Abbiamo scoperto cinque nuove isole
Sono nell'estremo nord della Russia, nel Mar Glaciale Artico, e non le avevamo mai osservate perché fino a qualche anno fa erano coperte da un ghiacciaio
La Russia ha confermato la scoperta di cinque piccole isole diventate visibili dopo lo scioglimento parziale del ghiacciaio di Vylka, nell’arcipelago di Novaya Zemlya, una delle propaggini più settentrionali della Russia, nel mar Glaciale Artico. Le isole erano state scoperte durante una spedizione artica nel 2016, dopo il loro avvistamento attraverso le immagini satellitari dell’area. È un esempio di come le mappe della Terra si stiano trasformando per via del cambiamento climatico.
A scoprire le isole è stata Marina Migunova, giovane scienziata che ha ricevuto per questo un diploma speciale da parte della Società Idrografica Russa, e che è ora ingegnera nella Flotta del Nord della Russia. Dopo un viaggio di diversi mesi a bordo della nave Vizir, gli scienziati russi hanno confermato l’esistenza delle cinque isole, di dimensioni comprese tra i 900 e i 55mila metri quadrati (l’Isola d’Elba, per fare un paragone, ha una superficie di 224 chilometri quadrati). Si trovano nella baia di Vize, sulla costa nord ovest di Novaya Zemlya, non lontano dal luogo dove nel 1961 l’Unione Sovietica testò la Bomba Zar, il più potente ordigno all’idrogeno mai sperimentato.
Le terre emerse hanno smesso di essere un mistero per l’uomo ormai da diversi decenni, grazie alle immagini satellitari che hanno permesso di mappare anche le aree più remote del pianeta, come quelle del circolo polare artico. Ci sono però ancora alcune particolari circostanze che mettono in crisi la cartografia moderna: fino agli anni Settanta, per esempio, una piccola e inesistente isola chiamata Sandy Island rimase segnata sulle mappe di tutto il mondo al largo della Nuova Caledonia. L’aveva avvistata per primo il capitano James Cook nel Settecento, ma nei secoli successivi la sua esistenza fu confermata da altre navi fino al Novecento, quando ci si rese conto che nel posto dove avrebbe dovuto essere non c’era niente. Nel 2012, infine, la nave australiana RV Southern Surveyor smentì definitivamente l’esistenza dell’isola, che fino a quel momento era stata indicata anche su Google Earth. Probabilmente a trarre in inganno le navi che l’avvistarono fu una grossa concentrazione di pietra pomice galleggiante, un fenomeno relativamente comune.
Ma sono le attività umane a rappresentare il fattore più importante nel ritardo con cui le mappe riescono a essere aggiornate per rappresentare il pianeta. Dall’innalzamento del livello dei mari allo scioglimento dei ghiacciai, dalla deforestazione all’espansione delle periferie delle metropoli dei paesi in via di sviluppo. Le mappe sono di per sé uno strumento per fissare un’immagine di una cosa che si trasforma in continuazione come la Terra, ma la velocità dei cambiamenti terrestri dovuti all’uomo ha di fatto anticipato la loro “data di scadenza”, come ha dimostrato la scoperta delle cinque nuove isole russe.