Colin Kaepernick è ancora senza squadra
Nessuno vuole il quarterback che protestò inginocchiandosi durante l'inno statunitense, ma almeno la sua iniziativa potrebbe aver cambiato qualcosa nel football americano
Con quasi 9 miliardi di profitti stimati nel 2019, ventisei squadre fra le cinquanta più ricche al mondo, compresa la prima, la National Football League è il campionato più ricco e popolare degli Stati Uniti. Le enormi dimensioni della lega, la stessa che organizza annualmente il Super Bowl – l’evento sportivo più redditizio al mondo – la espongono inevitabilmente a inconvenienti e vicende che spesso, proprio per la sua rilevanza nel paese, finiscono per creare dei casi nazionali.
A pochi giorni dall’inizio dell’ultima stagione, per esempio, Andrew Luck, apprezzato quarterback degli Indianapolis Colts, spiazzò tutti ritirandosi definitivamente a soli 29 anni per i tanti infortuni subiti in carriera. Per Indianapolis il ritiro di Luck fu un grosso problema, dato che si ritrovò all’improvviso senza il quarterback titolare. La squadra rimediò a questa emergenza ingaggiando in extremis un giocatore senza contratto, ma non scelse il più forte e famoso fra quelli disponibili, Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco 49ers con cinque anni di esperienza e un Super Bowl disputato da protagonista nel 2013.
Reso famoso in tutto il mondo per le sue proteste contro le discriminazioni dei neri, Kaepernick è senza contratto e non gioca una partita da oltre tre anni.
Kaepernick è ancora ritenuto uno dei giocatori senza contratto più forti nel suo ruolo, ma non viene più ingaggiato perché è inviso alla lega, ai proprietari delle squadre e probabilmente alla maggior parte dei tifosi: è stato di fatto estromesso dal football, probabilmente per sempre, pur non avendo infranto nessuna regola, per via della sua ormai famosa protesta contro le discriminazioni e le violenze della polizia nei confronti degli afroamericani e delle minoranze etniche negli Stati Uniti, iniziata nel 2016 quando rimase seduto a bordo campo durante l’inno nazionale.
L’esecuzione dell’inno statunitense è un momento solenne per il football americano: viene ripetuto prima di ogni incontro e vissuto con grande partecipazione sia dal pubblico che dalle squadre. Il 14 agosto del 2016 Kaepernick restò in panchina a bordo campo durante l’inno prima di una partita della preseason estiva. Lo fece anche quattro giorni dopo, ma il suo gesto passò ancora inosservato, probabilmente per l’importanza marginale della preseason.
Si iniziò a parlare di lui circa una settimana dopo, quando venne visto seduto in panchina in una delle ultime partite estive. Qualche ora dopo, nelle interviste in spogliatoio, parlò per la prima volta alla stampa, alla quale disse: «Non starò in piedi per dimostrare il mio orgoglio per la bandiera di un paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte. Ci sono cadaveri per le strade, e persone che la fanno franca».
Con la famosa intervista negli spogliatoi si aprì ufficialmente uno dei casi più discussi nella storia dello sport nordamericano. La protesta di Kaepernick, che iniziò a inginocchiarsi regolarmente in tutte le partite di campionato, venne sostenuta da tanti professionisti afroamericani, ma osteggiata dalle basi popolari del tifo e dalle proprietà delle squadre. Jeremy Lane dei Seattle Seahawks fu il primo avversario di Kaepernick a restare seduto durante l’inno nel primo fine settimana di campionato. Dopo di lui furono Megan Rapinoe, della nazionale femminile di calcio, e Marshawn Lynch, vincitore del Super Bowl con i Seahawks, a dichiarare il loro sostegno.
Nello stesso anno, tuttavia, Kaepernick ricevette anche molte critiche, anche da chi inizialmente lo aveva sostenuto, quando disse di non aver votato alle elezioni presidenziali. Spiegò di non sentirsi rappresentato dal “sistema” in cui era chiamato a votare e di non intravedere nel voto una risposta all’oppressione delle minoranze. Chi lo criticò – compreso il popolare commentatore televisivo afroamericano Stephen A. Smith – disse che Kaepernick aveva denigrato l’unico vero strumento a disposizione della sua causa. L’astensione dal voto contribuì a far calare il sostegno nei suoi confronti e avviò la sua iniziativa verso il declino.
Al termine della prima stagione di proteste il suo contratto con i 49ers terminò. Da allora nessuna squadra di NFL lo ha più ingaggiato, per antipatia nei confronti delle sue posizioni e per il fatto che sia ritenuto un personaggio scomodo e fonte di distrazione per quello che attira. Anche chi non lo ha mai criticato non vuole correre il rischio di ingaggiarlo, perché la NFL è un campionato estremamente competitivo e muove ogni anno decine di miliardi di dollari: un ambiente del genere esercita pressioni fortissime su tutti quelli che ne fanno parte, e tutti hanno molto da perdere.
