Chi ha attaccato gli stabilimenti petroliferi dell’Arabia Saudita?
C'è una rivendicazione dei ribelli houthi e gli Stati Uniti accusano l'Iran, ma per ora non ci sono versioni convincenti
Sabato scorso l’Arabia Saudita ha subìto un durissimo attacco in due importanti stabilimenti petroliferi di Aramco, l’azienda statale saudita di idrocarburi. Gli attacchi, definiti dal Wall Street Journal come «un colpo che probabilmente nessun fornitore globale di petrolio ha subìto dai tempi della prima guerra del Golfo», hanno ridotto sensibilmente la capacità produttiva petrolifera saudita (si parla di un blocco della produzione di 5,7 milioni di barili di greggio al giorno) e hanno provocato un aumento immediato del prezzo del petrolio. Finora non c’è però alcuna certezza su chi sia il responsabile.
L’attacco è stato rivendicato dai ribelli houthi, gruppo yemenita che dal 2015 sta combattendo in Yemen una feroce guerra civile contro uno schieramento appoggiato tra gli altri dall’Arabia Saudita. Diversi esperti hanno però messo in dubbio la versione degli houthi, perché l’operazione è sembrata troppo sofisticata per le loro capacità e le armi a loro disposizione. Il governo statunitense, invece, ha accusato l’Iran, presentando prove parziali, almeno per il momento. L’Iran ha negato qualsiasi coinvolgimento, mentre l’Arabia Saudita ha adottato un atteggiamento prudente, forse prendendo tempo per capire cosa sia successo.
Il New York Times ha provato a fare un po’ di chiarezza, analizzando le foto satellitari degli stabilimenti colpiti diffuse dal governo statunitense e incrociandole con altro materiale disponibile: non è arrivato a conclusioni definitive, ma ha fatto il punto su tre questioni centrali su cui si è molto dibattuto negli ultimi giorni.
1. Gli houthi non hanno le capacità per compiere un attacco così complesso
Secondo diversi analisti militari che studiano la guerra in Yemen e che conoscono bene le armi usate nel conflitto, i ribelli houthi non avrebbero le capacità per compiere un attacco così complesso.
Negli ultimi anni gli houthi hanno colpito più volte obiettivi sauditi usando soprattutto droni di tipo Samad 3, piccoli, economici e piuttosto lenti, difficilmente in grado di penetrare le difese antiaeree saudite e realizzare un attacco così preciso ed efficace come quello che si è visto sabato. Di recente, gli houthi hanno usato anche un drone più avanzato, il Quds 1, simile a un missile da crociera ma non in grado di fare un tragitto così lungo che parta dal confine settentrionale dello Yemen e arrivi agli stabilimenti di Khurais e Abqaiq, nell’Arabia Saudita centro orientale.
Da quanto si è visto finora, quindi, i ribelli houthi non sembrano avere le armi necessarie per realizzare un attacco come quello di sabato, anche se una tale ipotesi non si può escludere del tutto. Negli ultimi anni, infatti, le loro capacità militari sono aumentate in maniera significativa grazie all’aiuto delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, la potente forza militare iraniana presente in molte crisi del Medio Oriente e responsabile degli attacchi degli ultimi mesi contro le petroliere straniere nel Golfo Persico.
2. Non è chiaro da dove siano partiti gli attacchi
Il governo statunitense ha sostenuto di avere analizzato alcune immagini satellitari degli obiettivi colpiti e ha concluso che gli attacchi sono partiti «da nord o nordovest», cioè dall’Iraq o dall’Iran (lo Yemen si trova a sud dell’Arabia Saudita).
Il governo di Donald Trump ha poi accusato direttamente l’Iran, il quale ha negato qualsiasi coinvolgimento. Dalle immagini diffuse dagli Stati Uniti, si vedono alcune strutture dello stabilimento di Abqaiq danneggiate sul lato occidentale, quindi apparentemente non compatibili con un attacco proveniente da nord o nordovest. Gli stessi funzionari sauditi che si stanno occupando della vicenda hanno detto che gli Stati Uniti non hanno portato abbastanza prove per concludere che gli attacchi siano stati lanciati dall’Iran, ha scritto il Wall Street Journal. Il governo americano ha specificato che nei prossimi giorni condividerà con i sauditi nuove informazioni.
Anche in questo caso, comunque, non ci sono certezze. Analisti esperti di sicurezza citati dal New York Times hanno specificato come i missili da crociera – forse usati negli attacchi – possano essere programmati per cambiare direzione e colpire la superficie opposta da quella che si trova sulla linea di lancio.
3. Nell’attacco potrebbero essere stati usati missili guidati
Domenica il governo statunitense ha detto che l’attacco era stato compiuto usando una combinazione di droni e missili da crociera guidati, ma non ha mostrato prove a sostegno delle sue affermazioni. Le foto satellitari non chiariscono i dubbi, anche se l’ipotesi dei missili guidati sembra essere quella più accreditata tra esperti e analisti.
Negli ultimi due giorni sui social media sauditi è circolata molto un’immagine che mostra un pezzo di missile in mezzo al deserto: il New York Times non è stato in grado di confermare dove e quando sia stata scattata la foto, anche se ha scritto che l’immagine sembra recente. Il pezzo di missile sembra compatibile con un Quds 1, ha scritto Fabian Hinz, ricercatore al James Martin Center for Nonproliferation Studies (California). Se venisse confermato il legame del missile con gli attacchi di sabato, l’ipotesi che l’operazione sia partita dallo Yemen perderebbe credibilità, perché il Quds 1 non è in grado di compiere l’intero tragitto che divide il nord dello Yemen dagli stabilimenti petroliferi colpiti.
Open source pictures surfacing regarding the alleged 10- drone-swarm attack. Here, it’s a cruise missile, I believe. DEVELOPING. #SaudiArabia #Yemen #Houthis pic.twitter.com/C8boITiTJF
— Khalil R. Dewan (@KhalilDewan) September 14, 2019
Per il momento, quindi, non ci sono certezze su quanto successo. Si potrà sapere qualcosa di più nei prossimi giorni, quando verranno analizzati i resti delle armi usate negli attacchi.