Gli arresti dei leader delle proteste di Hong Kong
Joshua Wong, Agnes Chow ed Andy Chan sono stati fermati negli ultimi giorni, prima della grande manifestazione prevista per domani
Tre importanti attivisti a favore della democrazia sono stati arrestati a Hong Kong: Joshua Wong e Agnes Chow, ex leader delle manifestazioni studentesche del 2014 diventate famose come “movimento degli ombrelli”, sono stati arrestati venerdì; Andy Chan, a capo di un partito politico a favore dell’indipendenza, è stato invece fermato giovedì. In mattinata la polizia ha concesso a Wong e Chow di essere rilasciati su cauzione.
Il movimento che Wong e Chow hanno fondato, Demosisto, ha fatto sapere che Wong sarebbe stato fermato questa mattina, intorno alle 7.30, mentre andava a prendere la metro: sarebbe stato spinto a forza dentro un’auto privata e portato nella sede centrale della polizia a Hong Kong. Chow è stata invece arrestata a casa sua. In un comunicato la polizia ha confermato di avere arrestato Wong e Chow per avere incoraggiato le proteste e avere partecipato a una manifestazione contro la polizia il 21 giugno. Wong è stato anche accusato di aver organizzato un’assemblea non autorizzata.
Secondo la Hong Kong Free Press, Chan è stato invece fermato giovedì all’aeroporto internazionale di Hong Kong mentre stava per andare in Giappone. La polizia ha confermato che giovedì un uomo di 29 anni è stato arrestato all’aeroporto internazionale di Hong Kong con l’accusa di aver partecipato agli scontri e di aver attaccato la polizia.
Gli arresti sono arrivati poco prima di una grande manifestazione organizzata per domani, sabato 31 agosto, nel quinto anniversario della riforma del sistema elettorale che diede avvio alla “Rivoluzione degli ombrelli” (prevedeva che il Comitato elettorale vicino a Pechino avrebbe pre-approvato un massimo di tre candidati per il ruolo del Capo dell’esecutivo, che una volta eletto dalla popolazione sarebbe stato formalmente approvato dal governo centrale). La protesta di domani era stata comunque vietata e non è chiaro se si terrà comunque oppure no. Kenneth Chan, professore dell’Università di Hong Kong, ha ipotizzato che gli arresti delle ultime ore facciano parte di «un nuovo giro di repressione contro il movimento. L’arresto dei leader più noti ha lo scopo di intimidire gli altri alla vigilia di una eventuale manifestazione».
Wong e Chow sono stati i principali leader delle proteste del 2014. Wong era uscito dal carcere lo scorso giugno dopo aver scontato un mese di condanna per “oltraggio alla corte” relativa a una precedente protesta. Nessuno dei due ha però avuto un ruolo centrale nelle manifestazioni antigovernative delle ultime settimane, ma vi hanno preso parte e hanno parlato spesso a sostegno delle richieste dei manifestanti. Tutti e tre gli attivisti arrestati appartengono poi a organizzazioni politiche che sostengono l’indipendenza e l’autodeterminazione. Il Partito Nazionale di Hong Kong di Chan, è stato dichiarato fuori legge l’anno scorso per motivi di sicurezza nazionale.
Le ultime proteste di Hong Kong sono cominciate lo scorso giugno e inizialmente riguardavano l’emendamento a una legge sull’estradizione che, se approvato dal Parlamento locale, avrebbe consentito di processare nella Cina continentale gli accusati di alcuni crimini gravi, come lo stupro e l’omicidio.
Ad aprile c’erano state alcune prime manifestazioni, ma solo a giugno erano diventate una cosa di massa, con migliaia di persone in strada. Secondo i movimenti e molti gruppi che difendono i diritti umani, l’emendamento sarebbe stato un primo passo verso l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong e avrebbe consentito alla Cina di usarlo contro i suoi oppositori, perché nulla avrebbe impedito al regime di inventare accuse allo scopo di estradare qualcuno. Il 15 giugno la governatrice di Hong Kong Carrie Lam annunciò in una conferenza stampa la sospensione dell’emendamento: le proteste non si sono comunque fermate, trasformandosi in una aperta ribellione contro la Cina, e nella richiesta di libertà e autonomia.
Il 16 giugno Lam, scrive oggi Reuters citando come fonte tre persone vicine alla questione, avrebbe anche presentato al governo centrale cinese una relazione che conteneva alcune richieste fatte dai manifestanti e che avrebbero contribuito a risolvere la crisi: il ritiro dell’emendamento, un’indagine indipendente sulla repressione, elezioni democratiche, abbandono del termine “rivolta” nella descrizione delle proteste e caduta delle accuse nei confronti degli attivisti arrestati fino a quel momento. Tutte le richieste furono però respinte e la Cina ordinò alla governatrice di non fare ai manifestanti alcuna concessione. Questo, scrive Reuters, darebbe concretamente la misura dell’influenza di Pechino su Hong Kong.