Brad Pitt sa cosa vuole
In un'intervista sul New York Times ha raccontato dei problemi degli ultimi anni e di quello che gli interessa ora, cioè recitare di meno e produrre di più
Brad Pitt ha 55 anni e anzi va per i 56, e nel giro di poche settimane usciranno due suoi film che saranno tra i più importanti dell’anno: Ad Astra, in cui interpreta un astronauta in viaggio verso i confini del sistema solare in cerca del padre scomparso, e C’era una volta… a Hollywood in cui fa da spalla al protagonista Leonardo DiCaprio. Kyle Buchanan del New York Times l’ha intervistato raccontando la storia del suo rapporto con James Gray, il regista di Ad Astra, rapporto che ci ha messo 24 anni a diventare un film, e infilandoci altri aneddoti che spiegano un po’ di cose su che personaggio sia diventato a quasi trent’anni dal suo esordio cinematografico, e dopo una carriera fatta di enormi successi, relazioni illustri e un atteggiamento sempre un po’ dimesso e riservato.
Pitt ha fatto ruoli di tutti i tipi, da personaggi logorroici in L’esercito delle 12 scimmie o The Snatch a tipi più taciturni come il protagonista di Ad Astra. Lui, come persona, fa parte del secondo gruppo. «Non dice più di quello che ha bisogno di dire», scrive Buchanan, che ai suoi amici che poi gli hanno chiesto com’era Brad Pitt ha risposto semplicemente che «sembrava Brad Pitt». In tempi recenti ha avuto un po’ di problemi, cominciati con la separazione dalla moglie Angelina Jolie nel 2016. Pitt aveva un problema di dipendenza dall’alcol, che secondo i tabloid causò il divorzio tra i due e che ha risolto frequentando per un anno e mezzo gli alcolisti anonimi. Nessuno del suo gruppo vendette i racconti di Pitt alla stampa: «È stato davvero catartico poter mettere in mostra i lati peggiori di me stesso. È una cosa che ha un grande valore».
Fu più o meno in quel periodo che Pitt cominciò a interessarsi al film Ad Astra, ma all’inizio, quando accettò il ruolo, Gray era certo che non l’avrebbe poi fatto davvero. I due si conobbero nel 1995, quando Pitt lo contattò dopo aver visto il suo film d’esordio, Little Odessa, con Tim Roth. Pitt all’epoca aveva una trentina d’anni e stava entrando nel pieno della sua fama, dopo film come Seven e Intervista col vampiro. Di Little Odessa Pitt aveva amato «la ruvidezza, la violenza» e «il tocco anni ’70», e pensava che avrebbero potuto fare qualcosa di bello insieme. Gray fu molto sorpreso ma anche riconoscente: «ha un gran gusto per l’arte, e cerca sempre nuovi punti di vista» ha raccontato a Buchanan.
Eppure i due non fecero niente insieme, nonostante vari tentativi. L’ultimo fu nel 2010, quando Pitt dovette rinunciare al ruolo di protagonista in Civiltà perduta, che poi andò a Charlie Hunnam. Era un film ambientato in Amazzonia, e Pitt ha raccontato che all’epoca non riuscì a trovare il tempo per delle riprese così impegnative. Ma alla fine accettò di recitare in Ad Astra, facendo un personaggio il cui battito cardiaco non supera mai gli 80 battiti al minuto. È una caratteristica che ricorda molto il vero Pitt, scrive Buchanan, uno che rimane sempre piuttosto concentrato e conosciuto per non farsi prendere facilmente dagli entusiasmi.
Per spiegare questa sua caratteristica, Buchanan racconta dov’era Pitt la sera in cui Moonlight, film di cui era stato produttore esecutivo, vinse l’Oscar come miglior film, nella famosa serata dell’annuncio sbagliato che assegnò inizialmente il premio a La La Land. Anche se l’Oscar al miglior film viene assegnato ai soli produttori (non a quelli esecutivi), quel premio era anche un po’ suo: ma Pitt non era al Dolby Theatre di Hollywood bensì a poca distanza, nella casa di Los Angeles di Gray, a una cena a base di spaghetti. Quando annunciarono l’Oscar, a seguire la cerimonia c’era nell’altra stanza la moglie del regista, che riportò la notizia. «Oh, wow, che figo», disse Pitt senza scomporsi.
Pitt ha vinto un solo Oscar in carriera, e non come attore bensì come produttore di 12 anni schiavo: oggi produrre i film è l’attività a cui dedica più tempo e, dice, sarà sempre più così. Non ha mai vinto come attore, nonostante sia stato candidato tre volte: due come migliore attore, per Moneyball e 12 anni schiavo, e una come migliore attore non protagonista, per L’esercito delle 12 scimmie. È molto probabile che riceva la sua quarta nomination il prossimo anno, per il suo ruolo in C’era una volta… a Hollywood. A questo proposito, Buchanan scrive una cosa piuttosto condivisa tra i critici e gli addetti ai lavori. Pitt è più bravo a fare i ruoli secondari, che quelli da protagonista.
Lo ha sostenuto anche un recente articolo di BuzzFeed, citando parti come quelle in Fight Club e proprio C’era una volta… a Hollywood e definendola una grande contraddizione della sua carriera. Gray lo ha spiegato sostenendo che Pitt non vuole necessariamente essere al centro dell’attenzione, e che probabilmente sta andando sempre più in quella direzione, dopo una vita passata costantemente sulle prime pagine dei tabloid per le sue relazioni con Gwyneth Paltrow, Jennifer Aniston e poi Angelina Jolie.
Secondo Buchanan, dopo l’ubriacatura di attenzioni dei primi anni, la sua collaborazione con David Fincher – che lo diresse in Seven, Fight Club e Il curioso caso di Benjamin Button – lo aiutò a smetterla di preoccuparsi di quali fossero le aspettative degli altri, e a chiarirsi le idee su cosa avrebbe voluto fare nella sua vita. In questo momento, è principalmente produrre film e dedicarsi alla scultura e al giardinaggio: «Quando senti che hai finalmente messo le mani su qualcosa, allora è il momento di spostarle da qualche altra parte».