Decine di altri famosi sportivi americani sostennero l’iniziativa di Kaepernick, e alcuni di loro subirono a loro volta delle ripercussioni. Eric Reid, per esempio, fu il primo compagno di squadra a inginocchiarsi con lui nei San Francisco 49ers. È tuttora uno dei più grandi esponenti della causa e il suo contratto non venne rinnovato al termine della seconda stagione di proteste. Reid venne inizialmente emarginato dal campionato e trovò una nuova squadra soltanto a stagione iniziata, quando i Carolina Panthers dovettero sostituire alla svelta un titolare infortunato.
L’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sostenne l’iniziativa di Kaepernick con discorsi equilibrati in cui citò l’effettivo problema della violenza nei confronti di afroamericani e minoranze, ricordando però anche il valore che l’inno statunitense ha per molte persone. L’attuale presidente, Donald Trump, alimentò invece le polemiche attaccando duramente tutti i professionisti che avevano deciso di inginocchiarsi durante l’inno. Riferendosi a uno di loro, simbolicamente, disse: «Portate quel figlio di puttana fuori dal campo. Fuori, è licenziato». Le sue parole riportarono la questione al centro della discussione e crearono l’ultima grande presa di posizione.
Nella primavera del 2018, in vista della nuova stagione, la lega stabilì che le squadre sarebbero state multate se i loro giocatori si fossero inginocchiati in campo durante l’esecuzione dell’inno. La NFL aggiunse che ciascun giocatore sarebbe stato libero di non presenziare, a patto di non stare in campo, per una questione di rispetto nei confronti dell’identità nazionale.
Nei primi mesi del 2019 l’esclusione di Kaepernick dalla lega sembrò infine definitiva quando il giocatore intentò causa alla NFL per averlo isolato, estromettendolo dal campionato in accordo con le squadre: ottenne un risarcimento compreso tra i 60 e gli 80 milioni di dollari, e con lui lo ottenne anche Eric Reid, suo compagno di protesta a San Francisco.
A novembre Kaepernick compirà 32 anni. Da oltre 1000 giorni continua ad allenarsi a pieno regime, sperando ancora nel ritorno in NFL. La sua stagione migliore, tuttavia, si allontana sempre di più: fu quella del 2013, quando anche grazie al suo contributo determinante i 49ers arrivarono al Super Bowl di New Orleans, poi perso contro i Baltimore Ravens. Successivamente Kaepernick non raggiunse più quei livelli, ma continuò a essere considerato un ottimo quarterback. Ora ha superato i trent’anni e non è più un ragazzo: difficilmente potrà riprendersi da un altro anno di inattività.
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Nel frattempo però è diventato uno dei testimonial principali di Nike. Secondo le rilevazioni condotte nelle settimane successive al lancio della campagna pubblicitaria “Just Do It”, di cui fu protagonista un anno fa, le vendite online di Nike aumentarono del 31 per cento nei primi giorni, rispetto al 17 per cento registrato per la campagna pubblicitaria dell’anno precedente.
L’esposizione guadagnata con Nike non è servita a rilanciarlo nel football, ma a distanza di anni la sua iniziativa potrebbe aver favorito qualcosa di buono, almeno nel mondo della NFL. Lo scorso agosto, infatti, il rapper e produttore newyorchese Jay-Z è diventato partner ufficiale della lega. Con la sua società, la Roc Nation, curerà tutti gli eventi musicali del campionato, compreso il Super Bowl di febbraio, e si occuperà inoltre delle iniziative riguardanti l’uguaglianza sociale promosse da Inspire Change, il ramo benefico della NFL. La collaborazione è iniziata ufficialmente a Chicago in occasione della prima partita di campionato tra Bears e Packers.
Jay-Z è uno degli artisti più impegnati nella lotta alla discriminazione degli afroamericani. Dopo aver criticato di frequente le posizioni della lega, anche in merito al caso Kaepernick, ed essersi rifiutato di apparire in un Super Bowl, ha definito l’accordo come il risultato dell’attenzione spostata sul tema dalla protesta di Kaepernick. Ha aggiunto però che è arrivato il momento di portare l’iniziativa al livello successivo, facendo qualcosa di concreto. A Kaepernick e a molti dei suoi sostenitori, tuttavia, le dichiarazioni di Jay-Z non sono piaciute per come è sembrato liquidare anni di proteste e sacrifici.
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