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  • Mercoledì 18 settembre 2019

In Spagna si voterà di nuovo

Le seconde elezioni in sette mesi e le quarte in quattro anni, un caso senza precedenti in Europa, dopo che la sinistra non ha trovato un accordo

Pedro Sánchez (AP Photo/Manu Fernandez)
Pedro Sánchez (AP Photo/Manu Fernandez)

In Spagna il prossimo 10 novembre ci saranno nuove elezioni politiche, le seconde negli ultimi sette mesi e le quarte negli ultimi quattro anni, un caso senza precedenti in Europa. Le elezioni verranno convocate ufficialmente lunedì 23 ottobre, ma il Re ha già confermato la mancanza di un candidato a cui provare ad affidare l’incarico per formare un nuovo governo e il primo ministro uscente, il Socialista Pedro Sánchez, ha annunciato il ritorno al voto. Il quotidiano spagnolo País, commentando le ultime vicende politiche, ha parlato di «ciclo elettorale permanente in cui vive la Spagna dal 2015» e del «fallimento di un’intera generazione di politici».

I negoziati per la formazione di un nuovo governo erano iniziati settimane dopo le ultime elezioni, tenute il 28 aprile e convocate dopo la caduta del governo Sánchez, a sua volta entrato in carica dopo una mozione di sfiducia approvata dalle opposizioni contro il governo conservatore guidato da Mariano Rajoy. Dal voto di aprile era uscito vincitore il Partito Socialista (PSOE), senza però i seggi sufficienti per formare un governo da solo. Sánchez, leader dei Socialisti, aveva così incaricato un gruppo di negoziatori di incontrare una delegazione di Unidas Podemos, coalizione di sinistra guidata da Podemos, il cui leader è Pablo Iglesias. Fin da subito i colloqui tra le due parti si erano dimostrati complicati e frenati da una profonda diffidenza reciproca.

A luglio Sánchez aveva perso due voti di fiducia in Parlamento, a causa del mancato accordo con Unidas Podemos: le due forze politiche non erano riuscite a trovare un’intesa sul numero e il tipo di ministri che il PSOE avrebbe dovuto lasciare a Unidas Podemos. Nelle settimane successive le due delegazioni di negoziatori erano tornate a incontrarsi, secondo diversi giornalisti politici spagnoli senza però grande convinzione. L’ostacolo maggiore a un accordo continuava a essere il tipo di presenza e coinvolgimento che avrebbe dovuto avere Unidas Podemos nel nuovo governo: il PSOE si opponeva a qualsiasi formula di coalizione, perché sosteneva che si sarebbero creati «due governi in uno», mentre Unidas Podemos rivendicava un ruolo molto maggiore di quello che avrebbe voluto affidarle Sánchez.

Negli ultimi giorni ci sono stati due tentativi in extremis di non andare di nuovo alle elezioni, uno di Unidas Podemos e uno di Ciudadanos, partito di centrodestra guidato da Albert Rivera.

In una rara conversazione telefonica diretta tra Sánchez e Iglesias, Unidas Podemos ha offerto al PSOE una “coalición a prueba“, una coalizione di governo delle due forze politiche fino all’approvazione della legge di bilancio del 2020, con la possibilità poi data ai Socialisti di rompere l’alleanza nel caso non avesse funzionato, o di allontanare i ministri di Unidas Podemos dal governo senza che la stessa Unidas Podemos togliesse l’appoggio parlamentare al PSOE. L’offerta è stata rifiutata da Sánchez. Il secondo tentativo di evitare nuove elezioni è stato fatto all’ultimo momento da Rivera, che fino a pochi giorni fa diceva che con Sánchez non avrebbe mai fatto alcun patto. Rivera, timoroso di andare al voto per il calo di consensi rilevato dagli ultimi sondaggi, ha detto a Sánchez che gli avrebbe garantito l’astensione durante la fiducia nel caso in cui i Socialisti avessero accettato di compiere alcune azioni contro l’indipendentismo basco e catalano. Sánchez, di nuovo, ha rifiutato.

Dopo l’annuncio del Re sul fallimento delle ultime consultazioni, i principali leader politici hanno cominciato ad attaccarsi l’un l’altro, in pieno clima da campagna elettorale. Sánchez ha accusato Rivera di «irresponsabilità», Iglesias di «dogmatismo» e Pablo Casado, leader del Partito Popolare (principale partito di destra spagnolo), di «mancanza di senso dello Stato». Casado ha sostenuto che Sánchez avesse «tradito tutti», «dalla destra alla sinistra», mentre Iglesias ha accusato Sánchez di non avere mai voluto negoziare per davvero un accordo di governo e di avere sempre voluto andare a nuove elezioni per provare ad aumentare il numero di seggi del suo partito.

All’interno del PSOE, ha scritto il País, molti dirigenti si sono mostrati molto più ostili di Sánchez di fronte all’ipotesi di un nuovo voto. Alle elezioni di aprile, infatti, il PSOE ottenne un numero di seggi (123) leggermente sotto le aspettative, nonostante l’affluenza molto alta e la paura degli elettori di sinistra e di centro per una eventuale ascesa di Vox, partito di estrema destra anti-immigrazione e anti-femminista. Oggi la situazione è diversa. Vox fa molta meno paura, anche per essere uscito ridimensionato dalle ultime elezioni, e molti elettori del PSOE scontenti delle negoziazioni fallite potrebbero rinunciare a tornare ai seggi.

Al di là delle preoccupazioni interne, per il momento i sondaggi sembrano essere di nuovo favorevoli al PSOE. Secondo i dati elaborati dall’esperto di sondaggi Kiko Llaneras, giornalista del País, oggi il PSOE otterrebbe il 31,9 per cento dei voti (3,2 punti percentuali in più rispetto ad aprile), il Partito Popolare il 19,5 (+2,8 per cento), Unidas Podemos il 13,5 (+1,5 per cento), Ciudadanos il 13 (-2,9 per cento) e Vox l’8,4 (-1,8 per cento). Trasformati i voti in seggi, il Parlamento spagnolo sarebbe però molto simile all’attuale, con gli stessi problemi. Per avere la maggioranza il PSOE dovrebbe trovare un accordo con Unidas Podemos (insieme probabilmente a forze nazionaliste di sinistra) oppure con Ciudadanos, mentre le destre non avrebbero di nuovo i numeri per governare.