La storia di Hajar Raissouni
Una giornalista marocchina è stata arrestata con l'accusa di aver abortito e di aver fatto sesso fuori dal matrimonio, in un caso ricco di implicazioni politiche
Hajar Raissouni è una giornalista marocchina di 28 anni che è stata arrestata lo scorso 31 agosto con l’accusa di aver abortito e di aver fatto sesso al di fuori del matrimonio. Rischia fino a due anni di carcere. Il suo caso sembra essere però più complicato di altri simili del passato: per molti esponenti conservatori, l’arresto di Raissouni è motivato politicamente e ha a che fare con la sua vicinanza agli ambienti islamisti più conservatori che si oppongono alla volontà di ammodernamento del paese del re Mohammed VI, anche dal punto di vista delle libertà individuali. La storia di Raissouni è stata raccontata dai giornali internazionali e ha mobilitato, per diversi motivi, islamisti, associazioni per i diritti umani e movimenti femministi, portando al centro del dibattito temi come la violenza istituzionale contro le donne e il diritto alla privacy, dopo che i dettagli clinici della donna sono stati divulgati dai giornali.
Il codice penale del Marocco consente di interrompere la gravidanza solamente quando la vita della donna è in pericolo. In tutti gli altri casi punisce l’aborto con il carcere da sei mesi a due anni, e chiunque lo abbia provocato con cinque anni di carcere. Sono perseguiti penalmente anche l’adulterio e l’omosessualità. Nel 2018, dicono i dati ufficiali, in Marocco sono state accusate 14.503 persone per dissolutezza, 3.048 per adulterio, 170 per omosessualità e 73 per aborto clandestino. Secondo le associazioni femministe, ogni giorno nel paese vengono praticati tra i 600 e gli 800 aborti clandestini.
Hajar Raissouni – che lavora per il quotidiano in lingua araba Akhbar Al-Yaoum – è accusata di aver abortito illegalmente e di “dissolutezza”, cioè di aver fatto sesso fuori dal matrimonio. Era stata arrestata lo scorso 31 agosto all’uscita di un ambulatorio medico di Rabat. La donna sostiene di essere stata curata per una emorragia interna e si trova tuttora in carcere, in attesa di processo. Lunedì 9 settembre la sua richiesta di libertà vigilata è stata respinta e l’udienza rimandata al prossimo 16 settembre. Con lei sono stati arrestati il compagno, il medico che l’ha curata, un’infermiera e la segretaria dello studio medico. La giornalista nel frattempo ha deciso di denunciare la polizia per tortura a seguito di una «ispezione medica subita per forzarla a confessare azioni che non ha commesso», hanno dichiarato i suoi avvocati. I difensori del medico coinvolto si sono a loro volta appellati all’obbligo di prestare soccorso: «Abbiamo tutti gli elementi medici e scientifici che dimostrano che Hajar Raissouni fosse incinta, ma che il feto fosse già morto quando lei è arrivata nella clinica. Non si tratta dunque di aborto, ma di un’operazione di salvataggio a seguito di un’emorragia interna».
Hajar Raissouni, hanno fatto sapere i suoi familiari, ritiene che tutte le accuse nei suoi confronti siano state inventate e che il suo arresto sia un «affare politico» legato ad alcuni suoi recenti articoli sui detenuti del movimento islamista per la giustizia sociale Hirak-El Rif, attivo da un paio di anni nella regione settentrionale del Rif. Tramite una lettera pubblicata dal suo giornale, la donna ha poi spiegato di essere stata interrogata sull’attività dello zio, Ahmed Raissouni, un ideologo islamista ultraconservatore, presidente di due associazioni religiose radicali che si oppongono all’aborto e al sesso extraconiugale. Mercoledì il procuratore di Rabat ha assicurato che l’arresto di Hajar Raissouni «non ha nulla a che fare con la sua professione di giornalista», e durante la conferenza stampa ha elencato una serie di prove mediche che confermerebbero la gravidanza e l’aborto.
In Marocco, scrive il quotidiano francese Libération, alcuni giornalisti noti per le loro posizioni critiche verso il governo e la volontà di ammodernamento del paese in materia di libertà individuali sono già stati perseguiti e condannati proprio sulla base di quelle leggi coercitive che non vorrebbero modificare, e che sarebbero dunque utilizzate a fini di vendetta politica. In un editoriale sul sito marocchino Yabiladi si dice che «al posto di un’azione giudiziaria immediata per i loro articoli, i giornalisti vengono attaccati molto tempo dopo attraverso gli articoli del codice penale». Negli ultimi anni diversi esponenti islamisti sono poi stati presi di mira sulla base di fatti “privati”, per le contraddizioni tra i loro discorsi e le loro azioni, per esempio aver fatto sesso fuori dal matrimonio. Il direttore del giornale per cui lavora Hajar Raissouni è stato recentemente condannato a 12 anni di carcere per stupro e traffico di esseri umani, accuse che lui ha sempre negato.
In questo contesto complicato, il caso di Hajar Raissouni ha raccolto una solidarietà che va al di là del suo posizionamento politico. Che la donna abbia avuto o no un aborto, molte persone, associazioni e movimenti si sono attivati per difendere il suo diritto alla privacy, per denunciare la pubblicazione della sua cartella clinica e per la libertà delle donne di decidere del loro corpo.
L’Associazione marocchina per i diritti umani (AMDH), Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto l’immediata liberazione della donna per violazione delle libertà personali. Centocinquanta giornalisti hanno poi firmato una petizione di protesta disertando, in segno di solidarietà, la conferenza stampa settimanale del portavoce del governo. Nella petizione si dice che «le questioni che hanno a che fare con la parità uomo-donna, con le libertà individuali e ovviamente con il diritto delle donne di gestire liberamente i loro corpi, non sono più solamente la lotta di una parte dei marocchini: sono la nostra lotta».
I movimenti femministi hanno infine denunciato non solo l’arresto di Raissouni, ma anche la «violenza sessista» degli esami ginecologici che la giovane donna ha dovuto subire: «I medici hanno il dovere di non rendersi complici, rifiutando questo tipo di pratica che arriva da un’altra epoca. E hanno il potere di porvi fine». Ibtissam Lachgar, militante femminista del Movimento alternativo per le libertà individuali (MALI), ha definito le ispezioni ginecologiche a cui è stata sottoposta Raissouni «uno stupro, oltre che una tortura». Per molte donne, il suo caso potrebbe poi «aprire la strada a una discussione sulla depenalizzazione dell’aborto». Il progetto di legge che la prevede è bloccato da anni al parlamento.