La storia di Jeni Haynes
La vittima di uno dei peggiori casi di abusi su minori mai avvenuti in Australia ha sviluppato un disturbo dissociativo dell’identità: le testimonianze delle sue personalità multiple hanno portato alla condanna
Il 6 settembre un uomo di 74 anni, Richard Haynes, è stato condannato a 45 anni di carcere da un tribunale di Sydney, Australia, per aver stuprato, abusato e torturato quotidianamente la figlia quando era una bambina tra gli anni Settanta e Ottanta. Jeni Haynes ha ora 49 anni e a seguito dei traumi subiti ha sviluppato un disturbo dissociativo dell’identità: ha creato dentro di sé, come meccanismo di difesa, centinaia di altre personalità. Attraverso sei di queste identità (ognuna delle quali ha conservato ricordi, pensieri e prove utili al processo che altrimenti sarebbero andate probabilmente perdute a causa dei traumi) è stata autorizzata a testimoniare in tribunale contro il padre. «Non avevamo paura. Abbiamo aspettato tanto tempo per dire a tutti esattamente cosa ci ha fatto. E ora non poteva più farci stare zitte», ha raccontato.
Il caso di Jeni Haynes è stato forse il primo al mondo in cui una vittima con diagnosi di disturbo di personalità multipla (MPD) – o disturbo dell’identità dissociativa (DID) – ha testimoniato con le sue altre personalità contribuendo ad arrivare a una sentenza di condanna del suo aggressore.
(Attenzione: l’articolo contiene la descrizione di violenze e abusi su minori)
La famiglia Haynes si trasferì in Australia dal Regno Unito nel 1974. Jeni aveva quattro anni e a quel tempo il padre aveva già iniziato ad abusare di lei. A Sydney le violenze diventarono sadiche e quasi quotidiane: «L’abuso di mio padre era calcolato e pianificato», ha raccontato la donna durante una delle udienze, dicendo che lui ne traeva piacere. «Mi ha sentita mentre lo supplicavo di smettere, mi ha sentita piangere, ha visto il dolore e il terrore che mi stava infliggendo, ha visto il sangue e il danno fisico che aveva causato. E il giorno dopo sceglieva di rifare tutto da capo».
Richard Haynes aveva convinto la figlia di avere il potere di leggerle nella mente, per mantenerla nella paura e sotto il suo completo controllo. La minacciava dicendo che avrebbe ucciso la madre, il fratello e la sorella se lei avesse anche solo pensato di parlare con qualcuno: «La mia vita interiore è stata invasa da papà. Non riuscivo a sentirmi al sicuro nemmeno nella mia testa», ha detto Jeni Haynes intervistata dalla BBC. L’uomo aveva ridotto al minimo la vita sociale della bambina e di conseguenza anche i contatti con altri adulti che avrebbero potuto accorgersi di qualcosa. A Jeni veniva poi regolarmente negata l’assistenza medica per le ferite dovute alle torture e agli abusi sessuali, e le lesioni si sono poi sviluppate e aggravate nel tempo. A 49 anni, Jeni Haynes ha danni irreparabili alla vista, ai legamenti della mascella, all’intestino, all’ano e al coccige. Non ha potuto avere dei figli e ha subito diversi e complicati interventi chirurgici, inclusa un’operazione di colostomia nel 2011.
Gli abusi proseguirono nel tempo, fino a quando Jeni non compì 11 anni. A quel punto la famiglia tornò nel Regno Unito e nel 1984 i suoi genitori divorziarono. Nel frattempo, Jeni Haynes aveva cominciato a soffrire di disturbo dissociativo di identità. Il DID è considerato dagli esperti una strategia di sopravvivenza, un meccanismo di difesa sviluppato dal cervello per proteggere la persona che ha subito gravi traumi e che la fa entrare in una specie di coma psicologico: si crea una specie di barriera tra la persona che sta affrontando il trauma e la persona che cerca di vivere come se nulla fosse accaduto. Il DSM-5 (il Manuale diagnostico e statistico psichiatrico che è la principale fonte per i disturbi psichiatrici ufficialmente riconosciuta in tutto il mondo) definisce il disturbo dissociativo di identità (che si manifesta soprattutto nei bambini e nelle bambine) in modo generico come «la presenza di due o più stati di personalità separati». Ciascuna di queste personalità (Haynes ne ha sviluppate a migliaia) ha una propria voce, ricordi e caratteristiche specifiche. Jeni Haynes sostiene che il suo disturbo le abbia «salvato la vita e l’anima».
