Ora ci prova Macron, a salvare l’accordo sul nucleare iraniano
Francia e Iran stanno negoziando un modo per aggirare gli effetti delle sanzioni statunitensi, ma è molto complicato
Da lunedì una delegazione governativa iraniana è a Parigi per negoziare con il governo francese un modo per aggirare gli effetti delle sanzioni statunitensi all’Iran e per salvare lo storico accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 dall’Iran e dai paesi del cosiddetto gruppo “5+1″, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania. Quello della Francia non è il primo tentativo di un paese europeo di salvare l’accordo, la cui sopravvivenza è a rischio da maggio 2018, quando il presidente statunitense Donald Trump annunciò il ritiro unilaterale dall’intesa: negli ultimi mesi per esempio era stato messo in piedi un complesso meccanismo finanziario con l’obiettivo di aggirare le sanzioni, con risultati però non del tutto soddisfacenti.
I dettagli dei negoziati in corso a Parigi non sono pubblici, ma da giorni diversi giornali internazionali, tra cui il New York Times, parlano di uno scambio tra le parti. La Francia avrebbe offerto all’Iran una lettera di credito di 15 miliardi di dollari che dovrebbe compensare una parte delle mancate esportazioni di petrolio iraniano all’estero, risultato delle sanzioni statunitensi; l’Iran avrebbe garantito di tornare a rispettare pienamente l’accordo sul nucleare del 2015, dopo le parziali violazioni degli ultimi mesi. Una lettera di credito è un documento che fa da garanzia per ottenere finanziamenti da altri soggetti, e può anche essere utilizzato come mezzo di pagamento.
Con questo accordo, il governo iraniano avrebbe inoltre la possibilità di ricevere in valuta forte circa la metà delle entrate annuali derivanti dalle esportazioni di petrolio, e potrebbe allo stesso tempo essere costretto a fermare gli attacchi contro le petroliere straniere compiuti negli ultimi mesi nel Golfo Persico e responsabili di una rischiosa escalation di tensione con gli Stati Uniti.
Il piano del presidente francese Emmanuel Macron è appoggiato da molti altri paesi europei, preoccupati che la reintroduzione delle sanzioni statunitensi all’Iran possa far saltare definitivamente l’accordo. Sembra invece essere osteggiato dal governo statunitense, perché la lettera di credito ridurrebbe in misura rilevante gli effetti delle sanzioni e renderebbe l’Iran molto meno isolato sul piano internazionale. Entrambe le conseguenze sarebbero una sconfitta per Trump, che fin dal principio aveva sperato che la pressione economica creata dalle sanzioni avrebbe convinto l’Iran a negoziare un nuovo accordo sul nucleare, questa volta più favorevole agli Stati Uniti, o avrebbe portato direttamente a un cosiddetto “regime change“, un cambio di regime.
Nonostante Francia e Iran si siano detti soddisfatti per come stanno andando i negoziati, ci sono ancora diversi importanti dettagli da definire. Per esempio non è chiaro quale banca europea concederà il credito all’Iran. Un’ipotesi è che se ne faccia carico la Banca centrale europea o la Banca centrale francese, due soggetti che gli Stati Uniti avrebbero più difficoltà a colpire con le loro sanzioni, che hanno una particolarità: sono extraterritoriali, cioè si rivolgono anche a soggetti non americani, e prevedono che qualsiasi società, ovunque abbia la sede, debba rispettarle quando vengono usati i dollari per compiere le transazioni – cioè quasi sempre – e quando le stesse aziende hanno succursali negli Stati Uniti o sono controllate da americani.
La scorsa settimana l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, agenzia che opera per garantire l’uso pacifico dell’energia nucleare, ha confermato che l’Iran sta producendo uranio arricchito al 4,35 per cento, quindi oltre il limite del 3,67 previsto dall’accordo del 2015, e ha superato il limite di riserve dello stesso uranio fissato a 300 kg. Il governo iraniano ha detto che in caso di fallimento dei negoziati in corso a Parigi verranno annunciate nuove attività nucleari in violazione dell’accordo del 2015.