La leader di Hong Kong non può dimettersi?
È uscito un audio in cui si sente Carrie Lam dire che se potesse lascerebbe il suo incarico, e lamentarsi del poco spazio di manovra concesso dalla Cina
Carrie Lam, la leader politica di Hong Kong, ha detto di non aver mai offerto le proprie dimissioni al governo cinese, dopo la diffusione di una registrazione audio pubblicata da Reuters nella quale la si sentiva dire in una riunione riservata: «Se avessi scelta, la prima cosa che farei sarebbe dimettermi». L’audio aveva rinnovato i sospetti secondo cui la vera gestione della crisi di Hong Kong, dove da settimane sono in corso grandi proteste di piazza, è in mano al governo cinese più che alle autorità locali.
La registrazione arrivava da un incontro a porte chiuse tra Lam e un gruppo di uomini d’affari, nella quale Lam aveva detto: «Per un capo esecutivo [il nome formale della carica ricoperta da Lam, ndt] aver causato questo enorme caos è imperdonabile. Se avessi scelta, la prima cosa che farei sarebbe dimettermi, porgendo delle sentite scuse. Perciò vi chiedo perdono». Lam non ha smentito la veridicità dell’audio, ma ha detto di non aver mai offerto le proprie dimissioni al governo cinese. Hong Kong è una regione amministrativa speciale cinese, cioè fa parte della Cina ma ha una forma di autonomia.
Le frasi di Lam avevano confermato che la risposta alle proteste sia gestita direttamente dalla Cina, più che dall’amministrazione locale, come sostenuto da tempo dagli osservatori internazionali. Lo «spazio di manovra del capo esecutivo», aveva detto Lam, «è molto, molto limitato» perché «deve servire due padroni». Le proteste avevano raggiunto un livello «di sovranità e sicurezza» per Pechino, che la loro gestione è stata resa più complicata dalle tensioni in corso tra Cina e Stati Uniti. «La scelta di dimettersi sarebbe soltanto mia», ha detto Lam in una conferenza stampa organizzata per rispondere alla diffusione della registrazione, aggiungendo comunque di non averci nemmeno pensato «perché penso di poter uscire da questo stallo».
Le proteste, cominciate tre mesi fa, inizialmente riguardavano l’emendamento a una legge sull’estradizione che, se approvato dal Parlamento locale, avrebbe consentito di processare nella Cina continentale gli accusati di alcuni crimini gravi, come lo stupro e l’omicidio. L’emendamento – secondo gli attivisti per i diritti umani – avrebbe facilitato l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong e avrebbe consentito alla Cina di usarlo contro i suoi oppositori. Nelle settimane successive, le proteste si erano quindi trasformate in una aperta ribellione contro la Cina, e in una richiesta di libertà e autonomia. Centinaia di migliaia di persone sono scese per strada nelle proteste degli ultimi weekend, in cui ci sono stati gravi scontri con la polizia e arresti di massa.
Negli scorsi giorni, Reuters aveva scritto che la Cina aveva rifiutato una proposta di Lam per venire incontro ad alcune richieste minori dei manifestanti, con la speranza di ridurre le proteste. La scorsa settimana ci sono stati alcuni degli scontri più violenti di queste manifestazioni ed è in corso una mobilitazione degli studenti, che in molti casi stanno scioperando.