il 14 per cento del PIL, due punti in meno dell’Italia ma 6 punti in più della media dei paesi dell’OCSE – e che in media i pensionati francesi ricevono il 61 per cento del loro stipendio finale, una cifra paragonabile a quella percepita in Italia ma molto rara altrove. E più in generale, Delevoye ha spiegato che la riforma non ridurrà i soldi che lo stato spende per le pensioni. «È vero che una volta che il sistema sarà in piedi sarà più facile per i futuri governi cambiare le regole, se non dal punto di vista politico almeno da quello amministrativo. Ma nel frattempo Macron sta spendendo molte energie per una riforma che lascerà comunque il lavoro a metà», sostiene l’Economist.