La legge australiana per censurare i contenuti violenti online
È stata approvata dopo l'attentato di Christchurch, ma la sua efficacia viene messa in dubbio da diversi esperti
Lo scorso aprile, dopo la diffusione online del video dell’attentato di Christchurch – compiuto a marzo in due moschee della Nuova Zelanda dal suprematista bianco australiano Brenton Tarrant – il parlamento dell’Australia aveva approvato una legge che prevede l’obbligo per siti e piattaforme online di rimuovere in modo tempestivo contenuti particolarmente violenti, e che prevede multe fino al 10 per cento del fatturato e misure detentive per i gestori. La legge è stata applicata per la prima volta nei giorni scorsi per chiedere a cinque siti di eliminare materiali relativi ad attentati terroristici: tre siti su cinque hanno obbedito e rimosso il materiale contestato.
A fine agosto, parlando durante il G7 di Biarritz, il primo ministro australiano Scott Morrison aveva confermato che il suo governo stava proseguendo su questa strada anche per identificare e bloccare non solo singoli contenuti, ma interi siti che ospitano video particolarmente violenti. «Stiamo facendo tutto il possibile per negare ai terroristi l’opportunità di glorificare i loro crimini», aveva dichiarato Scott Morrison. Il New York Times si chiede però se la strategia scelta sia sufficientemente efficace e ne individua alcuni limiti (evidenziati dal fatto, per esempio, che immagini e altre versioni video dell’attacco di Christchurch sono ancora oggi facilmente reperibili su decine di siti e su alcune delle principali piattaforme di Internet).
Nonostante le sanzioni siano severe, l’approccio della nuova legge resta in gran parte passivo e reattivo: si basa cioè sui reclami degli utenti. Un modello migliore, sostengono alcuni, si sta sviluppando in Francia, dove l’obiettivo è forzare i servizi Internet a progettare sistemi di riduzione del rischio, lasciando ai revisori il compito di assicurarsi che quei sistemi funzionino. Un po’ come avviene con i regolatori bancari: controllano che le banche abbiano implementato sistemi efficienti e controllano quegli stessi sistemi.
Una seconda criticità ha a che fare con le risorse messe a disposizione. Il lavoro dei funzionari governativi australiani viene svolto in collaborazione con il dipartimento di sicurezza online (“eSafety”). Prima che passasse la nuova legge, la commissione aveva gestito reclami relativi al cyberbullismo o allo sfruttamento sessuale dei minori. Ora il mandato della commissione si è espanso, ma non la sua capacità. Ha solo 50 dipendenti a tempo pieno e un budget da 17 milioni di dollari australiani per l’anno fiscale corrente, equivalente di circa 8 milioni di euro. Il governo ha detto che prenderà in considerazione l’aumento delle risorse, ma al momento il gruppo che applica la nuova legge è composto da soli sette investigatori.
Diversi esperti affermano infine che la legge non sia sufficientemente trasparente, cosa che invece deve necessariamente accompagnare qualsiasi sforzo per regolare la cosiddetta libertà di espressione online, dice chi se ne occupa. Alcuni pensano dunque che il governo abbia voluto soprattutto inviare un messaggio alle società di Internet e agli utenti: «Il punto non era tanto come la legge avrebbe funzionato nella pratica. Non ci hanno pensato fino in fondo», ha detto Evelyn Douek, docente alla Harvard Law School. I termini che utilizza la legge sono piuttosto vaghi nel definire i suoi aspetti principali: l’individuazione dei soggetti interessati (definiti genericamente “aziende”), e i tempi (si parla di rimozione “tempestiva”). Non esiste poi un elenco pubblico dei siti che sono stati bloccati né la spiegazione o una descrizione di ciò che è stato rimosso ai sensi della nuova normativa.
In generale c’è poi un problema legato ai contenuti di cui la legge si occupa: mentre sullo sfruttamento minorile c’è consenso nello stabilire ciò che è lecito e cosa no, in altri campi potrebbe essere più sfumato. La legge, secondo alcuni, creerebbe insomma i presupposti per una censura preventiva su materiale satirico oppure oggetto di notizie di attualità.
Delle circa 30 denunce che gli investigatori della eSafety hanno ricevuto finora legate a crimini violenti, terrorismo o torture, solamente cinque hanno portato a interventi contro proprietari e gestori dei siti in questione, messi in atto nei giorni scorsi. Due delle cinque riguardavano l’uccisione di due turiste nordeuropee in Marocco, una le immagini dell’omicidio di Bianca Devins e le altre il video dell’attentato di Christchurch. Le segnalazioni hanno portato al blocco di un solo sito: altri due hanno rimosso il contenuto segnalato mentre altri due non hanno ancora risposto.