La prima personalità che Jeni Haynes sviluppò fu quella di Symphony, una bambina di quattro anni. Con il passare degli anni le si affiancarono poi anche altre identità, ognuna delle quali ha avuto un ruolo particolare nel contenere un preciso elemento dei traumi che stava subendo. La voce di Symphony è più acuta e più femminile. Interviene nell’intervista con la BBC quando Jeni affronta dei ricordi precisi: «Quello che ho fatto è stato prendere tutto ciò che pensavo fosse prezioso per me, tutto ciò che era importante, e nasconderlo a papà».
Lo scorso marzo a Jeni Haynes è stato permesso di testimoniare in tribunale come Symphony e come altre cinque sue personalità: ciascuna è stata in grado di fornire resoconti su ogni singolo reato di cui era accusato il padre. La donna è stata ascoltata solo da una giudice, perché gli avvocati hanno ritenuto il caso troppo traumatizzante per una giuria. Symphony ha raccontato in modo estremamente dettagliato i particolari degli abusi; Muscles, un adolescente di 18 anni, è intervenuto per attaccare il padre; Linda, un’elegante giovane donna, ha potuto testimoniare l’impatto che quella situazione ha avuto sulla scuola, sulle relazioni di Jeni Haynes e sulle opportunità di carriera perse.
Jeni Haynes ha denunciato gli abusi per la prima volta nel 2009, con l’aiuto della madre che per molto tempo non si era resa conto di quanto fosse accaduto alla figlia. Arrivare a quel punto non è però stato facile: la donna, per decenni, ha dovuto lottare per ricevere aiuto e ha raccontato che diversi consulenti e terapisti l’hanno allontanata perché nessuno credeva alla sua storia. Nel 2017, dopo anni di indagini, Richard Haynes è stato estradato dal Regno Unito, dove stava scontando una pena di sette anni per un altro crimine. Alla fine, Richard Haynes si è dichiarato colpevole di 25 imputazioni per stupro e aggressione sessuale ed è stato condannato.
La polizia australiana ha dichiarato che ciò che ha vissuto Jeni Haynes è uno dei peggiori casi di abusi su minori mai avvenuti nel paese. La giudice che ha seguito il processo, Sarah Huggett, al momento della lettura della sentenza ha dichiarato che probabilmente Richard Haynes morirà in prigione, che i suoi crimini sono «inquietanti, perversi e disgustosi» e che è «impossibile» che la sentenza possa riflettere la gravità delle loro conseguenze.
Jeni Haynes ha trascorso la sua vita studiando, ottenendo un master e un dottorato, e ha spiegato di aver fatto molta fatica a ottenere e a gestire un lavoro. Vive con la madre e ha detto che lei e le sue personalità passano la vita «diffidando, costantemente in guardia. Dobbiamo nascondere la nostra molteplicità e lottare per dimostrare una coerenza nel comportamento, nell’attitudine, nella conversazione e nei pensieri, cosa che è spesso impossibile. Avere 2.500 differenti voci, opinioni e atteggiamenti è estremamente difficile da gestire».
Cathy Kezelman, presidente di un’associazione australiana che si occupa di traumi infantili, ha commentato la sentenza dicendo che «Jeni e le sue personalità hanno affrontato coraggiosamente il padre in tribunale e la loro testimonianza non solo è stata creduta», ma ha portato a un’accusa e a una sentenza di colpevolezza. «Se hai un disturbo dissociativo di identità causato dagli abusi subiti, ora è possibile ottenere giustizia. Puoi andare alla polizia, dirlo ed essere creduta. La tua diagnosi non è più un ostacolo alla giustizia», ha dichiarato Haynes.