Cosa sta succedendo con Brexit
E cosa succede oggi nel Parlamento britannico, dove Boris Johnson ha perso la maggioranza e probabilmente passerà una legge per provare a impedire il "no deal"
Oggi è un’altra giornata molto importante per la politica del Regno Unito, perché il Parlamento britannico potrebbe votare e approvare una legge che impedisca al governo guidato dal conservatore Boris Johnson di uscire dall’Unione Europea senza accordo, arrivando cioè al temuto scenario del “no deal”. Il voto sul “no deal” si terrà in una situazione di grande confusione: ieri Boris Johnson ha perso sia la maggioranza in Parlamento sia il controllo dell’agenda su Brexit, che è passata ai parlamentari dopo un voto che ha messo profondamente in crisi il Partito Conservatore.
In tutto questo Johnson – «che è ancora al governo, ma non è più in controllo», come ha scritto Politico – ha minacciato di convocare elezioni anticipate se dovesse perdere il voto di oggi, cioè nel caso in cui il Parlamento dovesse approvare la legge per impedire il “no deal”. Partiamo dall’inizio.
Perché si parla di crisi nel Partito Conservatore
Martedì il Partito Conservatore si è spaccato e Johnson ha perso la maggioranza in Parlamento. In sintesi sono successe due cose. La prima è che un parlamentare del suo partito, Phillip Lee, si è seduto tra i banchi dei Liberal Democratici, dicendo di non riconoscersi più nel Partito Conservatore e di fatto togliendo l’appoggio e la maggioranza al governo Johnson, che si reggeva su un solo voto. La seconda è che nella votazione più importante della giornata, quella che ha permesso al Parlamento di prendere il controllo dell’agenda su Brexit, 21 parlamentari conservatori hanno votato insieme alle opposizioni e contro il governo. Tra i cosiddetti “conservatori ribelli” ci sono anche ex ministri ed esponenti di primo piano del partito, tra cui Philip Hammond e Dominic Grieve.
Johnson ha reagito con durezza, dicendo che i parlamentari “ribelli” avrebbero perso il cosiddetto “party whip”, che significa di fatto essere espulsi dal gruppo parlamentare (senza però perdere il seggio in Parlamento). Johnson ha detto inoltre che a questi parlamentari sarà vietato candidarsi con il Partito Conservatore alle prossime elezioni.
Cosa succede oggi
A partire dalle 15, scrive BBC, la Camera dei Comuni britannica (la camera bassa) comincerà a discutere la legge per impedire il “no deal”: dato che però la stessa Camera ha già bocciato per tre volte l’unico “deal” sul tavolo – l’accordo negoziato dall’allora governo May – lo scopo di questa legge sarebbe costringere il governo Johnson a chiedere all’Unione Europea di rinviare ancora una volta Brexit, oggi fissata per il 31 ottobre. L’obiettivo è spostarla almeno al 31 gennaio, anche se non è chiaro nel frattempo per fare cosa, visto che l’Unione Europea non intende riaprire i negoziati: ma in caso di elezioni anticipate ci sarebbe un nuovo Parlamento, e di tanto in tanto si torna ciclicamente a parlare anche della possibilità di organizzare un secondo referendum su Brexit). La legge ha buone possibilità di essere approvata, visto che sarà votata non solo dalle opposizioni ma anche dai parlamentari conservatori “ribelli”. Se dovesse passare, verrà discussa e votata anche dalla Camera dei Lord (la camera alta del Parlamento). Le opposizioni sperano che tutto il processo – l’approvazione alla Camera dei Comuni, quella alla Camera dei Lord e la firma della Regina – si concluda entro la fine della settimana, anche perché il tempo disponibile per opporsi al “no deal” è molto poco.
I lavori parlamentari proseguiranno infatti ancora qualche giorno, poi il Parlamento verrà sospeso per i congressi annuali dei partiti e per il discorso della Regina, richiesto da Johnson per evitare interferenze del Parlamento nel processo di Brexit. La decisione di Johnson – legittima ma ampiamente criticata – comporterà una sospensione dei lavori parlamentari per cinque settimane: il Parlamento riaprirà il 14 ottobre, mentre il 17 ci sarà l’ultima riunione su Brexit del Consiglio europeo, l’organo dell’Unione Europea che riunisce tutti i capi di stato e di governo degli stati membri.
La questione delle elezioni anticipate
Johnson ha detto che se oggi il Parlamento approvasse la legge per impedire il “no deal”, il suo governo convocherebbe elezioni anticipate. Quello delle elezioni anticipate è uno scenario di cui si discute da diverse settimane, e che potrebbe avviare una crisi costituzionale e politica molto seria.
Nel sistema britannico, per poter convocare elezioni anticipate Johnson ha bisogno dell’approvazione dei due terzi del Parlamento: quindi del voto dei suoi parlamentari e di quelli laburisti. Jeremy Corbyn, leader dei Laburisti, ha detto che il suo partito non accetterà di andare a elezioni anticipate prima di avere approvato la legge che impedisca il “no deal”. Tra le opposizioni c’è infatti il timore che Johnson possa promettere di andare alle elezioni anticipate verso metà ottobre – quindi prima della scadenza di Brexit – e poi durante la campagna elettorale spostare la data più avanti, di fatto portando il paese all’uscita senza accordo. La legge britannica lo permette, anche se sarebbe un’altra forzatura delle regole democratiche e delle consuetudini compiuta da Johnson, dopo la lunghissima sospensione del Parlamento decisa la scorsa settimana.
Il Guardian scrive che una eventuale proposta di elezioni anticipate potrebbe essere bocciata stasera e approvata all’inizio della prossima settimana, dopo la conclusione dell’iter della legge per impedire il “no deal”.
Se passa la legge, c’è la sicurezza di evitare il “no deal”?
La risposta è no, per due ragioni. La prima è che Johnson potrebbe ignorare l’indicazione di non accettare a nessun costo il “no deal”, uno scenario che è stato ipotizzato per esempio dal ministro conservatore Michael Gove. La seconda, più importante, è che affinché non avvenga il “no deal” l’Unione Europea deve accettare di rimandare nuovamente la scadenza di Brexit, e per ora non sembra intenzionata a farlo.
Negli ultimi mesi l’Unione Europea ha ripetutamente detto di non avere intenzione di modificare l’accordo trovato con il governo di Theresa May, accordo bocciato tre volte dal Parlamento britannico. I negoziatori europei hanno inoltre chiarito di non voler cambiare il “backstop“, il meccanismo che serve a evitare la creazione di un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord, e il punto più criticato dai Conservatori. Considerata la situazione di stallo attuale, e la mancanza di qualsiasi tipo di proposta alternativa da parte del Regno Unito, non è chiaro come il governo Johnson potrà convincere l’Unione Europea a rimandare la scadenza di Brexit. Se l’Unione Europea non dovesse cambiare idea, il “no deal” avverrà in ogni caso, indipendentemente dalla volontà del Parlamento e del governo britannico.