Si riparla di coltivazioni verticali
Ne ha scritto di recente l'Economist, ma non è ancora chiaro se questo modo di fare agricoltura sia veramente sostenibile oppure no
Il progresso tecnologico nell’agricoltura è uno dei fattori che hanno inciso di più nel miglioramento della qualità della vita degli esseri umani. Fino a un secolo fa il settore agricolo era quello che impiegava il maggior numero di lavoratori, mentre a partire dalla seconda metà del Novecento, con l’introduzione delle macchine, questi sono drasticamente diminuiti. Allo stesso tempo la resa dei terreni agricoli è aumentata, le condizioni di vita sono migliorate un po’ dappertutto e più persone hanno potuto così dedicarsi a lavori meno faticosi e logoranti, trovando nel frattempo nuovi metodi per ottimizzare ancora di più l’agricoltura: uno di questi, raccontato anche in un recente articolo dell’Economist, è la cosiddetta “vertical farm“, termine traducibile con “coltivazioni verticali”. È un tipo di coltivazione fatta al chiuso in una sorta di scaffale con più livelli, che può avere molte forme diverse.
Le coltivazioni verticali non sono una cosa nuova: se ne parla da anni e l’idea è vecchia di decenni, ma sembra che il progresso tecnologico sia arrivato ora al punto da renderle un’alternativa valida all’agricoltura tradizionale. In sostanza questo tipo di coltivazione avviene in una grossa camera stagna, con un corridoio centrale e le strutture multi-livello ai lati. Gli strati sono in genere una dozzina e sono illuminati con luci artificiali colorate per favorire la crescita delle piante, le quali non crescono sulla terra ma direttamente immerse in una soluzione di acqua e minerali, talvolta con la presenza di materiale inorganico come argilla o fibra di cocco: è la tecnica idroponica, che permette di usare meno acqua rispetto all’agricoltura tradizionale. I vantaggi di questo metodo di coltivazione, quindi, sarebbero almeno tre, tutti legati alla sostenibilità: richiedono meno acqua delle colture tradizionali; dato che avvengono in una camera stagna, non vengono usati pesticidi; e infine non consumano suolo, quindi potrebbero aiutare a ridurre il suo impoverimento.
In realtà ci sono anche alcuni aspetti meno sostenibili delle coltivazioni verticali. Per esempio, se da un lato si risparmia acqua, dall’altro si consuma molta energia per alimentare l’illuminazione essenziale per la crescita delle piante. Un modo per risparmiare energia, scrive l’Economist, è usare lampade a LED dello specifico colore dello spettro che serve alla pianta: la luce contiene i sette colori dello spettro visibile (quelli dell’arcobaleno, per intenderci), ma alle piante servono solo quelli delle sfumature di blu e rosso, mentre riflette quelle del verde (per questo le foglie sono verdi). Utilizzare LED colorati blu e rossi al posto di quelli bianchi riduce il consumo di energia, ma non abbastanza da rendere le coltivazioni verticali sostenibili per ogni tipo di prodotto agricolo.
Infatti, i prodotti che possono essere coltivati con questo metodo sono principalmente quelli che necessitano di poco tempo per crescere e che quindi rendono molto, come le erbe aromatiche e le piante di insalata. Per altri tipi di prodotti, come il grano, il costo finale sarebbe troppo alto. Un professore di biologia della Cornell University, citato dall’Economist, ha calcolato che un panino prodotto con grano da coltivazione verticale costerebbe circa 20 euro.
Anche in Italia si parla da tempo delle coltivazioni in verticale. Nel 2011 il Sole 24 Ore già raccontava dei problemi di questo metodo, che sono ancora quelli di oggi – il consumo di energia elettrica e i costi di produzione – ma non è ancora chiaro se questi siano o meno superiori ai vantaggi legati al minore consumo di acqua e suolo. In Italia ci sono alcuni esempi che hanno cercato di dare una risposta: nel 2015 fu presentata all’Expo di Milano una serra verticale, in cui le piantine erano coltivate su torba pressata immerse in acqua; la serra, secondo gli organizzatori, permetteva un risparmio di acqua del 95% rispetto alle colture tradizionali.
Oppure c’è Vertical Farm Italia, un’azienda dell’ingegnere Matteo Benvenuti che porta avanti da anni progetti di coltivazione verticale, tra cui una torre con una vasca per l’allevamento di pesci alla base: l’acqua dei pesci viene depurata e usata poi per innaffiare le piante con una variante della tecnica idroponica, in un circuito chiuso che non produce rifiuti e che permette di usare il 10 per cento dell’acqua necessaria ad alimentare una coltivazione tradizionale.