Boris Johnson ha perso la maggioranza in Parlamento
E le opposizioni e i conservatori "ribelli" del Regno Unito hanno pochi giorni per provare a evitare il "no deal", l'uscita senza accordo
Da martedì pomeriggio il Parlamento britannico è tornato a occuparsi di Brexit, dopo la sospensione dei lavori per la pausa estiva. Tra oggi e i prossimi giorni sono previsti voti considerati molto importanti, che molto probabilmente provocheranno grandi divisioni e litigi tra governo e Parlamento. Le opposizioni e diversi parlamentari conservatori “ribelli” proveranno infatti ad approvare una legge che obblighi il governo conservatore di Boris Johnson a chiedere all’Unione Europea un ulteriore rinvio alla data di Brexit, fissata al 31 ottobre. Johnson ha già detto di essere contrario a una legge di questo tipo, ha promesso inequivocabilmente che il Regno Unito sarà fuori dall’Unione Europea il 31 ottobre e ha più volte chiarito di non escludere l’ipotesi del “no deal“, cioè dell’uscita senza alcun accordo, scenario considerato catastrofico da molti.
Nonostante il primo voto importante su Brexit sia previsto in serata, si può già dire qualcosa su quello che potrebbe succedere e sugli umori generali del Parlamento, soprattutto dopo due riunioni importanti tenute martedì mattina da conservatori e laburisti. La novità più rilevante della giornata è che Johnson ha perso la maggioranza in Parlamento, a causa del passaggio del parlamentare conservatore Phillip Lee ai Liberal Democratici (Johnson aveva una maggioranza risicatissima: soltanto un seggio).
La prima cosa da tenere a mente è che le opposizioni hanno pochissimo tempo a disposizione per costringere il governo a fare qualcosa su Brexit contro la sua volontà. La scorsa settimana Johnson aveva chiesto e ottenuto la sospensione delle attività del Parlamento per cinque settimane, una mossa che poteva legittimamente fare ma che è stata considerata da molti una forzatura con un preciso obiettivo politico: impedire al Parlamento di interferire nel processo di Brexit e rendere più probabile l’opzione del “no deal”, che non piace né alle opposizioni né a diversi parlamentari conservatori “ribelli”. La sospensione del Parlamento, contro cui sono state avviate delle cause legali, inizierà il 13 settembre e durerà fino al 13 ottobre; il 14 ottobre si terrà il tradizionale Queen’s Speech, il discorso della Regina, mentre il 17 ci sarà l’ultima riunione del Consiglio europeo prima di Brexit.
In altre parole, per le opposizioni approvare una legge che impedisca il “no deal” e che convinca l’Unione Europea a rinviare di nuovo la scadenza per Brexit sarà una specie di corsa contro il tempo. Dalle riunioni tenute dai partiti martedì mattina sono però emerse alcune indicazioni che sembrano poter mettere in difficoltà Johnson, anche se non c’è ancora nulla di certo.
Anzitutto Johnson si è incontrato con diversi parlamentari conservatori “ribelli”, cioè quelli che nelle ultime settimane si erano opposti allo scenario del “no deal”, tra cui Philip Hammond, importante esponente del Partito Conservatore ed ex Cancelliere dello Scacchiere, cioè il ministro delle Finanze del Regno Unito.
Nei giorni scorsi i rapporti tra Johnson e parlamentari “ribelli” erano diventati molto tesi: Johnson aveva minacciato di espellere dal partito i parlamentari conservatori che si fossero schierati contro il governo sul “no deal”, mentre i parlamentari avevano preteso dal primo ministro chiarimenti sulla sua strategia nei negoziati con l’Unione Europea. Martedì mattina c’è stato l’incontro tra le due parti, che non è finito troppo bene: la giornalista del Guardian Jessica Egot ha scritto che Hammond è uscito dalla riunione «furioso» con Johnson, perché avrebbe concluso che il governo non ha alcuna strategia su Brexit, se non quella di arrivare al 31 ottobre senza accordo. Secondo le stime dei giornali britannici, i conservatori “ribelli” sarebbero una quindicina.
Un concetto simile era già stato espresso indirettamente dall’Unione Europea nei giorni scorsi, dopo che Johnson aveva sostenuto che l’approvazione di una legge per impedire il “no deal” avrebbe indebolito il governo britannico nei negoziati con l’Unione Europea, perché lo avrebbe costretto ad accettare un accordo a qualsiasi costo. Johnson aveva detto che una legge di questo tipo «avrebbe ucciso il momento positivo» dei negoziati tra le due parti, affermazione però contestata dall’Unione Europea. Diversi funzionari della UE avevano infatti sottolineato come non ci fosse alcun «momento positivo», perché era da più di due settimane che Johnson non proponeva piani alternativi all’accordo già concluso dal precedente governo di Theresa May e bocciato tre volte dal Parlamento britannico. Lo stesso Hammond aveva specificato come non avesse senso parlare di «progressi», anche solo per il fatto che l’attuale governo britannico non dispone di un team per negoziare con l’Unione Europea.
Gli altri incontri importanti che si sono tenuti martedì mattina, e che potrebbero definire il calendario dei lavori parlamentari nei prossimi giorni, sono stati quelli che hanno coinvolto il leader laburista Jeremy Corbyn. Secondo informazioni ottenute da alcuni giornali britannici, le opposizioni si sarebbero accordate sul dare la priorità all’approvazione della legge che impedisca il “no deal” entro la fine di questa settimana, e non a un’eventuale proposta del governo Johnson di andare a elezioni anticipate, come ipotizzato in precedenza. Le opposizioni temono infatti che Johnson possa spostare la data delle elezioni anticipate a dopo il 31 ottobre, cioè dopo Brexit, togliendo così la possibilità a un nuovo governo di intervenire ed evitare il “no deal”.
Nonostante le informazioni trapelate sui giornali, non è ancora chiara la strategia dei laburisti. Martedì Corbyn ha diffuso un comunicato in cui ha detto che l’obiettivo del suo partito è sia approvare una legge che impedisca il “no deal”, sia convocare elezioni anticipate evitando che Johnson possa intervenire per cambiare la data del voto a suo piacimento.
Considerata la confusione degli ultimi giorni, non è ancora certa la tempistica delle votazioni su Brexit nel Parlamento britannico. Martedì sera ci sarà molto probabilmente una votazione che potrebbe affidare al Parlamento l’iniziativa sull’approvazione della legge per impedire il “no deal”, sottraendola al governo. Se la legge dovesse essere approvata, sarebbe un passo importante per le opposizioni, che già mercoledì potrebbero votare la legge anti no-deal, complicando la vita a Johnson e al suo governo (non significherebbe comunque la sicurezza di evitare il “no deal”: se entro il 31 ottobre non si arrivasse ad alcun accordo, e se l’Unione Europea decidesse di non rimandare nuovamente la scadenza di Brexit, si verificherà il “no deal” indipendentemente da quello che vuole il Parlamento britannico). Sulla possibilità di andare a elezioni anticipate, invece, si sa ancora molto poco. Non è chiaro poi cosa possa accadere in caso di una nuova proroga: l’Unione Europea continua a non voler riaprire i negoziati, e l’unico “deal” sul tavolo è già stato bocciato tre volte dal Parlamento. Soltanto un nuovo referendum o le elezioni anticipate potrebbero rimescolare la situazione.